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Anche il vento respinge i migranti

Su Lampedusa soffia il Maestrale che non consente gli sbarchi... L'isola è ancora scossa dalla tragedia sfiorata di ieri

10 maggio 2011

Il vento di Maestrale, che raffiche che superano i 20 nodi e mare forza 5 nel Canale di Sicilia, blocca gli sbarchi a Lampedusa, dove dall'alba di domenica, quando un barcone si è incagliato sugli scogli dell'isola (LEGGI), non si registrano arrivi.
Ieri, poco dopo le 22, è salpata da Lampedusa la nave 'Excelsior', con circa 800 profughi a bordo, diretti a Cagliari. A Lampedusa restano un centinaio di minori non accompagnati, giunti dalle coste libiche, e circa 80 tunisini che aspettano il ripristino del ponte aereo, bloccato dallo scorso giovedì.
Intanto, la procura di Agrigento ha aperto un'inchiesta sulla morte dei tre giovani migranti trovati ieri accanto al barcone incagliato. I corpi dei naufraghi sono stati trasportati nel poliambulatorio dell'isola e per la loro sepoltura si aspettano le decisioni dei magistrati, che potrebbero chiedere l'autopsia. Da un primo esame medico effettuato dal direttore del poliambulatorio sembra che due dei giovani siano morti per annegamento, un terzo invece per schiacciamento. Il giovane aveva una profonda ferita lacero contusa sul cranio con fuoriuscita di materiale organico.

I tre migranti potrebbero venire tumulati "domani o al massimo dopodomani nel cimitero di Lampedusa". Lo ha detto all'Adnkronos il sindaco dell'isola, Bernardino De Rubeis, che ha autorizzato la tumulazione. "Sarò fuori Lampedusa fino a questa sera - ha spiegato - per questo aspetteremo domani per la tumulazione. Dobbiamo trovare uno spazio al cimitero, credo nel vecchio cimitero, nella nuda terra, perché non ci sono altri spazi. Oppure saremo costretti a requisire temporaneamente dei loculi. Le bare dei tre cadaveri senza nome sono già state saldate e si trovano all'obitorio del cimitero in attesa della tumulazione", prosegue ancora il sindaco annunciando che al cimitero di Lampedusa nascerà un apposito spazio per gli immigrati senza nome che muoiono durante il tragitto verso l'isola. "Abbiamo avuto un finanziamento di 67mila euro per la riqualificazione del cimitero - ha spiegato - quindi abbiamo pensato di creare un'apposita area per i migranti anonimi che meritano una degna sepoltura". Nascerà così "un angolo dove sistemare gli immigrati con una lapide in marmo per ricordare il loro sacrificio in nome della libertà".
Già esistono al cimitero degli spazi dove sono sepolti i cadaveri di alcuni migranti che non sono mai stati identificati il cosiddetto 'cimitero dei senza nome' sono piccole croci con la data di morte e null'altro.

Lampedusa, l'isola dove si muore e si nasce due volte. La storia del piccolo Severine (dall'inviato dell'Adnkronos Elvira Terranova, 9 maggio) - Ottocento profughi sono stati appena portati in salvo, c'è un altro barcone in arrivo, ma si pensa che sarà la solita operazione di routine. Gli altri decidono di andare via, io resto. Si scorgono le luci della motovedetta della Guardia di Finanza che lampeggiavano in direzione del molo. Ci chiediamo tutti che fine abbia fatto la barca con i profughi. All'improvviso si sentono in lontananza delle grida. Iniziamo a seguire la scia di quelle urla disumane e saliamo lungo la scogliera dietro il molo. C'è un buio pesto e gli scogli sono appuntiti. Le grida sono sempre più vicine.
All'improvviso vedo passarmi accanto due uomini di colore, tutti fradici d'acqua, che tremano e corrono senza meta. Dicono solo "Help us, help us, please". Qualcuno inciampa e cade. Solo dopo qualche passo capiamo cosa succede. La scena che si presenta ai nostri occhi è davvero raccapricciante. Il barcone con gli oltre 500 profughi a bordo si è incagliato sugli scogli, proprio ai piedi del monumento dedicato agli immigrati a 'Cavallo bianco', nei pressi di Cala Francese. C'è buio fitto ma si intravedono gli uomini, le donne, i bambini che sono aggrappati alla barca e gridano. Sono terrorizzati. Io in quell'istante dimentico di essere lì per raccontare ciò che accade ma mi precipito sugli scogli insieme ai poliziotti, ai finanzieri e alle organizzazioni umanitarie per dare una mano.
E' il caos più totale. Una decina di profughi decidono di gettarsi in acqua perché la barca continua a ondeggiare pericolosamente. Un poliziotto accanto a me dice quasi sottovoce: "Questa è una tragedia". Ma anche lui si precipita giù. I piedi fanno male perché gli scogli sono appuntiti, non si vede nulla e il mare mosso arriva a bagnarci tutti. Poi, finalmente arrivano le prime luci fotoelettriche. Ma non bastano. La motovedetta arriva ma non può avvicinarsi perché il fondale è troppo basso. Così manda un fascio di luce sulla barca.
Illuminato dalla luce lo spettacolo è ancora più agghiacciante. La risacca e il mare mosso fanno più volte rischiare al barcone di rovesciarsi. In pochi minuti viene organizzata una catena umana. I primi sono i sommozzatori della Guardia costiera, che si avvicinano al barcone, poi i finanzieri, i poliziotti, gli uomini della Guardia costiera. Anch'io sono tra loro. Non penso a nulla. Penso solo a tentare di salvare più gente possibile. E' l'unico mio desiderio.
Decine di profughi si gettano in acqua senza sapere nuotare. Vengono presi dai sommozzatori. Ma il momento più difficile deve ancora arrivare. All'improvviso si affacciano dal barcone le mamme con in braccio i bambini. Sono disperate. Non sanno come arrivare a riva. Sono appena cinque-sei metri, ma la risacca riporta indietro la barca e la fa sbattere.


Elvira Terranova e il piccolo Severine

E' il caos più totale. Le mamme si buttano in acqua con i bambini ma nel finire in mare l'abbraccio si scioglie. I sommozzatori prendono subito i bimbi, poi le mamme. Li passano con la catena umana. Prendo i bambini che mi vengono passati in braccio. Tra loro c'è una bambina di cinque anni circa. Nel cadere in acqua le sono caduti i pantaloni e si vergogna. Non pensa di avere appena scampato un pericolo di morte. La prendo in braccio. E' pesante, ma non sento il peso. Rischio di scivolare sugli scogli. E' sempre più buio. La porto al sicuro, più in alto e la affido a Viviana di Save the children. Poi arrivano altri bambini dall'acqua. Li afferro al volo. Li prendo in braccio. Li coccolo. Li rassicuro. Li porto fin su. Lontani dall'acqua. Poi è la volta di una donna di colore in avanzato stato di gravidanza. Si tiene con le mani il pancione. Piange e grida dal dolore. Chiedo l'intervento di un medico. Ma il dottore è già impegnato altrove, Non so cosa fare. La faccio sede sullo scoglio. La accarezzo e tento di asciugarla. Le accarezzo la pancia e le dico: 'be quiet, your baby will be ok'. Ma non se sono sicura. Cerco di darmi forza. Poi finalmente arriva il medico.
Sono quasi le cinque e i profughi continuano a gettarsi dalla barca. Sono stremati. Anch'io. Ma non sento la fatica. Ci sono vite da salvare. Un tenente della Guardia di Finanza, Davide Miserendino, è sfinito. Si è gettato una decina di volte in acqua per prendere i bambini. Un commissario di Polizia, Corrado Empoli, ogni tanto mi viene vicino e mi chiede se va tutto bene. Io lo guardo e non so cosa rispondere. Ho paura di non farcela. A volte, quando i profughi mi si aggrappano al corpo, impauriti involontariamente mi buttano giù. Io mi rialzo, dolorante. Ma contenta di essere riuscita a portare in salvo tanta gente. Sul barcone non c'è più nessuno. Siamo tutti inzuppati di acqua. Ma nessuno di noi ci fa caso. Ci guardiamo in faccia. "E ora?". Ci chiediamo con gli occhi, senza parlarci. Ma non è ancora finita. Cinque dei bambini salvati dalla morte sono senza genitori. Non si trovano.
Prendo in braccio un bimbo nudo, tremante, infreddolito. E' avvolto in una coperta. Lo guardo e lo tengo stretto stretto. Ora il problema è trovare la sua mamma. Se è ancora viva. Vengo accompagnata all'Area di marina protetta, dove sono stati accompagnati i profughi appena salvati. Inizia un nuovo calvario. Alcune donne mi guardano con lo sguardo interrogativo e sperano che sia il loro bambino. Ma passa almeno un'altra mezz'ora prima di scorgere una donna seduta a terra che piange disperata e grida: "My baby, my baby". La guardo, mi inginocchio accanto a lei e le chiedo: "It's your baby?" e lei incredula alza gli occhi al cielo e grida: "God, my God, Severine".
E' lui. Il piccolo che tengo forte in braccio. Si chiama Severine ha quattro mesi. E' nigeriano. Lo consegno alla sua mamma e finalmente sorride, anche con gli occhi. E' finito un incubo. Severine torna con la sua mamma. Sono quasi le sei e mezza del mattino e sono bagnata fradicia. Ma non importa. Lo sguardo di Madeline, la mamma di Severine, mi ripagano di tutte le fatiche immense delle due ore appena trascorse. Per me è un giorno felice. Ma la felicità dura solo un giorno. La gioia di essere riusciti, tutti quanti insieme, a salvare 527 persone, viene offuscata dalla notizia dei tre cadaveri ritrovati oggi sotto il barcone ancora incagliato. Ma cerco di pensare alle tante vite salvate. E a Severine. Anche lui ce l'ha fatta.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing]

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10 maggio 2011
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