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Ancora più indignati!

I movimenti degli "Indignati" contro i violenti: "Non vogliamo che il 15 ottobre finisca nell'elenco delle occasioni perdute"

17 ottobre 2011

Una manifestazione annunciata come 'arrabbiata' ma pacifica trasformata in guerriglia. Una piazza, San Giovanni, per anni luogo di manifestazioni sindacali e battaglie democratiche trasformata in teatro di scontri tra manifestanti e forze dell'ordine.
Sabato, purtroppo, la legittima rabbia degli indignati a Roma non ha trovato spazio, schiacciata dalla violenza di gruppi che hanno messo a ferro e fuoco la città. Una battaglia che ha lasciato sul campo un centinaio di feriti tra manifestanti, violenti e forze dell'ordine, danni e devastazione per la capitale, teatro solo pochi mesi fa di nuovi scontri in occasione della manifestazione degli studenti del 14 dicembre. Un blindato dei carabinieri dato alle fiamme, auto incendiate lungo il percorso del corteo, vetrine infrante, lanci di pietre, banche e negozi assaltati, lanci di sampietrini, bombe carta.
Un'escalation di violenza iniziata poco la partenza del corteo da piazza della Repubblica. Un corteo lunghissimo, colorato, dove i cori di studenti, operai e disoccupati sono stati coperti dai primi atti vandalici avvenuti in via Cavour. Un gruppo di persone, tutte vestite di nero, a volto coperto e con i caschi in testa ha sfondato prima la vetrina di una banca per poi dare alle fiamme due auto. Atti di teppismo che si sono verificati lungo tutto il percorso. Una guerriglia che non ha risparmiato neppure le chiese: presa di mira la parrocchia di San Marcellino e Pietro, tra via Labicana e via Merulana e la basilica del Massenzio che è stata occupata da una gruppo di manifestanti. Il parroco della Chiesa di San Marcellino e Pietro, parlando con l'Adnkronos ha detto: "Non giudico, ma si è trattato di un oltraggio gratuito".
I feriti trasportati in ospedale sono stati quarantacinque con contusioni, escoriazioni e ferite lacero contuse sono in tutto una ventina. Tranne per un manifestante ferito alla mano si tratta di codici di media e bassa entità. Circa 25 manifestanti sono stati soccorsi e medicati sul posto nell'area di San Giovanni. Grosse le difficoltà per i soccorritori per raggiungere i feriti dati i blocchi stradali e i tafferugli.

A via Labicana, un gruppo di incappucciati ha preso di mira anche le telecamere di alcuni palazzi, mentre ad alcuni fotoreporter sono stati oscurati gli obiettivi con vernice nera. Il fotoreporter dell'Adnkronos, Cristiano Camera, è rimasto ferito, colpito alla testa, nei pressi di piazza San Giovanni da un gruppo di violenti e ha dovuto ricorrere alla cure ospedaliere. Assalti che spesso hanno avuto come obiettivo le forze dell'ordine: un blindato dei carabinieri è stato date alle fiamme. Un'alta colonna di fumo si è levata dal mezzo che i manifestanti hanno continuato ad attaccare con fumogeni e bombe carta. I militari all'interno sono riusciti ad abbandonare il blindato in tempo, mettendosi in salvo.

Una violenza che i manifestanti pacifici hanno provato più volte ad arginare. Un gruppo di pacifici ha attraversato piazza San Giovanni con le mani alzate gridando 'no alla violenza' e 'vergogna' mentre i violenti continuavano a lanciare oggetti contro i blindati delle forze ordine. Più volte si sono levati applausi anche per l'intervento della forze dell'ordine con gli idranti. Una giornata d'inferno per la capitale che ha trovato la condanna di tutte le istituzioni.

Il giorno dopo Roma si è svegliata sotto choc. Ci si interroga su come sia stato possibile che un gruppo abbia potuto mettere a soqquadro per ore il centro di Roma. Ieri mattina a Piazza San Giovanni, numerosi turisti fotografavano i danni: dai sampietrini divelti, alle vetrine distrutte, alle automobili bruciate per strada.
E mentre la città oltraggiata inizia a fare la conta dei danni subiti, gli investigatori continuano ad analizzare le immagini registrate dalle telecamere per individuare i responsabili dei disordini. Al momento, delle circa 20 persone fermate sabato durante gli episodi di violenza dalla polizia, 12 sono in stato di arresto, mentre per gli altri la posizione è al vaglio d'intesa con l'Autorità Giudiziaria. Tra i fermati ci sono anche persone provenienti da Bari, Trento, Catania, Siracusa, Brindisi, Varese e Napoli. Sono 10 le bottiglie incendiarie che sono state rinvenute e sequestrate dalla Digos nel corso della manifestazione, in cui si sono registrati gravi episodi di violenza ai danni di immobili, veicoli e Forze dell'Ordine. In particolare, le bottiglie già complete di stoppino fissato con del nastro isolante e piene di benzina, sono state trovate lungo via Cavour all'altezza del civico 211, all'interno di un borsone nero. Nello stesso contesto, in Piazza San Francesco di Paola, nel corso di un controllo preventivo sono state sequestrate 4 assi di legno "munite" di nastro adesivo, oltre a numerosi sampietrini. A Piazza di Spagna, invece, una guardia giurata in servizio in un istituto di credito ha trovato nascoste in un angolo della via numerose spranghe in ferro e pietre. Tutto il materiale è stato sottoposto a sequestro.

Da questa mattina all'alba è in corso su tutto il territorio nazionale una vasta operazione di polizia e carabinieri con perquisizioni e controlli negli ambienti degli anarco-insurrezionalisti e dell'estremismo più radicale.
Sono centinaia gli uomini delle forze di polizia impegnati nell'operazione che sta interessando tutte le regioni dal Trentino alla Lombardia, dal Lazio alla Sicilia.
I controlli avvengono in base all'articolo 41 del Testo unico leggi di Pubblica sicurezza secondo il quale "gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, che abbiano notizia, anche per indizio, della esistenza, in qualsiasi luogo pubblico o privato, o in private abitazioni, di armi, munizioni o materiali esplodenti, non denunciate o non consegnate, o comunque abusivamente detenute, procedono immediatamente a perquisione e sequestro".
"L'operazione di polizia in corso in tutta Italia - ha detto a Sky Tg24 Alfredo Mantovano, sottosegretario all'Interno - volta ad individuare i responsabili delle devastazioni avvenute a Roma sabato, è la risposta seria del lavoro delle forze dell'ordine". Non si tratta di un'operazione contro i centri sociali, ha precisato il sottosegretario, ma di un'azione volta ad individuare i responsabili delle devastazioni. "Non bisogna mettere tutto sullo stesso piano - ha detto Mantovano - tutti sanno che tra i manifestanti pacifici si sono inseriti i violenti che hanno utilizzato anche il corteo come scudo".
A Milano sono state effettuate all'alba di stamane sei operazioni, tre condotte dalla Digos e tre dai carabinieri. Una persona è stata portata in caserma dai carabinieri ma solo al fine di sottoscrivere il verbale di sequestro ed è poi tornata a casa. Nelle abitazioni perquisite gli agenti cercano soprattutto indumenti per riconoscere i responsabili dai fimati.
Perquisizioni sono avvenute anche a Napoli e provincia. Secondo quanto si è appreso, gli agenti della Digos della questura di Napoli stanno effettuando controlli a casa di persone ritenute vicine all'area antagonist,a alla ricerca di armi, oggetti contundenti e materiale esplodente.
Anche a Palermo, i carabinieri hanno perquisito le abitazioni di quattro giovani del Centro sociale "Vittorio Arrigoni" alla ricerca di armi ed esplosivi. Le perquisizioni hanno avuto esito negativo. In una nota pubblicata dal collettivo i ragazzi sostengono che questa perquisizione contraddice la volontà espressa da Mantovano di non pescare nel mucchio. "In questa città - si legge nel comunicato - non si erano mai viste operazioni di questo tipo per manifestazioni politiche. Vogliamo denunciare questo atteggiamento intimidatorio che cerca di criminalizzare i centri sociali per i fatti del 15 ottobre. Gli attivisti perquisiti sono disoccupati, studenti e lavoratori giornalmente impegnati nelle lotte contro la crisi e per il miglioramento della qualità della vita nel quartiere Albergheria".

Gli indignati uniti contro i violenti - Difficile anche il risveglio degli Indignati. Se da un lato ci sono stati gli ingustificabili scontri, dall'altro c'erano le ragioni di una generazione che non vuole lasciare il campo alla violenza. Che non vuole ritornare ai margini del discorso pubblico. Che insiste affinché le proprie ragioni vengano prese in considerazione dalle classi dirigenti. E, soprattutto, non vuole che il 15 ottobre finisca nell'elenco delle occasioni perdute.
Le reazioni e i commenti di associazioni e movimenti sono numerose. La richiesta più diffusa è legata all'isolamento delle persone o dei gruppi che sabato hanno provocato gli scontri. Una reazione che gran parte del movimentosta sta spostando dalla piazza alla rete. Migliaia i post su Facebook e Twitter: "Le loro posizioni non ci appartengono", "Hanno rovinato la nostra giornata", "A causa loro siamo qui a parlare di violenza, mentre oggi poteva essere il primo giorno della nostra rivoluzione pacifica".
"Niente può offuscare la nostra voce che si sta alzando. Nessuna violenza, nessuno scontro può mettere in discussione le ragioni di una generazione che si vuole riprendere la sua vita, che si ribella in modo radicalmente non violento e che chiede diritti". Così i precari del Comitato 9 aprile, gli organizzatori della manifestazione "Il nostro tempo è adesso". Ancora: "Respingiamo al mittente qualsiasi tentativo di strumentalizzazione. Da qualsiasi parte esso arrivi. Noi non ci facciamo manipolare da nessuno". E sugli scontri: "l'azione di piccoli gruppi organizzati di violenti: non ci appartiene nessuna azione violenta, non ci rappresenta".

Dure le denuncia delle due associazioni studentesche, Rete degli Studenti Medi e Unione degli Universitari: "L'intento dei black bloc era noto da tempo. Siamo profondamente amareggiati per la mancata volontà di isolare politicamente tali pratiche già nella fase di preparazione e organizzazione della data". Poi l'auspicio: "la crescita di un movimento che possa realmente gettare le basi per cambiare un modello di economia e società che ci possa garantire un futuro".
E poi i commento della Rete Universitaria Nazionale e della Federazione degli Studenti: "Come recitava lo slogan del corteo: noi siamo il 99%. Tanti ragazzi e ragazze, in modo assolutamente pacifico, hanno dato vita ad un grande manifestazione purtroppo sfigurata dalla violenza cieca e pianificata dei nemici della democrazia". Poi il riconoscimento dell'esistenza di una "piazza consapevole che vuole allargare gli spazi della democrazia e non farli restringere". E l'impegno "affinché la violenza di pochi non oscuri le ragioni di tutti".
Quanto successo sabato è stato un "brutale attacco contro un corteo pacifico". Questo il giudizio di Paolo Beni, presidente dell'Arci. "Un corteo immenso, come solo le grandi convergenze unitarie di tante identità e culture riescono a produrre, è stato distrutto. Doveva essere per comune decisione di tutte le forze che lo avevano organizzato, un corteo pacificamente indignato, popolare e accogliente". Poi la necessità di guardare avanti: "Le ragioni dei milioni di indignati di questo Paese troveranno il modo, sin da domani, di farsi valere come meritano".
Questa la posizione di Tilt, la rete dei movimenti di sinistra: "Non vogliamo che tutto questo offuschi il vero messaggio della giornata, ovvero che un'alternativa a questo sistema di sviluppo, anzi di non-sviluppo, è davvero possibile. E noi vogliamo dirlo con voce forte, chiara, che non lasci alibi a chi continua a a difendere sempre e solo gli interessi dei soliti noti, che oggi hanno avuto un grande alleato nel gruppo di violenti armati che come i peggiori vigliacchi non hanno avuto neanche il coraggio di agire a viso scoperto".
E sono numerosi i tentativi di riprendere il percorso interrotto dagli scontri in piazza San Giovanni. Le iniziative lanciate in rete sono numerose. "Dobbiamo discutere perché abbiamo provato a darci delle spiegazioni alla luce di fatti ma le dinamiche sono così complesse. che probabilmente ci sfuggono" hanno detto i portavoce del movimento degli Indignati.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Repubblica.it]

- Il black bloc svela i piani di guerra di C. Bonini e G. Foschini (Repubblica.it)

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17 ottobre 2011
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