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Alla Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea di Palermo, una mostra di Marco Colazzo

''Riunire tutto in un'unica figura, senza dipingere persone vere... per delicatezza...''

09 febbraio 2005

La Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea presenta:
MARCO COLAZZO
da giovedì 10 febbraio 2005
Via Garraffello, 25 - Palermo
La galleria è aperta il giovedì dalle 16.00 alle 20.00 gli altri giorni su appuntamento



I quadri di Marco Colazzo mi hanno sempre dato un brivido, fin da quando lo conobbi all'inizio degli anni novanta, a Roma, la sua città. Tanto che da allora penso sempre a Roma ed al lavoro di Marco come due elementi congiunti ed affini. In quegli anni ci siamo frequentati abbastanza forse perché condividevo (e condivido) con lui una certa tendenza all'isolamento. Un'altra cosa che condivido con Marco è uno sforzo radicale nel dipingere, non mediale né mediato da interferenze intellettualistiche. Egli fa, infatti, della pittura un habitat nel quale vita e sogno si intersecano determinando l'una le conseguenze dell'altro. Questa cosa é rara, oggidì, in quanto la tendenza prevalente è quella di realizzare un arte fortemente connessa ed interessata ai linguaggi della comunicazione, da punto a punto, genericamente. L'ottica di Colazzo è invece quella personale, di uno che rischia e, se é il caso, manda pure a fanculo l'arte e tutto il suo teatrino.

Un'altra cosa è la volontà di Marco che insospettabilmente giganteggia; una volta, nel '96 mi pare, lo andai a trovare mentre era alle prese con un impegno per lui molto grande.  Dipingeva da un anno senza pause, senza esitazioni per una importante committenza. Faceva degli enormi quadri che oltre ad offrirci una precisa visione, sembravano tratteggiare un mondo fatto di frammenti, a volte irriconoscibili, di particolari intenti a riconfigurarsi in un unico caotico organismo. Dei fondi action contenevano fra gli intrecci delle pennellate, oggetti anatomici periziosamente dipinti, ricavati da foto fatte a chiunque si prestasse nel giro delle frequentazioni. Ne scaturiva una pittura a 360 gradi, dove l'atto automatista convergeva nel bersaglio dell'approfondimento pittorico. La figura, scomponendosi, rimaneva in rimasugli sparsi fra le maglie nevrotiche del dipingere.
In altre parole, in un quadro astratto bocche, orecchie ed altri dettagli ci puntavano addosso la loro illusoria sensorialità.
Altre volte al posto degli occhi comparivano i dettagli dei sessi, che perdevano il loro senso nel  proporsi isolati, connessi fra loro  soltanto dall'intrigo dell'ordito sfuggente di una pittura astratta.

A distanza di quasi dieci anni da allora Marco l'ho rincontrato a Roma  la scorsa primavera ad una inaugurazione. Si muoveva con quel suo agitato atteggiamento circospetto, quasi mimetico, sfuggente, per niente mondano o fintamente allegro; insomma non proprio un atteggiamento da opening! Dopo esserci salutati da antichi amici, durante la nostra conversazione ho pensato che sarebbe stato bello per me proporre il suo lavoro a Palermo nella galleria di Francesco, in un interregno dove fosse possibile manifestargli tutta la mia ammirazione per la sua pittura, gentile e disincantata. Così ho osato chiedergli se l'idea gli sarebbe piaciuta.
Marco ha acconsentito a venire a Palermo per dare un'occhiata al posto, e così abbiamo passato due giorni a studio  a ricapitolare un sacco di cose occorse in quel lungo periodo nel quale c'eravamo persi di vista. Così la mia convinzione si è fatta ancora più determinata e ho pensato che questa mostra mi permetteva di riscoprire un artista crisalide, ed un vero pittore, tra i pochissimi in quest'Italia non poi così prolifica...

Giorni fa ho ricevuto le immagini dei quadri esposti in questa mostra e ho ulteriormente confermato la mia fiducia e il mio smarrimento al cospetto del lavoro di Marco. I soliti fondali sono adesso abitati da strane figure nelle quali riconosciamo delle marionette che ci rivolgono uno sguardo sintetico, poetico ed enigmatico... chissà?
Ho telefonato a Marco per chiedergli di questa singolare scelta iconografica,  ironicamente, ''chi vorrebbe un pupazzo antropologico nel salotto buono di casa?''. E Marco, ''voglio riunire tutto in una unica figura, però non voglio dipingere una persona vera, per delicatezza...''.
Qualunque pittore oggi fa a gara a chi riesce ad infilare quante più figure possibili in un quadro, e Marco Colazzo si sottrae a questo destino adducendo un pudore come motivazione?
Però è pur vero che questo esercito di personaggi depersonalizzati non ci rappresentano affatto, tutti compresi come sono nella loro parte di comparse senza nome, sotto l'istantaneità di un riflettore che non ha tempo, né pudore. Il lavoro nuovo mi é chiaro, e misterioso, come sempre... Giudicate voi. Se osservassimo cronologicamente, uno per uno, tutti i quadri di Marco ci accorgeremmo che il suo lavoro intero è un racconto della vita, nonostante la sua apparenza surreale, in esso troveremmo una grande coerenza e sincerità.
Le pennellate date in astratto sono forse le superfici mimetiche degli esordi? Lo smembramento del corpo individuale é forse un tentativo di unire attraverso una separazione? In chi o in cosa vogliono riorganizzarsi gli elementi che un tempo erano sparpagliati sul dipinto? Chi guarda chi?

Alessandro Bazan


INFO
Galleria FrancescoPantaleoneArteContemporanea
Tel 091 332482 - 091 326393 - 339 8464500

www.fpac.it

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09 febbraio 2005
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