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Allora chi ha ucciso Mauro De Mauro?

41 anni senza colpevoli: Totò Riina è stato assolto per insufficienza di prove

11 giugno 2011

Sono passati 41 anni e il colpevole dell'omicidio di Mauro De Mauro ancora non si trova. Ieri, la Corte d'Assise di Palermo ha assolto il boss mafioso Totò Riina per il sequestro e l'omicidio del giornalista de 'L'Ora', rapito il 16 settembre 1970 sotto la sua abitazione nel capoluogo siciliano.
I giudici, dopo oltre dieci ore e mezza di camera di consiglio, hanno emesso la sentenza respingendo la richiesta del carcere a vita fatta al termine della requisitoria dal pm. Riina era l'unico imputato al processo. Ad assistere alla lettura della sentenza, nell'aula bunker di Palermo, la figlia di De Mauro, Franca.
Riina è stato assolto per insufficienza di prove. Nel dispositivo letto in aula dal presidente della Corte d'Assise Giancarlo Trizzino, si legge che Riina è stato assolto con l'art. 530, comma 2, cioè con la formula dubitativa. Si tratta di quella che una volta veniva indicata come assoluzione "per insufficienza di prove".
La Corte d'Assise di Palermo ha trasmesso gli atti al pm perché proceda per falsa testimonianza nei confronti di alcuni dei testimoni ascoltati durante il processo. In particolare dell'ex 007 Bruno Contrada, che sta scontando una pena a 10 anni per mafia e dell'avvocato Giuseppe Lupis, uomo dei servizi segreti. Stesso provvedimento per i giornalisti Pietro Zullino e Paolo Pietroni all’epoca redattori di "Epoca", e di Domenico Puleo che avrebbe distrutto il nastro sul quale era registrato l’ultimo intervento pubblico di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni morto sull’aereo sabotato il 26 ottobre 1962 a Bascapè (Pavia). Per Contrada e per altri quattro possibili "depistatori", dunque, nascerà un processo parallelo.

"È una vergogna di 41 anni" sono state le prime parole pronunciate dalla figlia del giornalista assassinato, Franca De Mauro. "E se i depistaggi su mio padre fossero dello Stato?" è la domanda che si pone. "Ma d'altronde in Italia sono tanti i misteri di Stato...", ha aggiunto, accompagnata dal marito Salvo Mirto. "Sono sorpresa dalla sentenza di assoluzione per Riina - ha proseguito la figlia di De Mauro - leggeremo in seguito le motivazioni della sentenza. Ma il fatto che abbiano citato Lupis e Contrada apre uno spiraglio di non indifferenza nella vicenda di mio padre".
Alla domanda se si aspettava l'assoluzione del capomafia di Corleone, la signora De Mauro ha risposto: "Onestamente no. Ascoltando la requisitoria dei pm De Montis e Ingroia pensavo che ci fossero più motivi di colpevolezza nei confronti di Riina, ma pare che non ce ne siano molti. Ci sono una serie di indizi". Poi ha aggiunto: "Sono molto turbata perché dopo 40 anni non abbiamo ancora una risposta su quanto successe quel giorno, adesso aspetteremo altri 90 giorni per capire. Leggeremo le motivazioni della sentenza".
L'assoluzione di Riina "è una sorpresa" anche per l'avvocato Francesco Crescimanno, che con il figlio Giuseppe rappresenta i familiari del giornalista de 'L'Ora': "Nel corso del processo, fra alcuni collaboranti storici e da ultimo il pentito Naimo, si raggiungeva una prova sufficiente per ritenere la responsabilità di Salvatore Riina". Per Crescimanno "probabilmente non si è raggiunta la prova piena per cui vedremo quale delle formule del 530 secondo comma adopereranno nella motivazione". "Non bastano 41 anni per fare emergere la verità - ha aggiunto l'avvocato Crescimanno - è significativo che si siano ritenute false una serie di testimonianze, molte delle quali, cominciando da Bruno Contrada e proseguendo con alcuni giornalisti hanno manifestato chiare reticenze. Non sono dovute a vuoti di memoria o incompletezza dei ricordi ma a una strategia di fumogeni. In questa vicenda, per un modo o per un altro, non si deve arrivare alla verità. In aula sono stati portati faldoni di carte ma all'interno dei quali non c'era un solo documento che riguardasse De Mauro, il che è assolutamente incredibile".

"Sono stupito da questa sentenza - ha commentato all'Adnkronos anche il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia - Ero e resto convinto che l'impianto probatorio fosse solido, ma rispettiamo la sentenza che non condividiamo. Leggeremo le motivazioni e certamente faremo ricorso". Ingroia, che non era presente alla sentenza perché fuori Palermo, ha sottolineato che, visto il comma 2 dell'art. 530, cioè l'assoluzione per insufficienza di prove, "evidentemente i giudici non hanno ritenuto adeguatamente provato l'impianto accusatorio anche se noi restiamo convinti del contrario. Leggeremo la sentenza con rispetto, come sempre. Seppure non condividiamo le conclusioni dei giudici".
Di avviso diverso il difensore di Riina, l'avvocato Luca Cianferoni, secondo il quale "la Corte d'Assise di Palermo ha scritto, con l'assoluzione di Salvatore Riina, una pagina storica. E' una pagina importante perché lo Stato ha saputo dire no alla normalizzazione voluta da forze oscure che per decenni hanno impedito alla verità di emergere su fatti che hanno segnato la storia del Paese". Riina è difeso anche dall'avvocato Giovanni Anania.

L’unica certezza del caso De Mauro, però, restano i depistaggi, che avrebbero ostacolato l’indagine sin dall’inizio. "Questo è un processo di mafia, ma non solo", aveva detto nella requisitoria il procuratore Ingroia, che ha sostenuto l'accusa assieme al collega Sergio Demontis: "Non fu solo Cosa nostra a volere la morte del cronista de L'Ora - questa la tesi della Procura di Palermo - c'erano anche altri ambienti e personaggi interessati, altre organizzazioni non mafiose alleate con Cosa nostra: dalla massoneria deviata alla destra eversiva golpista, dai servizi segreti infedeli a un certo mondo della finanza e della politica".
Secondo la ricostruzione dell'accusa, sarebbero stati in molti a voler fermare lo scoop che De Mauro aveva annunciato a pochi amici, ai familiari e forse a qualcuno che potrebbe averlo tradito: dal processo è emerso che il giornalista palermitano aveva scoperto qualcosa di importante sulla morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei, ucciso il 27 ottobre 1962 dall'esplosione dell'aereo che lo stava riportando a Milano dopo una visita in Sicilia. Questo hanno ipotizzato i pentiti Mutolo, Buscetta e Grado. O forse De Mauro aveva scoperto che il principe Junio Valerio Borghese stava preparando un colpo di Stato, per il dicembre di quel 1970. Così sostiene un altro pentito, Francesco Di Carlo. Nel primo, come nel secondo episodio, i padrini di Cosa nostra avrebbero avuto un ruolo. Il cronista del giornale "L'Ora" l'aveva scoperto da alcune sue fonti rimaste ignote, forse all'interno dell'organizzazione mafiosa. Ma le dichiarazioni dei pentiti non sono bastate per la condanna di Riina.
Di certo, l'inchiesta sull'omicidio De Mauro è stata scandita da pesanti depistaggi, iniziati sin da subito. Ecco perché la prima sentenza arriva solo quarant'anni dopo. "Furono depistaggi magistrali messi in atto da esponenti della polizia, dei carabinieri e dei servizi segreti", così li hanno descritti i pm nel corso della requisitoria. E perché la verità non si scoprisse, scomparvero presto nove pagine degli appunti che De Mauro aveva raccolto durante l'indagine su Mattei, commissionata dal regista Francesco Rosi. I fogli erano al giornale "L'Ora", nei cassetti di una scrivania che furono aperti il giorno dopo il sequestro dai vertici del quotidiano, prima ancora dell'arrivo della polizia.
Perché negli ultimi tempi un cronista investigativo di razza come De Mauro era stato trasferito allo sport? Se lo sono chiesti i pubblici ministeri: "De Mauro fu tradito dal suo stesso ambiente? - hanno proseguito Ingroia e Demontis - Qualche potente aveva influenza su L'Ora?".
Nell'aula della corte d'assise è risuonato il nome dell'avvocato Vito Guarrasi, uno dei potenti di Palermo, spesso sfiorato dal sospetto di essere il trait-d'union fra la mafia e i poteri occulti d'Italia. E' morto nel 1999, senza che mai quei sospetti si fossero trasformati in un'inchiesta a suo carico. Solo dopo la morte di De Mauro, qualche investigatore della squadra politica della questura di Palermo aveva aperto un fascicolo a nome "Guarrasi". E aveva anche intercettato le telefonate di un commercialista che sembrava essere la longa manus dell'avvocato: era quell'enigmatico Nino Buttafuoco che si era proposto di aiutare la famiglia De Mauro dopo il sequestro. Ma pure le bobine delle intercettazioni sono sparite. Non si trovano più neanche le trascrizioni.

"Quello di De Mauro è destinato a restare un altro mistero d’Italia" - "L’avevo conosciuto sul set di Salvatore Giuliano e avevo avuto la sensazione netta che si trattasse di un giornalista straordinario". Il regista Franco Rosi, in un’intervista al Corriere della Sera ricorda così Mauro De Mauro, all’indomani della sentenza che ha assolto Totò Riina, imputato nel processo per il sequestro e omicidio del cronista, avvenuti 40 anni fa. De Mauro era stato chiamato da Rosi per ricostruire sul campo le ultime giornate siciliane "tra corse a Gagliano Castelferrato del presidente dell’Eni, Enrico Mattei, prima di salire sul Morane Saulinier", precipitato in un campo, in provincia di Pavia.
Rosi fu sentito anche dai magistrati, in seguito alla scomparsa di De Mauro. "Decisi di apparire in prima persona - afferma il regista - proprio per rendere un tributo a Mauro, del quale si erano perse le tracce da oltre un anno, e per dimostrare il mio rispetto nei suoi confronti. Mi esposi in prima persona per parlare di lui e purtroppo siamo ancora alle ipotesi fatte nel film". "Quarantuno anni dopo la scomparsa di De Mauro – aggiunge – si torna al punto di partenza. Un altro mistero italiano destinato a rimanere tale".
Il regista afferma di non sentirsi in colpa per la scomparsa del giornalista e aggiunge una considerazione sulla mafia: "credo che il potere della mafia consista anche nel portare avanti relazioni con una verità intellegibile soltanto agli uomini di Cosa Nostra".

[Inforrmazioni tratte da Adnkronos/Ing, Repubblica/Palermo.it, LiveSicilia.it]

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11 giugno 2011
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