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Aperta un'inchiesta sui respingimenti di migranti nel Canale di Sicilia

La procura di Agrigento ha aperto un fascicolo contro ignoti dove si ipotizza il reato di violenza privata

18 settembre 2009

Il Procuratore di Agrigento Renato Di Natale ha confermato l'apertura di un'inchiesta sui respingimenti di migranti, effettuati a partire dal maggio scorso nel Canale di Sicilia. L'indagine, condotta dallo stesso Di Natale e dal suo sostituto Ignazio Fonzo, allo stato è contro ignoti; nel fascicolo aperto dai magistrati si ipotizza il reato di violenza privata.
L'indiscrezione è stata pubblicata ieri dal quotidiano la Repubblica. Il Procuratore ha detto inoltre che al momento non è previsto l'interrogatorio dei comandanti delle motovedette delle navi della Marina Militare. Alla Guardia di Finanza i magistrati hanno chiesto invece chiesto di acquisire la documentazione relativa alle direttive impartite, per accertare eventuali violazioni di legge.
In particolare i magistrati intendono verificare le procedure di identificazione dei migranti e il rispetto delle norme che assicurano, a chi ne abbia diritto, di presentare richiesta per ottenere lo status di rifugiato. Il Procuratore di Agrigento ha infine ribadito che l'inchiesta riguarda solo gli aspetti "tecnici" legati alle procedure di respingimento e che non intende alcun modo entrare nel merito di una decisione "politica".
Intanto, anche la Procura di Siracusa, sta indagando sui respingimenti di migranti nel Canale di Sicilia. L'indagine, che anche in questo caso ipotizza il reato di violenza privata, è coordinata dal procuratore Ugo Rossi. I magistrati hanno già ascoltato il comandante della motovedetta della Guardia di Finanza che il 31 agosto scorso intercettò a largo di Capo Passero un barcone con 75 immigrati, che furono riportati in Libia. L'ufficiale sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati. [ANSA]

I MAGISTRATI PER UNA LEGISLAZIONE DELL'IMMIGRAZIONE GIUSTA EE EFFICACE
La normativa sull'immigrazione in vigore nel nostro Paese, che la legge Turco-Napolitano aveva originariamente disegnato secondo una "logica binaria" (politiche di accoglienza nei confronti degli immigrati regolari e draconiano rigore nei confronti dell'irregolarità), si è progressivamente venuta connotando come univocamente orientata verso una complessiva scelta di rifiuto; una scelta che si è esplicitata, in particolare, attraverso l'abbandono delle precedenti misure, ancora timide e insufficienti, che andavano nella direzione di una integrazione possibile.
Una normativa, quella oggi applicabile, i cui cardini sono rappresentati da alcune opzioni fondamentali: a) una drastica chiusura dei canali di ingresso regolare; b) una netta tendenza verso la precarizzazione del soggiorno; c) una disciplina degli allontanamenti, sottoposta a frequenti modifiche di segno peggiorativo, caratterizzata da allarmanti profili di illegittimità costituzionale e foriera di una forte spinta verso l'ulteriore amministrativizzazione dei diritti fondamentali degli stranieri; d) un sensibile irrigidimento della normativa penale secondo caratteri di specialità che ne deformano il volto garantista; e) uno svuotamento, in termini di effettività, del diritto d'asilo. Un insieme di scelte normative che non ha condotto a un governo giusto ed efficace dei fenomeni migratori, ma ha comportato una profonda compressione dei diritti fondamentali dei migranti.
Né ha raggiunto gli scopi dichiarati e, in particolare, non ha ridotto l'area dell'immigrazione irregolare, destinata anzi ad allargarsi a causa sia della mancata adozione di strumenti di assorbimento della clandestinità, sia della drastica chiusura dei canali di ingresso legale. E nemmeno ha favorito l'integrazione dell'immigrazione regolare, che, attraverso l'accentuazione dei processi di precarizzazione/amministrativizzazione della condizione giuridica degli stranieri indotta dalle nuove norme in tema di soggiorno e di allontanamento, è stata spinta verso una dimensione sempre più marcatamente servile, ancorando il godimento dei diritti all'esistenza di un lavoro "regolare" e ponendo lo straniero in una condizione di totale subordinazione rispetto al datore di lavoro. Da ultimo, la punizione a titolo di reato dell'ingresso e del soggiorno irregolare dello straniero nel territorio dello Stato ha finito per criminalizzare mere condizioni personali, con una scelta che presenta molteplici profili di illegittimità costituzionale. La norma, infatti, è priva di fondamento giustificativo, poiché la sua sfera applicativa è destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell'espulsione quale misura amministrativa, il che ne mette in luce l'assoluta irragionevolezza.

La nuova figura di reato, inoltre, è chiaramente incompatibile con il ruolo di extrema ratio che secondo una concezione autenticamente liberale la sanzione penale deve rivestire e che impone un suo utilizzo, nel rispetto del principio di proporzionalità, soltanto quando manchino altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo di tutela di un determinato interesse. Né un fondamento giustificativo del nuovo reato può del resto essere individuato sulla base di una presunta pericolosità sociale della condizione del migrante irregolare: la Corte costituzionale (sent. 78 del 2007) ha infatti già escluso che la condizione di mera irregolarità dello straniero sia sintomatica di una pericolosità sociale dello stesso, sicchè la criminalizzazione di tale condizione, stabilita dal disegno di legge, si rivela anche su questo terreno priva di fondamento giustificativo. L'introduzione del reato, peraltro, produrrà una crescita abnorme di ineffettività del sistema penale, gravato di centinaia di migliaia di ulteriori processi privi di reale utilità sociale e condannato per ciò alla paralisi. In definitiva, quindi, ci troviamo davanti ad uso simbolico della sanzione penale, secondo una tendenza ormai frequentissima nella nostra legislazione, che qui viene ulteriormente esasperata con l'evidente fine di contribuire a costruire un'identità negativa dello straniero, rappresentato, secondo una logica xenofoba, come un potenziale delinquente (ché la condizione di irregolarità è sempre in agguato).
La "questione immigrazione" è la vera "questione democratica" degli anni a venire. Una diversa politica sul punto è possibile e realistica, a patto di dismettere definitivamente rappresentazioni apocalittiche dei fenomeni migratori che servono soltanto a fomentare le paure, che, sulla spinta emotiva, portano a soluzioni del tutto inefficaci tuttavia contrabbandate come definitive e ineluttabili. Soluzioni che non soltanto lasciano irrisolti i problemi reali connessi a questo fenomeno epocale ma che producono profonde ingiustizie sul piano del rispetto dei diritti fondamentali dei migranti. È necessario, dunque, porre termine all'equivoco ingenerato da immagini fuorvianti come quella della invasione, pacificamente smentita dai dati forniti dagli osservatori del fenomeno. Non soltanto le cifre degli ingressi e dei soggiorni - regolari e irregolari - sono, nel nostro Paese, sostanzialmente costanti negli ultimi anni, ma, quel che più conta, si presentano percentualmente inferiori a quelli della maggior parte dei Paesi occidentali.

Occorre nondimeno prendere atto, come un fatto e non come una opzione ideologica, che tutto il pianeta è coinvolto in un processo di redistribuzione complessiva della popolazione: si tratta di un processo-prodotto da cause profonde, non contingenti - che non può essere affrontato ricorrendo alle logiche dell'emergenza, né, tanto meno,adottando mistificatori proclami sull'immigrazione zero. I fenomeni migratori vanno, invece, governati; e possono essere governati con strumenti che coniughino, in una prospettiva di gradualità e integrazione, giustizia ed effettività. In ogni caso qualunque politica dell'immigrazione non può comprometterei diritti fondamentali della persona.

Per queste ragioni e a questo fine, è necessario che una legislazione davvero giusta ed efficace si ispiri alle seguenti linee-guida:
A) Assicurare alla disciplina su ingressi e soggiorno dei migranti la necessaria flessibilità. Le politiche di sostanziale chiusura seguite nel nostro Paese non hanno limitato gli ingressi, ma hanno semplicemente prodotto clandestinità. In particolare, la regola-cardine del sistema che subordina l'ingresso regolare dei migranti all'incontro a distanza, a livello planetario, tra domanda ed offerta di lavoro non funziona: anche le ragioni dell'impresa escludono la praticabilità di assunzioni di stranieri al buio. Si devono, allora, reintrodurre e rafforzare quegli istituti - si pensi al cd. sponsor ed al ricongiungimento familiare - che, facendo leva sulla catena migratoria e sul legame familiare, assicurano la necessaria elasticità alla disciplina degli ingressi, agevolando, al tempo stesso, l'integrazione degli immigrati. Più in generale, è necessario prevedere, nell'ambito delle quote di ingresso, la possibilità di entrare ne lnostro Paese per ricercare un lavoro: è questo, infatti, l'unico meccanismo in grado di associare le ragioni del mercato del lavoro a quelle che stanno alla base dei flussi migratori. D'altra parte, legare strettamente il soggiorno dello straniero al mantenimento del posto di lavoro significa spingere la condizione dei migranti verso una dimensione sostanzialmente servile, precludendo, oltre tutto, l'ulteriore sviluppo di percorsi di integrazione già avviati, anche nel mondo del lavoro. Recidere questo legame significa spezzare l'alternativa secca allontanamento/clandestinizzazione nella quale vengono a trovarsi gli immigrati che hanno perso il posto di lavoro; significa superare quel divieto di disoccupazione che, al giorno d'oggi, sembra valere solo per gli stranieri.

B) Favorire l'emersione della clandestinità e i comportamenti virtuosi. Nell'attuale sistema, mentre la strada che porta il migrante dalla condizione di regolare a quella di irregolare è facilmente percorribile, agevolata dalla precarietà del soggiorno e dalla vischiosità delle procedure di rinnovo dei titoli abilitativi, il passaggio dalla condizione di irregolare a quella di regolare è assolutamente precluso. Anche questa caratteristica del sistema produce clandestinità e, allo stesso tempo, non spinge i migranti irregolari verso l'assunzione di comportamenti virtuosi. È necessario allora introdurre meccanismi di regolarizzazione individuali e permanenti fondati sul decorso del tempo -che in tutti i rami dell'ordinamento giuridico adempie alla sua naturale funzione di saldare il diritto al fatto - e su indici di integrazione, quali, ad esempio, la mancata commissione di reati e il raggiungimento ex post delle condizioni che avrebbero consentito l'ingresso regolare.

C) Assegnare all'espulsione il ruolo di extrema ratio nel governo dell'irregolarità, superando i tratti di specialità che caratterizzano il sistema penale. L'immigrazione non si può governare con le espulsioni: come insegna l'esperienza di questi anni, prevedere l'espulsione come sanzione per qualsiasi forma di irregolarità significa condannare il sistema nel suo complesso alla ineffettività, allargare a dismisura il divario tra allontanamenti decretati ed allontanamenti eseguiti, attribuire uno spazio abnorme alla discrezionalità dell'autorità di polizia, chiamata a definire in concreto lo status di regolarità/irregolarità dello straniero sulla base delle c.d. regole del disordine. La misura dell'espulsione va, dunque, riservata alle ipotesi di irregolarità più gravi. Ridotta - anche grazie ai meccanismi sopra indicati - l'area della irregolarità ed assegnato all'espulsione un ruolo di extrema ratio nella sua gestione, potranno essere ridimensionate quelle torsioni sul piano delle garanzie costituzionali dei migranti che oggi condizionano pesantemente il sistema (tra le altre, ad esempio, quelle relative alla tutela giurisdizionale contro i provvedimenti di allontanamento), rendendo, oltre tutto, strutturalmente instabile una normativa esposta a continui aggiustamenti legislativi e a profonde rivisitazioni giurisprudenziali. Coniugare, su questo terreno, effettività e giustizia significa, inoltre, restituire ai diritti fondamentali dei migranti,quali il diritto alla libertà personale, quella sacralità messa duramente a repentaglio da istituti quali la detenzione amministrativa.

D) Abbandonare la prassi delle illegittime operazioni nel Canale di Sicilia.Negli ultimi mesi si è assistito ad un salto qualitativo nelle iniziative del Governo italiano contro i migranti. Quelle operazioni di navi militari che con espressione atecnica sono state definite "respingimenti", in realtà: 1. ignorano la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, del 1951; 2. ignorano l'articolo 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo che vieta le espulsioni collettive; 3. ignorano l'articolo 63 del Trattato della Comunità europea e le norme che vi hanno dato attuazione, le Direttive CE 200483 e 200583 ed il Regolamento CE 5266; 4. ignorano l'articolo 10 del decreto legislativo numero 268 del 1998. Il respingimento: 1. è un atto amministrativo della Polizia di frontiera; 2. può essere adottato solo ai valichi di frontiera, previ i controlli sull'identità e sulla condizione dello straniero; 3. deve essere necessariamente documentato, per consentire controlli e tutele.

La formale base legale degli interventi in acque internazionali che sono stati affidati alla Marina militare è rappresentata da un accordo bilaterale con il Governo della Libia, il quale parteciperebbe alla fase finale di una attività di soccorso in mare internazionale. Questo accordo, di carattere politico e non sottoposto a legge di autorizzazione e ratifica a norma dell'articolo 80 della Costituzione, non può in alcun modo autorizzare la violazione di disposizioni costituzionali, internazionali e comunitarie. Da Lampedusa, luogo che evoca le immagini di un'umanità dolente e disperata, ma anche quello dell'impegno di tante persone che lavorano per l'accoglienza e l'incontro con l'Altro, deve partire una nuova stagione di impegno per i magistrati e per la cultura giuridica, con il comune obbiettivo di:
- sensibilizzare tutti alla tutela dei diritti fondamentali di quanti cercano soltanto una vita migliore nel nostro Paese, per sfuggire alla guerra e alla miseria;
- evidenziare il contrasto di queste norme con la tavola dei diritti fondamentali e prospettare, con coraggio e rigore professionale, le soluzioni ed i rimedi per ovviare alle lacerazioni più gravi che nel tessuto del nostro sistema giuridico deriverebbero da applicazioni che acriticamente non si facessero carico di quei vincoli, anche sovranazionali, che obbligano l'interprete al rispetto di principi universali ed inderogabili.
Questo impegno nasce dalla convinzione che si tratta di valori non di una parte, ma dell'intera collettività, di una moderna democrazia come quella che trova fondamento nella nostra Costituzione.

Magistratura democratica / Medel Movimento per la giustizia - art. 3

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18 settembre 2009
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