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Aggrappati a qualsiasi cosa, aggrappati alla speranza

Mentre si susseguono senza sosta sbarchi e tragedie, aumenta l'esercito dei migranti minori soli e 'invisibili'

07 agosto 2015

"È stata una visione orrenda, i migranti si aggrappavano a qualunque cosa per salvarsi. Le persone si aggrappavano disperatamente ai giubbotti di salvataggio, alle barche e a qualunque cosa potessero trovare per salvare le loro vite, mentre altre persone affondavano ed altre erano già morte".
E’ l’atroce racconto di Juan Matias, coordinatore di Medici senza frontiere che, a bordo della Dignity One, era tra i soccorritori del barcone di legno, con a bordo centinaia di persone,  che martedì scorso si è capovolto al largo della Libia.
A bordo del barcone c'erano circa 400 persone, un centinaio delle quali nella stiva, hanno riferito alcuni dei sopravvissuti. E sarebbero proprio questi ultimi a non avercela fatta.

I superstiti e le salme delle vittime sono arrivate ieri al porto di Palermo con la nave della marina militare irlandese Le Niamh. Ad accoglierli uno striscione: "Refugees welcome". A bordo 367 migranti, di cui 24 donne, 13 minori e 25 salme.
Insieme ai sopravvissuti anche cinque scafisti che sono stati fermati dalla squadra mobile di Palermo. Sono libici e algerini. La Procura di Palermo ha aperto un'inchiesta sul naufragio. Tra le 25 vittime ci sarebbero anche tre bambini.

L'ESERCITO DEI MINORI SOLI E "INVISIBILI" - Arrivano soli via mare da Eritrea, Gambia, Nigeria, Somalia, Egitto. Sono giovani, soprattutto adolescenti, che si lasciano alle spalle guerre, fame e violenza, ma anche la loro famiglia. Secondo le stime di Save The Children, dall'inizio dell'anno, degli oltre 8.600 minori sbarcati sulle coste italiane, circa 5.800 sono non accompagnati. La maggior parte di loro cerca di raggiungere parenti o amici in altri Paesi europei. Ma le lunghe procedure amministrative in Italia, li espongono al pericolo di cadere nelle mani dei trafficanti.
Sono ragazzi di 15-17 anni, soprattutto eritrei. Attraversano il mare nella speranza di trovare un lavoro, ma soprattutto per riuscire a raggiungere parenti e amici in altri paesi Europei, in particolare Svezia e Germania. "Il rischio più grande - spiega all'Adnkronos Viviana Valastro, responsabile protezione minori migranti di Save the Children - è che i minori soli, in particolare eritrei e somali, sfiduciati dai racconti negativi di amici e conoscenti, decidano di non farsi foto-segnalare". Diventano così 'invisibili' e rischiano di essere alla mercé di chiunque, in particolare dei trafficanti.

Il passaparola tra connazionali è forte. Questi ragazzi, che sbarcano sulle coste italiane, sanno dove andare per proseguire il loro viaggio verso il nord Europa. "Le due città di riferimento sono Roma e Milano - precisa Valastro - Lì ci sono i trafficanti che ruotano attorno alle stazioni". I giovani eritrei li chiamano nella loro lingua 'delalai', facilitatori, perché grazie a loro in una settimana riescono ad arrivare a destinazione. Sanno che anche quando ci sarebbero le opportunità per un trasferimento regolare, impiegherebbero mesi, in alcuni casi più di un anno. E così si affidano ai trafficanti.
Per riuscire a mettere insieme i soldi sufficienti per proseguire il viaggio, spesso, questi ragazzi soli rischiano di cadere nella trappola dello sfruttamento lavorativo e sessuale.

Un caso particolare riguarda i giovani egiziani. Per arrivare in Europa, precisa Valastro, "le famiglie egiziane fanno investimenti importanti contraendo debiti o vendendo appezzamenti di terra". I ragazzini egiziani che vengono nel nostro Paese, quindi, "vivono con una responsabilità molto forte, il dovere di restituire i soldi ai genitori". Soprattutto se hanno contratto cambiali, i genitori rischiano il carcere o in alcuni casi - racconta la responsabile minori migranti di Save the Children - "gli intermediari minacciano di sequestrare altri figli". E allora questi ragazzi vengono facilmente agganciati in Italia dai loro connazionali soprattutto nei mercati generali, dove lavorano per pochi euro al giorno, o impiegati negli autolavaggi o nei locali kebab. Per loro sembrano tanti soldi e non hanno la percezione di essere sfruttati.

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07 agosto 2015
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