Alla celebrazione del Concordato...
...Stato e Chiesa non concordi. Alla celebrazione dei Patti Lateranensi tra divieti intransigenti e vane speranze
Oggi si celebra il Concordato che l'11 febbraio del 1929 stabilì il mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e la Città del Vaticano, quei Patti Lateranensi che 78 anni fa sancirono l'indipendenza e la sovranità della Santa Sede e che crearono lo Stato della Città del Vaticano. Indipendenza dello Stato ecclesiastico che significava anche indipendenza di quello nazionale, il patto, insomma, che avrebbe dovuto concretizzare quel caposaldo della democrazia italiana espressa nella frase: ''Libera Chiesa in Libero Stato''.
La celebrazione di oggi è adombrata dalle tante polemiche nate dal disegno di legge sui ''Dico'', la legge sui diritti e i doveri delle coppie conviventi, che ha visto il protagonismo della Chiesa debordare in più occasioni in maniera inopportuna, e che ha ben descritto quanto sia ancora poca l'indipendenza dello Stato Laico da quello clericale. Adombramento che comunque non fermerà il premier Romano Prodi dall'essere presente alla celebrazione, e durante la quale, per la prima volta dall'esplosione della ''bufera Dico'', potrà guardare negli occhi il presidente della Cei, cardinal Camillo Ruini. Prodi, abituato con i suoi ministri a dover in continuazione mediare, vorrebbe in questa occasione trovare il modo di raffreddare quel clima che tra Chiesa e governo si è andato arroventando nelle ultime settimane, ma dall'altra parte non c'è nessuna voglia di discutere, per la Chiesa la legge sulle coppie di fatto è da cancellare, e il Concordato non ha niente a che vedere con i ''Dico''. Concetto sottolineato ieri in prima pagina sull'Avvenire, il quotidiano dei vescovi, dal prof. Carlo Cardia, uno dei coautori della revisione concordataria del 1984. ''Certi settori laici sviluppano un ragionamento strumentale per mettere in crisi le relazioni tra Stato e Chiesa...'', ha scritto Cardia nell'editoriale. E ha rilanciato: ''Chiunque vede che siamo di fronte ad una specie di ritorsione censoria che chiama in causa questioni che non hanno alcun rapporto tra di loro''.
Insomma, non esiste possibilità di dialogo su di una legge che la Chiesa ha sempre definito un ''attentato nei confronti della famiglia'', e che non può essere accettata dal clero in nessuna maniera e con nessuna correzione, limatura, riscrittura etc. etc. Unica soluzione: la sua netta cancellazione.
Una posizione ribadita da Papa Benedetto XVI anche sabato scorso, che parlando ai nunzi apostolici dei paesi dell'America Latina, ha chiesto una maggiore tutela della famiglia che ''mostra segni di cedimento sotto la pressione di lobby che hanno la capacità di incidere sui processi legislativi''. ''La famiglia - ha detto ancora Papa Ratzinger - merita la nostra attenzione prioritaria: essa può nascere solo dal matrimonio, che è l'unione stabile e fedele tra un uomo e una donna''.
''Divorzi e unioni libere - ha rilevato il Papa - sono in aumento mentre l'adulterio è guardato con ingiustificabile tolleranza. Occorre ribadire che matrimonio e famiglia hanno il loro fondamento nel nucleo più intimo della verità sull'uomo e sul suo destino. Solo sulla roccia dell'amore coniugale, fedele e stabile si può edificare una comunità degna dell'essere umano''.
Secondo il Papa, però, ''non spetta agli ecclesiastici capeggiare aggregazioni politiche ma ai laici cristianamente maturi''.
Posizione intransigente ed oltranzista condivisa anche da una buona parte della politica italiana e, dentro questa, da una parte dei politici del governo. Dentro la Chiesa però, un tono più smorzato sembra esistere, e sembra essere quello dell'arcivescovo di Milano card. Dionigi Tettamanzi, che nei giorni scorsi davanti al Consiglio pastorale (sorta di ''parlamentino'' che comprende una rappresentanza del clero e dei laici impegnati nella diocesi), ha segnato la sua ''terza via'' nella discussione sulla famiglia.
Il cardinale Tettamanzi, infatti, si sente lontano dalla chiamata alle armi dell'''esercito ruiniano'', e non gli piace lo stile aggressivo imboccato dal presidente della Cei, meno che mai gli piace l'idea di una forzatura nei confronti dei deputati cattolici.
Più che alla legge sui ''Dico'', il porporato ritiene vada dedicata più attenzione e cura alla situazione concreta di quanti, giovani e non giovani, hanno scelto la via della convivenza. Tettamanzi ha già esposto i concetti basilare della sua ''terza via'' in un testo di pochi mesi fa intitolato ''L'amore di Dio in mezzo a noi''. ''Un numero sempre crescente di persone, pur provenendo dalle comunità cristiane, non sceglie l'istituzione del matrimonio per vivere il proprio amore'', è scritto. Per i motivi più diversi: paure, fallimenti, incertezza sul futuro. ''Scelgono o il semplice matrimonio civile o la convivenza come espressione del loro amore''. Che fare in questa situazione? L'arcivescovo di Milano ha stabilito un percorso: ''Queste condizioni di vita - è detto nel documento - non possono lasciare indifferente e assente la comunità cristiana. Essa si sente obbligata ad interrogarsi su come essere più vicina a queste persone e a queste situazioni, sia nel loro sorgere come nel loro evolversi lungo gli anni''. Insomma, la via di Tettamanzi, presuppone una Chiesa vicina a chi vive nelle coppie di fatto e, secondo l'espressione dell'arcivescovo, con le quali ''condividere con amore paziente e incoraggiante un cammino verso la verità dell'amore''.
Quindi, attenta osservazione ed ascolto e nessuna parole d'ordine né tanto meno appelli alla mobilitazione o toni allarmisti.
Ci sembra la strada giusta che la Chiesa, sempre più politica negli ultimi tempi, dovrebbe seguire. Un'importante istituzione che ascolta gli umori della società, più che parlare di censura subita e censura inflitta. Umori che si possono leggere anche nell'ultimo sondaggio dell'ISPO (Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione di Renato Mannheimer) che proprio sulla legge dei Dico ha trovato la maggioranza assoluta della popolazione decisamente favorevole sul principio ispiratore della legge: l'attribuzione di molti dei privilegi dei coniugati anche alle coppie conviventi non sposate. Un consenso, però, per lo più rivolto alle sole unioni eterosessuali: la concessione di diritti alle coppie gay è vista da gran parte degli italiani (compresa una quota significativa dell'elettorato di centrosinistra) con molto minor favore.