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Aperto il processo a Mario Mori e al ''Capitano Ultimo''

Tra i testimoni dell'accusa il magistrato Giancarlo Caselli e la neopentita Giusy Vitale

04 maggio 2005

Si è aperta ieri, poco prima delle 10.30, davanti alla terza sezione penale del Tribunale di Palermo presieduta da Raimondo Lo Forti, l'udienza del processo in cui il direttore del Sisde, generale Mario Mori, e il colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, l'ex ''capitano Ultimo'', devono rispondere di favoreggiamento in relazione alla mancata perquisizione del covo di Totò Riina subito dopo la cattura del boss il 15 gennaio del 1993.
Un processo che si svolgerà a porte aperte, per decisione del collegio giudicante della terza sezione penale, formato oltre che dal presidente Lo Forti, dai giudici a latere Sergio Ziino e Claudia Rosini.

Il generale Mori era presente in aula con il suo difensore, l'avvocato Pietro Milio. Il tenente colonnello Sergio De Caprio, pur essendo all'interno del palazzo di giustizia di Palermo, in avvio di udienza non si era presentato in aula, sempre per ragioni di sicurezza. Il presidente del tribunale a quel punto, lo ha dichiarato contumace, mentre il difensore di De Caprio, Francesco Romito, chiedeva che il processo si svolgesse a porte chiuse, oppure che venisse consentita la partecipazione del suo assistito in videoconferenza.
''Il mio assistito - ha spiegato il difensore - ha un problema obiettivo nel prendere parte al processo: è sottoposto infatti a misure di protezione e per questo motivo bisogna trovare una soluzione che salvaguardi la sua sicurezza''. I difensori di Mori, Pietro Milio ed Enzo Musco, hanno così chiesto al tribunale di vietare l'ingresso in aula delle telecamere. ''Pur riconoscendo che questo è un processo di grande interesse - ha detto Musco - l'interesse per la sicurezza è da considerarsi prioritario''.
Per l'accusa, rappresentata in aula dai pm Antonio Ingroia e Michele Prestipino, il processo cominciato ieri mattina riveste invece ''un interesse sociale particolarmente rilevante''. ''La cattura di Riina e i fatti ad essa connessi - ha detto Ingroia - sono stati al centro di un vasto dibattito. Non ci sembra che ci siamo i presupposti per accogliere la richiesta di un procedimento a porte chiuse''.
I giudici, dopo una camera di consiglio di una trentina di minuti, ha autorizzato le riprese audio, video e fotografiche, vietando esclusivamente la ripresa degli imputati.

Nella sua relazione introduttiva il pm Antonio Ingroia ha annunciato che l'accusa intende fare chiarezza ''su quel Antonio Ingroiache accadde dopo la cattura di Totò Riina, sui colloqui tra i magistrati della Procura e gli investigatori dell'Arma, e sulle ragioni che provocarono la sospensione della attività di osservazione sul complesso immobiliare di via Bernini nello stesso pomeriggio del 15 gennaio 1993, nonostante fossero state date assicurazioni ai magistrati di Palermo che invece l'osservazione sarebbe proseguita''.
Ingroia ha poi annunciato che intende provare ''come venne posto in essere da parte degli imputati un comportamento volto ad assicurare che il servizio di osservazione fosse ancora in corso''. Il pm ha sottolineato che nella ricostruzione dei fatti operata dal Gup e dal Pm vi è una unica ''divergenza'', rispetto alla ''valutazione sulle finalità e sulla rilevanza penale delle finalità perseguite dagli imputati''.
Antonio Ingroia ha ricordato che ''il gup ha imposto il procedimento ritenendo che nella condotta degli imputati fosse insito il dolo, e dunque il favoreggiamento a Cosa nostra; su questo punto la procura era giunta a diverse conclusioni''.

La relazione introduttiva è proseguita, quindi, con l'elenco dei testimoni, tra cui i magistrati Giancarlo Caselli, Vittorio Aliquò e Luigi Patronaggio, alcuni pentiti, alcuni giornalisti, e numerosi esponenti dell'arma dei carabinieri.
Il pm ha chiesto l'acquisizione degli appunti manoscritti nei quali l'avvocato generale di Palermo Vittorio Aliquò, (all'epoca dei fatti Procuratore aggiunto) ricostruì lo svolgersi degli eventi successivi alla cattura di Riina. Ingroia ha chiesto, infine, di acquisire al fascicolo il memoriale degli appunti dell'ex sindaco Vito Ciancimino, sequestrati lo scorso marzo a Palermo nella casa del figlio Massimo.

In aula era presente anche Giusy Vitale, la neopentita di Partinico, tra i testi citati dai pm Antonio Ingroia e Michele Prestipino nel processo. La presenza della collaboratrice di giustizia, sorella dei capi clan del Giusy Vitalemandamento di Partinico, è stato annunciato in aula dal pm Ingroia facendo riferimento, in particolare, a due verbali resi dalla Vitale il 24 febbraio e il 9 aprile scorsi e già depositati alla difesa come ''attività integrativa di indagine''.
La pentita, sentita dai pm Ingroia e Prestipino il 9 aprile scorso ha riferito di avere appreso dal fratello Vito, allora latitante insieme a Giovanni Brusca, che la mancata perquisizione del covo di Totò Riina venne considerata un ''bene'' da Cosa nostra, in quanto all'interno dell'appartamento erano custoditi ''numerosi documenti ritenuti imbarazzanti per diversi uomini delle istituzioni''.
''Se si fosse fatta la perquisizione nella villa di Totò Riina dopo il suo arresto ci sarebbe stato il finimondo per quello che sarebbe stato trovato. Dentro c'erano documenti che avrebbero potuto rovinare uno Stato intero''. Così ha affermato la boss in gonnella.
Durante un periodo in cui Vito Vitale si era rifugiato nell'abitazione della sorella, a Partinico, la vicenda del covo sarebbe stata ''chiarita'' meglio.
''Mio fratello mi disse - ha dichiarato Giusi Vitale ai pm - che nella villa di via Bernini c'erano abbastanza cose da compromettere persone importanti, che facevano parte dello Stato. Guardando la tv che riportava una notizia su questa mancata perquisizione, chiesi se fosse vero e mio fratello mi disse: 'Eccome se è vera!'. E gli chiesi come mai non erano intervenuti nel covo e mi disse: 'Le vie del signore sono infinite' ''. Oltre alla presenza di documenti nella villa, secondo la pentita, ''c'erano anche oggetti di valore, quadri di pittori importanti e addirittura un pianoforte''.

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04 maggio 2005
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