A RISCHIO FRANA!
Rischio idrogeologico per sette comuni italiani su dieci: in tutto sono 5.581 le realtà territoriali interessate
E' noto da oltre 400 anni che Giampilieri Superiore, il villaggio semidistrutto dal nubifragio che ha colpito Messina, è a rischio idrogeologico. Un documento del 1600 riporta che una pala d'altare fu spostata dalla chiesa di San Nicola di Giampilieri dopo uno smottamento della collina provocato da una violenta alluvione.
Lo rivela l'architetto Nino Rotella della sovrintendenza di Messina. "Non è da oggi - dice Rotella - dunque che l'area è a rischio idrogeologico. L'uomo non ha memoria storica".
Insomma, la zona di Giampilieri, e più in generale tutta la zona del Messinese è storicamente sotto minaccia, diciamo, "naturale". Così come molte, moltissime zone del resto d'Italia.
Ad esempio: in Italia, in 50 anni, si sono avute più di 4 vittime al mese (in tutto 2.552), uccise dalle frane; e sono quasi 470.000 il totale dei fenomeni censiti fino ad oggi per un totale di circa 20.000 km2, pari al 6,6% dell'intero territorio nazionale. Colpito dal dissesto quasi il 70% dei comuni: 5.596 su un totale nazionale di 8.101.
Sono questi gli ultimi dati disponibili sul fenomeno frane contenuti nel Rapporto sulle frane in Italia, realizzato dall'ex Apat, l'Agenzia per la protezione dell'Ambiente (ora confluita nell'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione dell'ambiente), Regioni e Province Autonome, nell'ambito del Progetto IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia).
Ecco nel dettaglio la situazione.
NUMERI: 470 mila frane in 50 anni; 70% comuni colpiti da dissesto pari a 5.596 comuni su un totale di 8.101; 20.000 Km2 pari al 6,6% dell'intero territorio nazionale.
AREE PIÙ COLPITE: le province con più elevato indice di franosità, ovvero il rapporto fra l'area in frana e il territorio totale, in Italia sono Sondrio, Lecco, Chieti, Pesaro e Urbino, Ancona.
PERICOLO: le frane statisticamente, rappresentano dopo i terremoti, le calamità naturali che causano il maggior numero di vittime e danni a centri abitati, infrastrutture, beni ambientali, storici e culturali. Quelle che si muovono più velocemente, come i crolli e le colate rapide di fango e detriti, oltre a quelle che coinvolgono ingenti volumi di roccia o terreno, causano i danni più ingenti.
EVENTI PIÙ GRAVI: dal secondo dopoguerra ad oggi gli eventi che hanno causato più danni sono stati la crisi idrogeologica nel Salernitano dell'ottobre del 1954, la catastrofe del Vajont dell'ottobre del 1963 e la frana in Val di Stava del luglio del 1985, rispettivamente con 297, 1917 e 269 morti; le colate rapide del 5 maggio del 1998 a Sarno, Quindici, Bracigliano, Siano e a S. Felice a Cancello con 153 morti.
EDIFICI A RISCHIO: secondo lo studio "Ecosistema rischio" di Legambiente e Protezione Cvivile svolto su 550 comuni tra quelli classificati a "elevato rischio idrogeologico", in 9 comuni su dieci ci sono abitazioni costruite in aree a rischio (ma in Campania e Calabria si raggiunge il 100%) mentre in 5 su dieci sono in zone pericolose anche gli insediamenti industriali.
Dunque, secondo lo studio di Legambiente e del Dipartimento della Protezione Civile, il rischio frane e alluvioni interessa praticamente tutto il territorio nazionale. La Calabria, l'Umbria e la Valle d'Aosta sono le regioni con la più alta percentuale di comuni classificati a rischio (il 100% del totale), subito seguite dalle Marche (99%) e dalla Toscana (98%).
A ricevere la 'maglia nera' di Ecosistema Rischio 2008 sono stati invece proprio due comuni in provincia di Messina, Ucria e Alì, che "pur avendo interi quartieri e aree industriali in zone a rischio - si legge nel rapporto - non hanno messo in campo praticamente nessuna azione di mitigazione del rischio idrogeologico".
In questi anni purtroppo - ha dichiarato all'Adnkronos il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza - non si è avviata un'azione di risanamento del territorio. Nel caso di Messina si è costruito attraverso una urbanizzazione selvaggia. Bisogna prende coscienza del problema e serve un intervento radicale dal punto di vista finanziario che eviti agli enti locali di dover far cassa attraverso gli oneri di urbanizzazione. Inoltre devono essere punite le amministrazioni locali che non fanno rispettare i piani di assesto idrogeologici. Come ha ricordato il presidente della Repubblica, non servono investimenti per opere faraoniche ma interventi per mettere in sicurezza il territorio".
Intanto oggi, il disastro di Messina, le sue cause, le relazioni con la gestione del territorio saranno analizzati da scienziati dell’ambiente ed esperti di meteorologia in un convegno che si è aperto a Palermo. Per cinque giorni, dal 5 al 9 ottobre, oltre 400 studiosi si confronteranno nel corso di una sessione ("Environment including global change") che ha dovuto aggiornare l’ordine dei lavori per includervi una valutazione dei tragici eventi della fascia jonica messinese.
Sono previsti gli interventi, fra gli altri, di Antonio Speranza, presidente del Cinfai e co-estensore della legge nazionale per la difesa del suolo; Franco Einaudi, direttore di tutte le "Earth Sciences" della Nasa, ovvero le osservazioni da satellite; e il professore Giovanni Perona del Politecnico di Torino che ha sviluppato le tecnologie radar in banda X per l’osservazione di eventi locali di precipitazione. La cinque giorni è organizzata dall’associazione Demetra con il contributo dei maggiori enti di ricerca italiani del settore ambientale e si propone di fare il punto sulle ricerche della comunità accademico-scientifica italiana legate all'ambiente, al territorio e ai cambiamenti climatici. L'obiettivo è quello di facilitare il dialogo tra il settore scientifico, la politica, le forze sociali e imprenditoriali del Paese.
[Informazioni tratte da Ansa.it, La Siciliaweb.it, Adnkronos/Ing]