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Ancora ostacoli per l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia

La Procura generale della Cassazione apre un indagine disciplinare sui Pm di Palermo

08 agosto 2012

La Procura di Palermo ha espresso parere negativo sulla richiesta dei legali dell'ex ministro Nicola Mancino di stralciare la posizione del politico da quella degli altri indagati nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia.
Per i difensori di Mancino, indagato per falsa testimonianza, non ci sarebbe connessione sostanziale tra la sua posizione e quella degli altri 11, tra boss, politici ed esponenti dell'Arma, accusati di violenza o minaccia a Corpo politico dello Stato. Non la pensa così il pm Nino Di Matteo che ha motivato il suo no allo stralcio con lo "strettissimo collegamento probatorio" tra le vicende contestate all'ex ministro e quelle contestate agli altri indagati. Tanto che una separazione comporterebbe un'inutile duplicazione delle acquisizioni probatorie.
Sulla istanza dei legali, però, l'ultima parola spetta al gup Piergiorgio Morosini che il 29 ottobre deciderà la questione durante la celebrazione dell'udienza preliminare.

Intanto, la Procura generale della Cassazione ha aperto un procedimento disciplinare a carico del Procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo e il suo sostituto, Nino Di Matteo, titolare dell’inchiesta sulla trattativa (con il Procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i pm Lia Sava e Francesco Del Bene). Il pg della Cassazione, Gianfranco Ciani, titolare dell'azione disciplinare sui magistrati insieme al guardasigilli, come riportato dal Fatto Quotidiano, il 2 agosto scorso ha chiesto a Messineo chiarimenti su un'intervista rilasciata a La Repubblica da Di Matteo. Nel botta e risposta col giornalista il magistrato rivendicava la fondatezza dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia e bacchettava i silenzi di chi nelle istituzioni con reticenze o incomprensibili ritardi "ha di fatto ostacolato la ricerca della verità".
Parole pesanti che per il pg, che ha delegato l'istruttoria al sostituto Mario Fresa, entrerebbero nel merito di indagini riservate. Ma non solo: la legge Mastella prevede che i pm e gli aggiunti possano rilasciare dichiarazioni solo dietro espressa autorizzazione del capo della Procura. Perciò Ciani ha chiesto a Messineo se abbia autorizzato Di Matteo a rilasciare l'intervista e "qualora ciò non fosse avvenuto, perché non ha segnalato il caso".

Né Messineo, che sta preparando la risposta da inviare alla Procura generale, né Di Matteo vogliono commentare la vicenda, ma di fatto entrambi, per motivi diversi, rischiano ora un'incolpazione davanti al Csm e l'avvio formale del procedimento disciplinare.
"Sono scandalizzato. È un'iniziativa senza precedenti, un unicum assoluto, una vicenda inquietante e sinistra": non usa mezzi termini il procuratore aggiunto di Palermo, Vittorio Teresi, segretario della giunta distrettuale dell'Anm, nel commentare l'apertura del fascicolo a carico del collega Di Matteo e del procuratore Messineo.

La Procura generale apre indagine disciplinare su Pm di Palermo
di Giuseppe Lo Bianco e Antonella Mascali (Il Fatto Quotidiano del 7 agosto 2012)

Il fascicolo è aperto, l’indagine disciplinare è avviata: la Procura generale della Cassazione ha già raccolto un sostanzioso carteggio in base al quale valuterà se mettere sotto processo disciplinare il Procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo e il suo sostituto, Nino Di Matteo, titolare dell’inchiesta sulla trattativa Stato-Cosa Nostra (con il Procuratore aggiunto Antonio Ingroia e i pm Lia Sava e Francesco Del Bene). Secondo quanto risulta al Fatto il Procuratore generale Gianfranco Ciani ha ordinato al sostituto Pg Mario Fresa di verificare se Di Matteo abbia violato il principio della riservatezza delle indagini. E se il procuratore Messineo abbia o non abbia autorizzato il suo sostituto (sulla base della legge Mastella) a rilasciare interviste. I magistrati coinvolti non vogliono né confermare la notizia né tantomeno rilasciare dichiarazioni. Il procuratore Messineo risponde che, se la notizia fosse vera, "si tratterebbe di un fatto riservato sul quale non posso dire nulla". Il pm Di Matteo cade dalle nuvole, ma si dice "tranquillo".
Il caso disciplinare ruota attorno a un'intervista del 22 giugno rilasciata da Di Matteo a Repubblica subito dopo che la vicenda Mancino-Quirinale finisce sui giornali. Il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari pubblica per primo alcuni spezzoni delle intercettazioni (depositate) tra l'ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, e Loris D'Ambrosio, consigliere giuridico del presidente Giorgio Napolitano. Il Fatto intervista D'Ambrosio, che conferma le conversazioni con Mancino.

Ma è il settimanale Panorama, con un'anticipazione alle agenzie, a rivelare che in mano alla Procura di Palermo ci sono anche conversazioni telefoniche tra l'ex ministro e Napolitano. E quando l'intervistatrice di Repubblica ne chiede conferma a Di Matteo, il pm risponde prudente: "Negli atti depositati (sono le conclusioni dell'inchiesta trattativa, ndr) non c'è traccia di conversazioni con il capo dello Stato e questo significa che non sono minimamente rilevanti". Alla domanda in merito alla distruzione delle telefonate non depositate (non solo quelle con la voce del Presidente, ma tutte le altre), Di Matteo risponde: "Noi applicheremo la legge in vigore. Quelle che dovranno essere distrutte con l'instaurazione di un procedimento davanti al gip saranno distrutte, quelle che riguardano altri fatti da sviluppare saranno utilizzate in altri procedimenti".
Ecco, sono questi i passaggi dell’intervista che vengono vagliati con la lente di ingrandimento dalla Procura generale della Cassazione guidata da Ciani. Lo stesso che, su input del Quirinale, chiese invano un intervento del procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, sui magistrati di Palermo , su richiesta e a favore di Mancino.
L'intervista di Di Matteo, secondo indiscrezioni, sarebbe uno dei motivi che hanno portato il Presidente della Repubblica a sollevare il conflitto contro la Procura di Palermo davanti alla Corte costituzionale. Sarebbe stata letta quasi come una sfida, una mancanza di rispetto istituzionale.

Per le dichiarazioni di giugno a Repubblica, Di Matteo, senza essere citato per nome, aveva ricevuto una sorta di preavviso di azione disciplinare a mezzo stampa sulla prima pagina dello stesso quotidiano nell'editoriale domenicale, di Eugenio Scalfari del 29 luglio. Che, a proposito della morte per infarto di D'Ambrosio, aveva scritto: "I procuratori di Palermo non possono essere tacciati d'aver fatto campagna contro D'Ambrosio. L'hanno interrogato, ma questo entrava nei loro diritti-doveri di titolari dell'azione penale. I loro uffici tuttavia hanno provvisto di munizioni alcuni dei giornali che si sono distinti in questa campagna. Dico i loro uffici. Può esser stato un addetto alla polizia giudiziaria, un cancelliere, un usciere dedito a frugar nei cassetti e nelle casseforti (in realtà si trattava di atti depositati alle parti, dunque non più segreti, ndr). Oppure uno di quei procuratori che comunque avrebbero avuto il dovere di aprire immediatamente un’inchiesta sulla fuga di notizie secretate. Ricordo che la notizia dell'intercettazione indiretta del presidente della Repubblica è stata data addirittura da uno di quei quattro procuratori (leggi Nino Di Matteo, ndr) in un'intervista al nostro giornale". Dunque il fondatore di Repubblica accusava Di Matteo di essere venuto meno ai suoi doveri d’ufficio con un’inesistente fuga di notizie su Napolitano: eppure, nell'intervista incriminata, era la giornalista di Repubblica a domandargli delle telefonate del Colle, dopo le rivelazioni del berlusconiano Panorama.

Ora il Pg della Cassazione deve decidere, in base alla documentazione acquisita, se formulare un capo di incolpazione davanti alla Sezione disciplinare del Csm, o archiviare. Un pericolo che Messineo e Di Matteo condividono con il Pg di Caltanissetta, Roberto Scarpinato. Sul tavolo del Pg della Cassazione, così come su quello della Prima commissione del Csm, è finito il discorso di Scarpinato del 19 luglio in via D’Amelio a Palermo, per i 20 anni dalla strage. In quell'occasione il magistrato, leggendo una lettera ideale a Paolo Borsellino, spiegò perché da tempo diserta le cerimonie ufficiali: per non incontrare autorità "la cui condotta di vita sembra essere la negazione dei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere".
Proprio Messineo e Scarpinato hanno fatto domanda per il posto vacante di procuratore generale di Palermo. La Quinta commissione del Csm ha votato 3 a 2 per Messineo. Ma i giochi a settembre, in vista del voto definitivo del Plenum, sono destinati a riaprirsi proprio per i procedimenti sui due magistrati. Colpevoli, entrambi, di indagare su stragi e trattative.

- Trattativa fra Stato e Cosa Nostra, «serve una commissione antimafia» di Felice Cavallaro (Corriere.it)

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08 agosto 2012
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