Aborigenal painters
Il linguaggio magico della terra. A Catania un viaggio all’interno dell’Australia, in una mostra di pittori aborigeni
Diciannove pittori australiani contemporanei
Galleria Carta Bianca - Catania, Via F. Riso, 72b
dal 27 febbraio al 19 marzo
Orari: da Lunedì a Venerdì dalle ore 17,00 alle ore 20,00
In assenza di tradizione scritta, l'antichissima cultura aborigena si era trasmessa, insieme alla danza, ai canti, ai riti tribali, attraverso i segni grafici sulle corteccie e le decorazione sul corpo.
La pittura di oggi, seppur trasferita sulle tele, non può essere considerata una mera espressione artistica. E' anche essenza stessa di un mondo e di una civiltà quasi scomparsa, che sopravvive in Australia nelle zone più desertiche, attraverso la vita e i riti delle comunità aborigene in simbiosi con una natura a cui questi uomini sono strettamente legati. Un linguaggio simbolico diverso da tribù a tribù che racchiude tutta la storia di questo popolo.
Le immagini che vediamo riprodotte nelle opere di questa mostra sono i paesaggi reali o mentali del loro Nortwen desert o le rappresentazioni delle antiche Vie dei Canti tracciate dagli antenati, itinerari invisibili e misteriosi come i loro Dreamers, i sogni, parola con cui vengono poi definite tutte le opere.
L'atto stesso del dipingere viene considerato una forma di mediazione tra il sacro della natura, il sovrannaturale, e la comprensione umana, ed è per questo che ogni opera è il frutto di una condizione onirica attraverso la quale ci si avvicina alla conoscenza.
Eppure, sino a pochi decenni fa, il significato dell'arte aborigena era sconosciuto e assolutamente indecifrabile. Così le cortecce di eucalipto dipinte sembravano manufatti d'arte popolare naif, ottimi souvenir a poche lire di un viaggio in Australia.
Nel 1971 un giovane maestro della scuola di Papunya, Geoffrey Bardon, propose ai suoi alunni della comunità di decorare le pareti della scuola con semplici segni grafici a loro naturali. Alcuni anziani custodi offrirono il loro aiuto e poi anche altri aborigeni manifestarono grande interesse per il murales e vollero partecipare alla realizzazione trasportando sui muri quello che da secoli veniva inciso sulla terra durante le cerimonie.
I capi tribù, gli anziani della comunità, diedero la loro approvazione a patto che non venissero rappresentati oggetti sacri o svelati, attraverso i segni, dei segreti iniziatici.
Dal muro alle tele il passo fu breve e così attraverso l'arte non solo venne data continuità al patrimonio culturale degli aborigeni, ma essi stessi attraverso il riconoscimento della loro espressione artistica assicurarono alla comunità aborigena una nuova posizione di rispetto all'interno della società moderna.
Noi occidentali, nonostante una diffusa presa di coscienza degli stermini perpetuati in America, Africa, Australia a danno delle popolazioni autoctone, ancora, dopo secoli, sembra non abbiamo finito di esportare con prepotenza la nostra civiltà e i nostri sistemi politici sempre più asserviti alle logiche di mercato.
Queste opere così piene di sacralità e di trascendenza, così ancorate alla storia e al destino della comunità e così legate al senso di appartenenza, ci costringono, senza retorica, ad una profonda riflessione non tanto sulla condizione degli autori, quanto maggiormente sulla nostra contemporaneità.
Oltre a Mick Namarari, William Sandy, Ronnie Tjampitjinpa, Kathleen Petyarre, Charlie Tjapangati, artisti affermati e conosciuti in tutto il mondo, in questa mostra sono esposte opere di Freda Warlipini, Tony Tjakamarra, Walangkura Napanangka, Tatali Nangala, Johnny Yungut Tjupurrula, George Tjapanangka, Morris Gibson Tjapaltjarri, George Tjungurrayi, Nolan Tjapangati, Willy Tjungurrayi, Pantjiya Nungurrayi, Charlie Wallabi Tjungurrayi, Lorna Napanangka, Giger Tjakamarra.
Francesco Rovella