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Altri 30 anni a Bernardo Provenzano

Condanna complessiva a 66 anni di reclusione per 7 dei 9 imputati del processo 'Grande Mandamento'

30 luglio 2008

Per scontare tutti gli anni di carcere che la Giustizia ha riconosciuto che Bernardo Provenzeno deve scontare per espiare le sue tante colpe, all'uomo che rimase latitante per oltre 40 anni gli occorrerebbero più vite.
All'inizio di luglio il numero degli ergastoli confermati a 'Binnu' Provenzano era salito a 13, e se a questi si  aggiungono gli altri tre che gli sono stati inflitti in procedimenti conclusi in primo grado, si arriva alla cifra record di 16 [LEGGI].
 
La Giustizia però continua a trovare reati a lui attribuibili e che si tramutano in ulteriori anni di galera. Giusto ieri i giudici della III sezione del tribunale di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti, hanno condannato complessivamente a 66 anni di reclusione sette dei nove imputati del processo denominato "Grande Mandamento". Alla sbarra, tra gli altri, c'erano Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo, condannati rispettivamente a 30 anni e 10 anni. Per loro le accuse erano di associazione mafiosa ed estorsione.

Sono stati invece assolti il capomafia Nicolò Eucaliptus - rispondeva di mafia - e l'imprenditore Lorenzo Settipani, accusato di favoreggiamento aggravato. Il procedimento nasce da un'inchiesta del 2005, della Dda di Palermo, che portò in carcere decine di colonnelli e gregari del capomafia Bernardo Provenzano.
L'indagine ricostruì l'organigramma delle cosche palermitane, la rete dei pizzini attraverso i quali Provenzano comunicava con gli affiliati durante la latitanza e il viaggio a Marsiglia del padrino di Corleone, che scelse una clinica francese per farsi operare mentre era ricercato.
Oltre a Provenzano e Lo Piccolo, sono stati condannati Nicolò Cirrito (3 anni), Andrea Panno (9 anni e 6 mesi), Antonino Morreale (9 anni e sei mesi). Tutti e tre erano accusati di mafia. Per Cirrito l'imputazione è stata derubricata nel reato di fittizia intestazione di beni. Condannati a 2 anni gli imprenditori Giovan Battista Corvaia e Rosario Siciliano: non ammettendo di avere subito richieste estorsive, nonostante le prove raccolte dagli investigatori, avrebbero agevolato Cosa nostra.
Quello celebrato ieri è uno dei due procedimenti nati dall'inchiesta. Un altro, celebrato col rito abbreviato, si è già concluso con la sentenza d'appello. 

[Informazioni tratte da La Siciliaweb.it]

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30 luglio 2008
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