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Ai confini del paradiso

I percorsi esistenziali di sei personaggi alla ricerca di perdono, redenzione e riconciliazione

13 novembre 2007

 






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AI CONFINI DEL PARADISO
di Fatih Akin

Ali, vedovo in pensione, crede di aver trovato la soluzione alla sua solitudine quando incontra la prostituta Yeter, anche lei originaria della Turchia. Propone alla donna di vivere con lui in cambio di uno stipendio mensile. Il figlio di Ali, Nejat, giovane professore di tedesco, disapprova la scelta del padre-padrone, ma finisce ben presto per affezionarsi a Yeter, soprattutto quando scopre che gran parte dei soldi che si guadagna duramente vanno in Turchia, per mantenere la figlia agli studi. La morte accidentale di Yeter allontana ancora di più padre e figlio, emotivamente e fisicamente. Nejat torna a Istanbul per cercare la figlia di Yeter. In realtà, Ayten è un'attivista politica e si trova anche lei in Germania perché ricercata dalla polizia turca e vive in casa di Lotte, una studentessa tedesca, nonostante le rimostranze della madre Susanne, una donna rigida e conservatrice. Giunto in Turchia, Nejat decide di restare e non tornare in Germania. Ayten si vede rifiutata la richiesta di asilo politico e viene estradata in patria. Anche Lotte si reca ad Istambul per cercare di aiutare l'amica, ma deve fare i conti con l'ostile burocrazia turca. Nel frattempo incontra Nejat che la accoglie in casa sua. Infine arriva anche Susanne, decisa ad aiutare la figlia nella sua missione, ed il suo incontro sarà per Nejat occasione di riscoprire i sentimenti perduti nei confronti del padre, che ora vive sulla costa del Mar Nero.
Le vite di sei personaggi si incrociano attraverso percorsi esistenziali alla ricerca di perdono, redenzione e riconciliazione.


Tit Orig Yasamin kiyisinda / Auf der anderen Seite
Anno 2007
Nazione Germania, Turchia
Distribuzione BIM
Durata 122'
Regia e sceneggiatura Fatih Akin
Con Nursel Koese, Hanna Schygulla, Baki Davrak, Patrycia Ziolkowska, Yelda Reynaud, Nurgul Yesilcay
Genere Drammatico


La critica
''Dopo 'La sposa turca', Fatih Akin torna alle identità divise e al gioco di specchi fra immigrati di prima e seconda generazione, ma ribalta il problema. (...) Solo a noi in platea è dato ricostruire questo puzzle di esistenze che Akin smonta e rimonta in un gioco di flashback un poco macchinoso che a tratti ricorda Kieslowski ma anche il (quasi) connazionale Edgar Reitz. Come se con questo 'Auf der anderen Seite', letteralmente 'Dall'altra parte', il regista turco-tedesco avesse voluto fare una specie di 'Heimat' per i senza-'Heimat', parlare della patria di chi non ha patria, oppure ne ha due, che per certi versi è quasi peggio, confrontando opzioni e culture, sentimenti e risentimenti. Con un gioco fin troppo scoperto però, che non coglie fino in fondo le promesse della prima parte, di gran lunga la migliore, quella dedicata ai rapporti fra il padre puttaniere e il figlio intellettuale e irrequieto. Per concentrarsi sul mondo femminile, che Akin tratteggia con generosità ma senza evitare un certo schematismo. Come sempre accade quando anziché vivere i personaggi sono chiamati a dimostrare qualcosa. E alla fine l'immagine che resta sono quelle due bare che passano dalla Germania alla Turchia, e poi dalla Turchia alla Germania. Un monito, e un invito a capire.''
Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero'

''Gli andirivieni, geografici e temporali, sono incessanti, ma il film è di una limpidezza cristallina e conferma l'impressionante talento di Akin, un ragazzo di 33 anni che scrive con il polso fermo del narratore di razza. Il personaggio più toccante è affidato a Hanna Schygulla, l'attrice-simbolo di Fassbinder. E per Akin, turco nato in Germania, esistono due pietre angolari sulle quali sta costruendo la casa del suo cinema: il tedesco Rainer Werner Fassbinder e il turco Yilmaz Guney. Con due simili padri, Fatih andrà lontano.''
Alberto Crespi, 'L'Unità'

''Con la prima parte di 'Auf anderen Seite' ('Dall'altra parte') Fatih Akin poteva aspirare a un premio a Cannes. Ma, mettendo prostituzione, integralismo islamico, guerriglia curda, lesbismo studentesco nello stesso calderone, fa solo confusione. La trovata dei destini che si sfiorano, e a lungo non s'incontrano, tipica da festival, fa il resto. Hanna Schygulla è la madre tedesca, perplessa davanti al tragico amore della figlia (Patrycia Ziolkowska) per una velleitaria terrorista curda (Nurgul Yesilcay).''
Maurizio Cabona, 'Il Giornale'

''In 'Auf der anderen Seite' ('Dall'altra parte') diretto dal regista turco Fatih Akin, 34 anni, la bella sorpresa è una sola: ricompare Hanna Schygulla, un tempo così bella, sensuale e sfrontata, nella parte d'una composta signora borghese non giovane (adesso ha 64 anni), madre d'una ragazza inquieta. Ha sempre quella pelle luminosa alla tedesca, è sempre molto brava. Il film, un poco troppo fitto di episodi collocato tra Amburgo e Istanbul, mescola padri e figli, ragazze militanti politiche e la madre ospitale di una di loro, andirivieni tra Germania, Turchia, e relative carceri, matrigne e zie: nella famiglia allargata agli amici e ai complici, i bambini ladri di strada puntano la pistola, e uccidono. Fatih Akin ha sempre qualcosa di eccessivo, ma il film non è brutto.''
Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'

''Su un altro versante, più apertamente romanzesco e più sensibile alle passioni e ai sentimenti umani, si pone invece il turco tedesco Fatih Akin con 'Auf der Anderei Seite' ('Dall'altro lato'). (...) Vedendo il film si capisce che al regista stanno a cuore tutti i personaggi, e che sono loro che comandano la regia e non viceversa. Eppurenon per questo Akin rinuncia a una sua chiave d'autore. Il continuo gioco di attese e di rimandi tra le due storie e il loro non portare mai a una riconciliazione sentimentale e narrativa esplicita sono l'evidente metafora dei rapporti tra Turchia ed Europa, spesso in cerca di un'attrazione e spesso in linea di collisione. Dimostrando cosi che si può essere un buon regista senza necessariamente dover cancellare le esigenze della narrazione e quelle dell'apertura sul reale.''
Paolo Mereghetti, 'Il Corriere della Sera'

''Il copione, che non ha unità di tempo, ma salta avanti e indietro, è un po' aggiustato con lo scotch. E il film mette davvero troppa carne al fuoco, difetto esiziale quando un progetto è co-prodotto anche da una tv e da vari fondi regionali e federali tedeschi. Nella realtà sono i poliziotti inglesi che sparano freddamente ai brasiliani innocenti nella metropolitana, mentre qui solo i turchi uccidono, mentre le prigioni tedesche espellono i condannati per omicidio (anche se colposo) anche senza indulto, le pistole sono maneggiate solo dagli extracomunitari di ogni età e sesso e il trattamento dei prigionieri è da hotel a cinque stelle...''
Roberto Silvestri, 'Il Manifesto'

Premio per la miglior sceneggiatura e premio della giuria ecumenica al 60mo Festival di Cannes (2007)

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13 novembre 2007
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