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A Tripoli inizia la battaglia finale

L'aeroporto internazionale di Maatiqa è caduto nelle mani dei manifestanti. Conquistate anche Misurata, al-Zawiyah e Gharian

25 febbraio 2011

AGGIORNAMENTO
A Tripoli si combatte ormai la battaglia finale fra i ribelli e quel poco che rimane del regime di Gheddafi. L'aeroporto internazionale di Maatiqa, a Tripoli, è caduto nelle mani dei manifestanti. Secondo la tv araba Al Jazeera i militari che sono presenti al suo interno hanno aderito alla rivolta contro Muammar Gheddafi. Le forze di sicurezza fedeli a Gheddafi hanno sparato sui manifestanti in diverse zone di Tripoli. Secondo la tv Al Arabiya, gli scontri più violenti sono nel quartiere di Zanjur, ma anche nella zona di Suq al-Jumua la polizia avrebbe fatto fuoco contro i dimostranti. Il bilancio al momento è di 7 morti. La tv di stato ha negato invece che ci siano stati morti durante gli scontri nella capitale. "Fonti mediche di Tripoli - si legge in un messaggio apparso sullo schermo - negano in modo netto quanto sostengono alcune tv satellitari arabe ostili al popolo libico, che parlano della morte di tre persone a Tripoli".
Nella capitale la tensione è altissima. Migliaia di persone che protestavano contro il governo nel quartiere di Tajura, a Tripoli, si stanno dirigendo in questi minuti verso il centro della città, ed in particolare in piazza Verde, dove è in corso una manifestazione dei sostenitori del regime. Secondo un testimone, contattato da Al Jazeera, gli agenti della polizia libica di Tajura sono passati dalla parte dei manifestanti.
I manifestanti contro il regime sarebbero almeno 50mila mentre in piazza a sostegno di Gheddafi ci sarebbero alcune migliaia di persone. La polizia era stata schierata da questa mattina fuori dalle moschee della capitale, con l'obiettivo di sopprimere ogni tentativo di protesta dopo la preghiera islamica. I gruppi di opposizione libici hanno infatti proclamato per oggi una serie di manifestazioni contro il regime di Muammar Gheddafi mentre il regime ha inviato ai cittadini messaggi sms in cui si afferma che le proteste contro Gheddafi sono vietate. Altri messaggi vietano alla gente di "guardare i canali satellitari, come al Jazeera, che diffondono voci e incitano il popolo a spargere il sangue dei musulmani".
In mano ai rivoltosi sarebbe caduta anche la città di Gharian, secondo quanto riferito dal portavoce dei manifestanti, Sadiq al-Gharian, mentre Al Arabiya ha annunciato che i manifestanti hanno assunto il controllo della città petrolifera di Barca, in Cirenaica. Gli insorti hanno preso il controllo di quasi tutti i giacimenti petroliferi a est del terminal di Ras Lanuf. "Quasi tutti i giacimenti petroliferi a est di Ras Lanuf adesso sono sotto il controllo del popolo", ha detto Abdessalam Najib, ingegnere petrolifero della compagnia libica Agico e membro della coalizione del 17 febbraio, secondo quanto riporta la stampa araba. Nijiab ha detto che gli impianti stanno lavorando con una capacità del 25%.
Intanto Bengasi è in festa: nella seconda città della Libia i manifestanti pro-democrazia stanno celebrando il controllo dell'amministrazione locale. Bengasi è attualmente governata da un comitato di giudici e di avvocati, che hanno rivolto un appello urgente agli abitanti affinché ritornino al lavoro. "Manterremo gli impegni presi dalla Libia con le compagnie petrolifere e per il funzionamento dei terminal petroliferi" ha reso noto la direzione temporanea dei rivoltosi libici che controllano Bengasi. La direzione temporanea si è detta inoltre contraria alla possibilità di un intervento di militari stranieri nel paese, anche solo per motivi umanitari. Il consiglio si è pronunciato contro ogni tipo di interferenza straniera nella crisi in corso in Libia.
Completamente in mano ai manifestanti anche le città di al-Zawiyah e di Misurata. Lo riferisce Al Arabiya che cita testimoni nelle due città libiche. Secondo i siti dell'opposizione, questa mattina le forze fedeli a Gheddafi hanno condotto un solo attacco contro al-Zawiyah e sono ancora fuori dalla città.
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La Libia "è vittima di un malocchio". Queste le parole del leader libico Muammar Gheddafi, riferendosi alla proteste in corso nel paese. Ieri, in un collegamento telefonico con la tv di stato, Gheddafi ha affermato che sono stati "gli invidiosi" a lanciare un malocchio contro il paese.
Rivolgendosi alla gente di al-Zawiyah, cittadina a circa quaranta chilometri ovest da Tripoli, dove ieri si è consumato un vero e proprio massacro di civili ad opera della brigata fedele a Gheddafi, il Colonnello ha chiesto "di cessare le attività militari" definendo la rivolta nella città "una farsa condotta dai giovani a cui bisogna porre fine". Lì, secondo Gheddafi, "ci sono infiltrati di al-Qaeda" che dovrebbero essere "arrestati". Proprio i seguaci di Osama Bin Laden "hanno fornito droga" ai giovani della città che protestano contro il governo. Sono tutti "ragazzini drogati" quelli che sono scesi in piazza in Libia per manifestare contro il regime, al potere da 41 anni, insiste il Colonnello. "Non c'è nemmeno un padre di famiglia tra di loro", ha detto con l'intento di screditare la rivolta popolare in corso, "sono tutti giovani, hanno tra i 15 ai 20 anni''.
"Se volete siete liberi di vivere in questo caos - ha aggiunto Gheddafi - se volete uccidervi l'uno con l'altro, siete liberi di farlo". Ma ''questa situazione non è paragonabile a quel che è avvenuto in Egitto e Tunisia", ha aggiunto il raìs.
Dopo aver espresso le sue "condoglianze per le vittime degli scontri" ("i caduti sono tutti nostri figli", ha detto il raìs riferendosi sia ai rivoltosi che agli uomini degli apparati di sicurezza) e dopo l'auspicio ad un ritorno "alla normalità" sottolineando di non avere "altro in Libia che un potere di indirizzo", Gheddafi ha cominciato ad elencare i successi ottenuti dal suo governo. Poi ha spiegato che "il potere nel paese è nelle mani del popolo, perché io ho lasciato il potere nel 1977". E a proposito della sua permanenza al potere in Libia ha ricordato che "la regina Elisabetta in Gran Bretagna è al potere da più tempo di me, ma a lei non accade nulla".
E se il timore espresso da Gheddafi è che "gli americani potrebbero venire anche da noi con la scusa che ci sono i terroristi di al-Qaeda" ("dicevano che dietro Saddam Hussein c'era al-Qaeda e hanno attaccato l'Iraq. Poi la Nato ha attaccato anche l'Afghanistan e il Pakistan con lo stessa motivazione"), il Colonnello ha chiuso bruscamente la telefonata con una minaccia: "Se la situazione dovesse peggiorare ancora, si fermeranno i flussi di petrolio".

TRIPOLI PROMETTE AIUTI AL POPOLO - I gruppi di opposizione libici hanno proclamato per oggi una serie di manifestazioni contro il regime di Muammar Gheddafi. Secondo quanto si legge sui siti dell'opposizione, nelle città in mano ai ribelli si prevedono ingenti manifestazioni contro il raìs. Gli oppositori hanno invitato anche i cittadini di Tripoli a scendere in strada dopo la preghiera del venerdì islamico, ma non è chiaro se l'appello verrà ascoltato o meno.
L'inviato della tv satellitare Al Arabiya, giunto a Tripoli ieri dopo che le autorità libiche hanno invitato i corrispondenti di alcune emittenti, tra cui anche Cnn e Bbc araba, a visitare i luoghi dei presunti bombardamenti, ha affermato che "la notizia dei raid aerei su Tripoli è falsa, in città ci sono stati degli scontri tra manifestanti e polizia ma senza l'uso delle armi".
La tv pubblica di Tripoli ha poi reso noto che le autorità libiche hanno aumentato gli stipendi dei dipendenti pubblici in Libia, come promesso nei giorni scorsi da Gheddafi, e "sono stati aumentati anche i sussidi alle famiglie numerose del paese". In particolare, il governo della Libia ha stanziato 550 dinari, pari a 400 dollari, per ogni famiglia. L'obiettivo, dichiarato da Tripoli, è quello di aiutare il popolo a far fronte all'aumento dei prezzi del cibo. Aumenteranno del 150 per cento, invece, gli stipendi di alcuni lavoratori del pubblico impiego, come ha precisato la tv di stato libica.
Intanto, per protesta contro il regime di Muammar Gheddafi il procuratore generale libico, Abdelrahman Al-Abbar, ha annunciato le sue dimissioni. In un videomessaggio diffuso dalla tv araba Al Jazeera, il procuratore ha affermato: "Mi dimetto perché non posso accettare che sia stato versato tutto questo sangue del mio popolo".
Sempre secondo Al Jazeera, i rivoltosi hanno conquistato la città di Zuara, in Tripolitania, e la città di al-Kufra, nel sud della Libia.
Secondo l'ex ministro dell'Interno libico, Abdel Fattah Yunis, "i ribelli libici che hanno preso il controllo della Cirenaica stanno preparando delle istituzioni indipendenti per gestire l'amministrazione delle città da loro liberate". "Gli insorti tengono saldamente il controllo del territorio nell'est - ha affermato in un'intervista alla tv satellitare Al Arabiya- e si stanno organizzando per gestire ogni attività in quelle zone".
Ieri, Saad Gheddafi, secondogenito del colonnello, ha assicurato: "Controlliamo l'85% della Libia". "Nella maggior parte delle città del paese la situazione è tranquilla - ha dichiarato - sono in mano ai manifestanti solo le città sulla costa della Cirenaica".

L'EMERGENZA SANITARIA - "Ci sono molti medici tra le vittime degli scontri in Libia. Mentre la situazione generale sembra aggravarsi di ora in ora, con un'escalation di violenze". Non solo. "Le vittime sono tante, ma i cadaveri vengono nascosti". E di questo passo "le epidemie saranno inevitabili". Ne dà notizia Foad Aodi, presidente dell'Amsi, Associazione medici di origine straniera, e rappresentante in Italia della comunità del mondo arabo, che in questi giorni è impegnato nel raccogliere notizie provenienti dal Paese nordafricano, attraverso una rete di contatti tra i camici bianchi arabi, nell'area e in Europa. Un lavoro di rete che si avvale anche del supporto di Facebook, attraverso il gruppo 'Uniti per unire'.
Lo scenario "è sempre più drammatico, secondo le notizie che stiamo raccogliendo e verificando", dice Aodi all'Adnkronos Salute. La morte di tanti camici bianchi libici "ci addolora. E ci preoccupa - continua - perché in questo momento c'è grande bisogno di personale in grado di assistere i feriti". Per questo Foad Aod ripropone l'appello, lanciato anche l'altro ieri, perché tutti gli organismi internazionali e i diversi ministri competenti si attivino per trovare i canali giusti in modo di far arrivare operatori sanitari volontari e aiuti alla popolazione.
L'invito è anche ai colleghi italiani a rendersi disponibili per partire in attesa che venga aperto un corridoio sanitario, come ha chiesto anche la Federazione degli Ordini dei medici italiani, che ha lanciato un appello sul tema.

GLI INTERVENTI INTERNAZIONALI CONTRO MUAMMAR GHEDDAFI - Tra le opzioni che l'Unione Europea sta considerando nella preparazione dei piani sulla Libia c'è anche l'ipotesi di un intervento militare a carattere umanitario. Lo hanno rivelato fonti Ue, secondo cui "questa è una possibilità su cui stiamo lavorando". Si tratta di "una questione difficile e complessa", hanno sottolineato le fonti, ricordando che "qualsiasi tipo di intervento militare richiede ovviamente una cornice legale". Un intervento militare di questo tipo potrebbe essere organizzato "sulla base di un'emergenza umanitaria, come mancanza di cibo, acqua, medicinali, ma per il momento non abbiamo informazioni di questo tipo dalle Nazioni Unite e dalle organizzazioni internazionali", hanno spiegato ancora le fonti a Bruxelles, ricordando che al momento l'Ue sostiene il lavoro che le agenzie dell'Onu e le ong stanno facendo in Tunisia ed Egitto, con la messa a punto di piani d'emergenza per ricevere i profughi che dovessero arrivare dalla Libia.
Secondo le cifre fornite dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), tra le 5mila e le ottomila persone si trovano al confine la Tunisia ed un numero minore alla frontiera con l'Egitto. Ma "per il momento - hanno precisato le fonti Ue - non registriamo movimenti verso l'Europa". L'Ue inoltre sta "passando al vaglio la possibilità di evacuazioni via mare, incluso attraverso il ricorso a navi militari che si trovano al momento nell'area mediterranea", ha poi affermato il portavoce della commissaria Ue alla gestione delle crisi e aiuti umanitari Kristalina Georgieva.
La Cina ha offerto all'Ue la sua disponibilità ad evacuare con una nave che ha nella regione diverse centinaia di cittadini europei, ha affermato Raphael Brigandi. "C'è una nave attualmente coordinata dalla Cina che ha 500 posti disponibili per i cittadini Ue", ha detto il portavoce, ricordando che il problema principale è quello dell'evacuazione degli europei rimasti bloccati a Bengasi, dove l'aeroporto è fuori uso. Per questo grazie all'attivazione del Mic, il sistema di coordinamento tra gli stati membri in caso di emergenza umanitaria, tutti i paesi Ue ora stanno "cercando di identificare i mezzi di trasporto disponibili per metterli in comune e accelerare i tempi dei rimpatri", ha sottolineato Brigandi. I costi dei mezzi messi a disposizione dai paesi Ue saranno rimborsati da Bruxelles.
Dopo la telefonata del presidente degli Stati Uniti Barack Obama ai principali leader europei, tra cui anche il premier Silvio Berlusconi, la comunità internazionale comincia a fare le sue prime mosse per risolvere la crisi libica. In un giro di colloqui telefonici, il presidente americano e i principali leader europei (il presidente francese Nicolas Sarkozy, il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e il premier britannico, David Cameron) si sono detti d'accordo nel "mantenere sulla situazione in Libia consultazioni ravvicinate nei giorni a venire".
Intanto, Francia e Gran Bretagna hanno annunciato che chiederanno all'Onu di autorizzare delle misure contro Tripoli, tra cui sanzioni, embargo totale per quanto riguarda il commercio di armi e un'inchiesta internazionale per scoprire eventuali crimini contro l'umanità commessi dal regime libico.
Si muove anche la Nato. Il segretario generale Anders Fogh Rasmussen ha invitato i Paesi membri ad una riunione d'emergenza sulla crisi libica, che si terrà in giornata stessa.
"L'Italia condivide l'opzione della adozione di sanzioni personali e patrimoniali mirate che dovessero essere proposte a livello europeo" ha dichiarato invece il ministro degli Esteri, Franco Frattini, al termine di un incontro con l'omologo tedesco, Guido Westerwelle. Inoltre, l'Italia ritiene che "il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite debba chiedere alle autorità libiche e consentire l'immediato invio di una missione Onu di monitoraggio della situazione sul terreno, che possa altresì avviare un'inchiesta sotto l'egida delle Nazioni Unite sulle gravi violenze in territorio libico". Quanto all'ipotesi di un nuovo governo libico guidato da Gheddafi, il titolare della Farnesina ha spiegato che "chi ha compiuto atti così orribili non può essere evidentemente in nessun modo sostenuto dalla comunità internazionale e quindi neanche dall'Italia, ovviamente".

ARRIVATI DUE C-130 CON GLI ITALIANI - Due C-130 dell'Aeronautica Militare provenienti dalla Libia sono atterrati nel tardo pomeriggio di ieri all'aeroporto militare di Pratica di Mare, nei pressi di Roma. Con l'arrivo dei voli, a distanza di circa un'ora l'uno dall'altro, sono tornati a casa oltre numerosi nostri connazionali diversi cittadini francesi, sloveni e inglesi. Alcuni di loro con in braccio dei bambini, gli occhi stanchi e impauriti.
"Stanno partendo tutti, ma noi italiani non siamo stati in pericolo. La preoccupazione in Libia è che ci sia il caos dopo Gheddafi", ha detto una signora di Bologna, sbarcata dal secondo C-130 (a bordo 97 persone, tra cui 55 italiani) arrivato all'aeroporto intorno alle 20.30. In Italia è giunta anche l'equipe di 11 archeologici della Sapienza diretta dal professore Savinio Di Lernia. Intorno alle ore 19 era arrivato anche l'altro C-130 con a bordo 47 persone (24 italiani e gli altri funzionari dell'Onu, della Fao e di altre organizzazioni). "Le bande si scatenano di notte, abbiamo avuto paura", ha raccontato un altro connazionale appena arrivato. "All'aeroporto è un caos assoluto - ha spiegato un altro testimone - il consolato ci ha assistito, ma molte città sono fantasma. Di giorno la situazione sembra più tranquilla, ma di notte si scatenano le violenze. Quando Gheddafi ha fatto il discorso in televisione, la popolazione ha avuto paura. Il problema è la notte".
Finora sono "1100 gli italiani già rimpatriati, alcuni su voli Alitalia, altri su voli speciali, mentre ne restano meno di 400 che a nostra conoscenza sono ancora in attesa di rientro", ha detto il capo dell'unità di crisi della Farnesina Fabrizio Romano spiegando durante un briefing con la stampa a Roma che molti dei connazionali in attesa di rimpatrio si trovano al momento a Misurata. "Ci sono situazioni di criticità che coinvolgono cittadini italiani", ha poi aggiunto e "queste criticità sono di non facile soluzione". Ma sulla questione c'è "riserbo".
150 italiani bloccati a Misurata - "Sono tutte notizie confuse. In queste ore stiamo sperando che la nave italiana possa entrare nel porto di Misurata e salvarli tutti. Ma fino a quando non sentirò la voce di mio marito Giorgio da quella nave, non avrò pace. Solo allora finirà l'incubo". Lo dice all'Adnkronos Mara Foccoli, pensionata di Lumezzane, comune della provincia di Brescia. Suo marito, Giorgio Foccoli, 58 anni, tecnico capocantiere responsabile della squadra Tecnomontaggi di Brescia, dopo la crisi scoppiata nel paese è bloccato insieme ad altri 149 italiani a Misurata, sul golfo della Sirte, terza città della Libia per popolazione dopo Tripoli e Bengasi.
Sono al campo Lisco, un compound della Lybian Iron Steel Company, vicino al porto. In questi giorni è stato Skype il loro canale di contatto con famiglie e aziende. La via di fuga passa per il mare, perché l'aeroporto di Misurata è in mano ai rivoltosi.
"Gli italiani nel campo Lisco stanno bene - spiega la donna - sanno che si sta facendo di tutto per salvarli e si sentono a un passo dalla sicurezza. Sono in attesa... L'ultimo contato via Skype con mio marito risale alle 12 di ieri. Gli hanno detto di tenersi pronti ma da quel momento non ho più potuto sentirlo, forse non c'è internet... Ora l'importante è venir via da lì, il resto si vedrà dopo".
Il cacciatorpediniere 'Mimbelli' e la nave da trasporto 'San Giorgio' della Marina militare sono in rada davanti al porto di Misurata per dare il via alle operazioni di evacuazione. Le condizioni del mare, particolarmente difficili, hanno impedito finora l'inizio delle manovre, che comunque sono previste al più presto, appena la situazione lo permetterà. Un'altra nave da trasporto della Marina, il 'San Marco', si trova ora nel porto di Augusta e si tiene pronta ad intervenire per contribuire alle operazioni.

AL QAEDA: UN PERICOLO REALE - Un invito a tutti gli estremisti del mondo a escogitare nuovi modi per attaccare l'Occidente è arrivato da Ayman al-Zawahiri, il numero due di al-Qaeda. In un messaggio di 35 minuti diffuso sul web, in cui si sente la sua voce e si vede solo una sua immagine fissa, Zawahiri afferma: "Se non siamo in grado di produrre armi pari a quelle dei crociati occidentali, possiamo sabotare i loro sistemi economici e industriali e prosciugare il loro potere che si batte senza causa, fino a quando non saranno costretti a fuggire". "I mujahidin devono escogitare modi nuovi (di combattere, ndr), modi che non verrebbero mai in mente agli occidentali - dice Zawahiri nel messaggio, il secondo di una serie intitolata 'Messaggio di speranza e buone notizie per il popolo d'Egitto' - Un esempio di questo modo di pensare coraggioso e audace è l'uso degli aerei come armi, come è accaduto nella benedetta invasione di New York, Washington e Pennsylvania" l'11 settembre 2001.
Nel precedente messaggio, Zawahiri aveva elogiato la rivolta in Egitto contro il rais Hosni Mubarak e aveva accusato i cristiani copti del paese di provocare i musulmani e incoraggiare il conflitto.
L'organizzazione di al-Qaeda nel Maghreb islamico è intervenuta con un messaggio, apparso sui forum jihadisti sul web, in sostegno alla rivolta del popolo libico. Il leader libico Muammar "Gheddafi è un assassino, sosteniamo la rivolta degli uomini liberi, nipoti di Omar al-Mukhtar", si legge nel testo.

LE RICCHEZZE E LA FAMIGLIA GHEDDAFI - Il clan di Muammar Gheddafi avrebbe ammassato un ingente 'tesoro' finanziario, tra i proventi del petrolio e investimenti nell'edilizia e nelle tlc. E' quanto emerge dagli ultimi dispacci di WikiLeaks, riportati dal quotidiano Financial Times. Secondo i cablotaggi dei diplomatici Usa i membri della famiglia Gheddafi sarebbero coinvolti in prima persona "in affarri lucrativi" con interessi nel "settore petrolifero e del gas, delle telecomunicazioni, infrastrutture, sviluppo, hotel, media, e distribuzione beni di consumo".
I figli godrebbero delle entrate della compagnia petrolifera nazionale e delle sussidiarie, un settore che genera decine di miliardi di dollari l'anno grazie all'export. I cable spiegano che Saif al-Islam, secondo figlio di Gheddafi e di fatto il suo delfino, ha accesso all'industria petrolifera attraverso la sussidiaria "One-Nine Group". La figlia Aisha Muammar avrebbe stretti legami nel settore energetico e dell'edilizia, mentre il figlio maggiore beneficerebbe degli introiti delle tlc e dei servizi internet. Il terzo figlio Saadi è impegnato con la squadra di calcio, il comitato olimpico e la carriera militare ed è stato coinvolto nella 'guerra' della Coca Cola, intrapresa dal leader libico contro la multinazionale americana. Secondo il colonnello è stato verificato che le sostanze utilizzate per produrre la Coca-Cola provengono dal continente africano nero e quindi pretenderebbe un risarcimento.
Nel 2009 Moamer Kadhafi ha deciso di investire 16 milioni di euro in un hotel ed in uno stabiliimento di imbottigliamento dell'acqua nell'Aquila colpita dal terremoto. Gli attivisti sono sul piede di guerra e chiedono alle autorità finanziarie straniere di rintracciare e quatificare gli asset dei Gheddafi. "Bisogna immediatamente indagare e congelare ogni asset fino alla fine dell'inchiesta" attacca Huguette Labelle, capo del board esecutivo di Transparency International. A fare i conti in tasca al clan ci prova Alister Newton, analista della della banca giapponese Nomura. "Non mi sosprenderebbe se ammontasse a miliardi di dollari" dice al Guardian.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Aki, Corriere.it, Adnkronos Salute]

 

 

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25 febbraio 2011
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