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Ansia o depistaggio?

Le ipotesi del Procuratore generale di Caltanissetta sui gravi errori nelle indagini sulla strage via D'Amelio

26 ottobre 2011

Se il pentito Gaspare Spatuzza "dice la verità" sulla strage di Palermo in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta "siamo di fronte a un clamoroso errore investigativo prima e giudiziario poi, magari determinato dall'ansia di dare una risposta all'opinione pubblica, allarmata e disorientata dall'escalation stragista, ovvero il risultato di un vero e proprio depistaggio".
Lo ha scritto il procuratore generale di Caltanissetta, Roberto Scarpinato, nelle 1.140 pagine della memoria consegnata alla Corte d'appello di Catania per chiedere la revisione dei due processi celebrati per l'attentato di via D'Amelio del 19 luglio del 1992.
Il magistrato, come pubblicato dal quotidiano La Stampa che riporta stralci del documento, a proposito di un eventuale depistaggio afferma che per "questa inquietante ipotesi, occorre cercare di capire se si fosse voluta coprire la responsabilità di soggetti esterni a Costa nostra" e per questo "astrattamente riconducibili" ad "apparati deviati dei servizi segreti, o a organizzazioni terroristiche eversive». Sulla posizione di tre funzionari di polizia del pool investigativo Falcone-Borsellino diretto da Arnaldo La Barbera, deceduto, il Pg di Caltanissetta non ha tratto conclusioni, perchè, scrive nel documento non sono stati trovati "sufficienti elementi di riscontro alle accuse formulate nei loro confronti".

La richiesta di revisione dei processi "Borsellino" e "Borsellino-bis" sulla strage di via D'Amelio, incardinata sulle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza, è stata trasmessa due settimane fa alla Corte d'appello di Catania (LEGGI). Riguarda Salvatore Profeta, Cosimo Vernengo, Giuseppe Urso, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Gaetano Scotto, Gaetano Murana (condannati all'ergastolo) e Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura, Salvatore Tomaselli e Giuseppe Orofino (condannati a pene fino a 9 anni). Per i condannati detenuti il Pg Scarpinato chiede la sospensione dell'esecuzione della pena; per Orofino, Tomaselli e Candura, che hanno già espiato la condanna, è stata chiesta solo la revisione.

SEGRETI, BUGIE E DEPISTAGGI I MISTERI DI VIA D'AMELIO
di Francesco La Licata e Guido Ruotolo (La Stampa, 25/10/2011)

'U tignusu, Gaspare Spatuzza, aveva deciso di saltare il fosso, di raccontare «la verità», quel 26 giugno del 2008, quando fu sentito per la prima volta dalle procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, che indagavano sulle stragi. E quando il procuratore nisseno, Sergio Lari, gli rivolse la prima domanda - «Ma lei cosa sa di via D’Amelio?» - apparve subito chiaro, dalle prime risposte, che Spatuzza avrebbe «riscritto» 16 anni di indagini, inchieste, processi e sentenze.
«Sono stato incaricato di un furto di una 126… quando mi venne di fare questo furto di 126 il mio pensiero andò a Chinnici (Rocco, giudice istruttore di Palermo, ucciso da Cosa nostra, ndr) all’epoca perché saltò su una 126 e a questo punto io non sapevo a che cosa mi stavo prestando… quindi assieme a Vittorio Tutino abbiamo fatto il furto di una 126 che poi l’ho messa… l’ho tenuta io in consegna… e l’ho tenuta in due diversi magazzini questa 126…».
Quel verbale fa parte della memoria (1140 pagine) della Procura di Caltanissetta depositata insieme alla richiesta di revisione dei processi Borsellino, dal procuratore generale nisseno, Roberto Scarpinato, alla Corte d’appello di Catania che dovrà decidere se scarcerare per la strage Borsellino undici mafiosi estranei alla vicenda.

Ma insieme a quelle di Spatuzza, ci sono le rivelazioni dell’autista del boss del mandamento di Brancaccio, Giuseppe Graviano, Fabio Tranchina, che racconta: «Probabilmente Giuseppe Graviano ha premuto il telecomando appostato all’interno di un agrumeto nei pressi del luogo dell’attentato, in via D’Amelio».
La revisione del processo Borsellino comporta anche l’individuazione dei veri responsabili materiali della strage del 19 luglio del 1992, 56 giorni dopo la strage Falcone. E la procura ha già inoltrato all’ufficio del gip una corposa richiesta di misure cautelari.
Ma il malessere della Procura, che affiora dalla lettura delle carte, è quel dubbio che il procuratore generale Scarpinato riassume in una sua considerazione: «Se Spatuzza dice la verità, siamo di fronte a un clamoroso errore investigativo prima e giudiziario poi, magari determinato dall’ansia di dare una pronta risposta all’opinione pubblica allarmata e disorientata dall’escalation stragista, ovvero il risultato di un vero e proprio depistaggio».
Insomma, errore investigativo o depistaggio? Scarpinato non ha una sua tesi, aspetta che la Procura decida il da farsi, avendo indagato tre funzionari di polizia del pool investigativo Falcone-Borsellino diretto da Arnaldo La Barbera (deceduto alcuni anni fa), e non avendo ancora stilato le conclusioni perché, spiega Scarpinato, non sono stati trovati ancora «sufficienti elementi di riscontro alle accuse formulate nei loro confronti».
Ma il procuratore generale aggiunge, a proposito del depistaggio, che «in questa seconda inquietante ipotesi, occorre cercare di capire se si fosse voluta coprire la responsabilità di soggetti esterni a Cosa nostra, astrattamente riconducibili ad (...) apparati deviati dei servizi segreti, o a organizzazioni terroristiche-eversive».

Certo è che i pilastri dei processi Borsellino uno e due si sono rivelati inesistenti. Stiamo parlando delle dichiarazioni rese dai pentiti Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta. I tre che si autoaccusarono e accusarono altri mafiosi della strage Borsellino pur sapendoli innocenti. E sono loro che adesso puntano il dito sul gruppo di investigatori di Arnaldo La Barbera dipingendoli come quelli che suggerirono e pilotarono le loro dichiarazioni.
Annota il pool della Procura di Caltanissetta, dopo aver riletto tutti gli atti dell’inchiesta Borsellino e riscontrato le nuove rivelazioni di pentiti messe a confronto con testimoni: «Non si tratta solo di trovare le tessere mancanti del mosaico, ma le tessere false che qualcuno aveva inserito quasi certamente». In attesa che si compia questa ricostruzione processuale del contesto della strage Borsellino, Gaspare Spatuzza ha recuperato diverse tessere del mosaico noto, sostituendole e riempiendo dei vuoti. Per esempio, ha saputo indicare la via dove fu rubata la Fiat 126 della signora Pietrina Valenti, dove fu parcheggiata, come fu rubata. Secondo Scandura, con uno «spadino». Secondo Spatuzza, «con una forzatura del bloccasterzo». E poi, 'U tignusu precisa che la Fiat 126 «aveva problemi alla frizione e all’impianto frenante», rivelando anche l’identità del meccanico a cui si rivolse per aggiustare l’auto.

Ma è Fabio Tranchina, l’autista del boss Giuseppe Graviano, che chiarisce il ruolo chiave del padrino del mandamento di Brancaccio, il mafioso indicato come in rapporti con Marcello Dell’Utri, forte della consuetudine di rappresentante di un mandamento tradizionalmente «dialogante», nel tempo, con la politica, le istituzioni e la massoneria.
«Inoltre, sempre come ho già riferito, accompagnai Giuseppe Graviano a fare almeno due sopralluoghi in via D’Amelio, dopo averlo accompagnato nel magazzino di via Tranchina. Il secondo sopralluogo è avvenuto nella settimana che ha preceduto l’attentato, a distanza di circa due settimane dal primo, che è dunque avvenuto ai primi del mese di luglio. Rammento che nel corso del secondo sopralluogo Giuseppe Graviano mi chiese di rallentare ma di non fermarmi perché mi disse "questa è una zona che scotta". Non potevo ignorare che in occasione del primo sopralluogo avvenuto, come ho detto, nei primi del mese di luglio, Giuseppe Graviano mi aveva chiesto di reperire un appartamento proprio in via D’Amelio e che, dopo il secondo sopralluogo, preso atto che non ero riuscito a procurarlo, mi disse che si sarebbe "accomodato nel giardino"». E fu lui probabilmente a premere il pulsante, da dietro la rete. Così disse Fabio Tranchina.

 

 

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26 ottobre 2011
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