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Nelle spese e nei conti delIa Regione Siciliana. 20 anni fa la prima inchiesta

02 ottobre 2012

AGGIORNAMENTO
L'ufficio di presidenza dell'Assemblea regionale siciliana, riunito stamattina da Francesco Cascio (Pdl), ha deliberato tagli immediati per 4,1 milioni all'anno, per un totale di 20,4 milioni per l'intera legislatura.

Lo stesso Cascio aveva consegnato al procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci una corposa documentazione sui fondi assegnati dall'Assemblea regionale ai gruppi parlamentari. Il materiale è finito agli atti dell'inchiesta a carico di ignoti aperta dai pm nelle scorse settimane relativa alle spese sostenute dai rappresentanti dei partiti.
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Il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Francesco Cascio, ha consegnato ieri al procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci una corposa documentazione sui fondi assegnati dall'Ars ai gruppi parlamentari. Il materiale è finito agli atti dell'inchiesta a carico di ignoti aperta dai pm nelle scorse settimane relativa alle spese sostenute dai rappresentanti dei partiti. Tra i documenti messi a disposizione dei magistrati, oltre a tutti i contributi dati nel corso del 2012 ai gruppi per le attività parlamentari, le spese per il personale e per i portaborse, anche la legislazione sulla materia.
Insieme al presidente dell'Ars e al legale Enrico Sanseverino, in Procura è andato il segretario generale dell'Assemblea Giovanni Tomasello, che è stato sentito come teste nel processo all'ex deputato regionale Alberto Acierno, finito sotto accusa per l'utilizzo dei fondi del Gruppo misto e poi della Fondazione Federico II.

L'inchiesta avviata dalla Procura di Palermo sulle spese dei gruppi parlamentari dell'Assemblea siciliana, comunque, non è la prima che investe i costi della politica alla Regione. Quasi venti anni fa un duro scontro istituzionale, sciolto poi dalla Consulta, fece emergere una montagna di spese allegre che i deputati regionali sostenevano dietro lo scudo della "autonomia regionale". Protagonista fu Pino Zingale - allora giovane magistrato della Procura della Corte dei conti e ora consigliere di Corte d'appello - che riuscì a far restituire all'erario buona parte delle somme spese in viaggi, telefonate e benefit estesi anche a familiari e amici dei deputati e, soprattutto, costrinse l'Ars a diventare un po’ più "italiana" agganciando il suo regolamento a quello del Senato.

"La vicenda ebbe inizio verso la metà del 1993 - ha ricostruito Zingale - prendendo lo spunto da un articolo del Giornale di Sicilia che segnalava una serie di stranezze nel trattamento economico di deputati e dipendenti dell'Ars". Dopo alcune perplessità da parte dell'allora Procuratore Regionale l'indagine fu aperta e assegnata all'intraprendente pm. "Il primo atto conoscitivo - ha raccontato - consistette in una telefonata che feci all'allora segretario generale dell'Ars, Ninni Giuffrida, preannunciandogli una mia visita per la quale mi sarei fatto accompagnare da un ufficiale della Guardia di Finanza , finalizzata a concordare con il Presidente dell'Ars i tempi ed i modi di acquisizione della documentazione necessaria all'indagine, e ciò quale segno di rispetto per la natura costituzionale e legislativa dell'organo. Il segretario generale fu estremamente cortese e disponibile e mi pregò, soltanto, di evitare che l'ufficiale che lo accompagnava fosse in divisa, cosa che, a suo dire, avrebbe messo a disagio l'Ars". "Accondiscesi molto volentieri - ha ricordato Zingale -. Al nostro arrivo percepii molto nettamente una grande dose di diffidenza che non tardò a manifestarsi: avevano intuito molto chiaramente che se l'indagine avesse avuto un seguito ci sarebbero state delle conseguenze. L'Ars era e dovrebbe essere tuttora allineata al Senato della Repubblica ma, evidentemente, qualcosa non quadrava".

Alla richiesta di potere acquisire la documentazione necessaria a verificare che il trattamento economico di deputati e dipendenti fosse effettivamente in linea con quello del Senato, fu risposto che sarebbe stata esaminata dal Presidente dell'Ars. La reazione che ne seguì aprì invece uno scontro istituzionale senza precedenti.
"Tornando a casa trovai mia moglie terrorizzata perché il Tg regionale parlava della mia visita all'Ars - ha raccontato ancora il giudice - Veniva riferito che in Assemblea un deputato aveva persino chiesto che fossi denunciato all'Autorità Giudiziaria Ordinaria per attentato contro le assemblee regionali, un reato che all'epoca dei fatti prevedeva una pena non inferiore a dieci anni e che, comunque, mi fosse revocato il 'placet' che all'epoca il Governo regionale doveva rilasciare a tutti i magistrati della Corte dei conti destinati a prestare servizio in Sicilia. Devo dire che non avvenne né l'una né l'altra cosa perché l'allora Presidente dell'Ars, Nicola Cristaldi, assunse una posizione di grande equilibrio e fu tra i pochi ad apprezzare e difendere l'iniziativa della Procura della Corte".
Ma ovviamente Cristaldi doveva tener conto delle indicazioni che gli provenivano dai deputati i quali sollecitavano la "tutela" del Parlamento regionale. A fine dicembre 1993 l'Ars depositò presso la Corte Costituzionale il ricorso che sollevava il conflitto di attribuzioni con la Procura della Corte dei conti. In quella occasione, con un'apertura che nessuno si aspettava, la Consulta decise che la Procura contabile potesse indagare sull'Ars, sia pure limitatamente alle sole attività amministrative. I documenti acquisiti consentirono, però, di scoprire alcune "amenità": la più rilevante era quella che prevedeva per deputati, dipendenti e parenti entro un certo grado, il rimborso dei biglietti aerei di viaggio, anche per fini per così dire ricreativi o culturali. Così la Corte dei conti costrinse l'Ars a tassarlo per il passato.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it]

- Un'inchiesta sui fondi pubblici dell'Ars (Guidasicilia.it, 26/09/12)

 

 

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02 ottobre 2012
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