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Articolo 41-bis

Mentre continuano le discussioni sulla sua applicazione, per Sandro Lo Piccolo il 41-bis è stato confermato

22 luglio 2008

La settimana scorsa i boss Salvatore e Sandro lo Piccolo, gli ultimi superlatitanti della Cosa nostra palermitana arrestati lo scorso 5 novembre e condannati all'ergastolo con le accuse di omicidio e associazione per delinquere di stampo mafioso, avevano chiesto al giudice di sorveglianza di Milano, dove sono detenuti nel carcere di Opera, la revoca del 41 bis che è stato applicato loro dal ministro di Giustizia su richiesta dei pm di Palermo. I due boss, padre e figlio, volevano essere ammessi a "vita comune nel carcere come detenuti normali o, in subordine, di potere accedere a un regime meno severo".
La richiesta, che ha scatenato una serie di allarmi e critiche, nonché rafforzato le polemiche sulla gestione giudiziaria del 41 bis, è stata esaminata dai giudici milanesi. Ebbene, ieri il tribunale di sorveglianza di Milano ha confermato il carcere duro per il boss palermitano Sandro Lo Piccolo. Ha darne notizia è stato l'avvocato Salvino Caputo, componente della commissione regionale antimafia all'Assemblea regionale siciliana. Per Salvatore Lo Piccolo, invece, i giudici non hanno ancora deciso.

Intanto, mentre si incamera questa buona notizia, si registra anche la nascita di una polemica tra il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e i magistrati di sorveglianza che hanno voluto rispondere all'accusa di quest'ultimo proprio sull'applicazione del regime di carcere duro. Ieri, in occasione della commemorazione di Boris Giuliano, capo della Squadra mobile di Palermo ucciso dalla mafia il 21 luglio del '79, il ministro Alfano rispondendo ai cronisti aveva detto che spesso "sono i giudici a non mantenere il 41 bis", ossia sono i magistrati a non confermare i provvedimenti che è lui stesso ha firmato. Ma i decreti annullati sono meno del 10%, hanno risposto i giudici i decreti annullati sono meno del 10%.
Le affermazioni di Alfano sono conseguite alle dichiarazioni di qualche giorno fa del procuratore di Palermo Francesco Messineo, che commentando la stretta sul 41 bis introdotta con una circolare dallo stesso Alfano, aveva detto: "Il problema, al momento, viste le decisioni di alcuni giudici di sorveglianza, mi sembra sia quello di mantenere il 41 bis".

I magistrati di sorveglianza hanno respinto l'accusa rivolta dal ministro, cifre alla mano: "i dati parlano chiaro: i provvedimenti di 41 bis sono poco meno di 600, gli annullamenti dei tribunali di sorveglianza 30-40 circa - ha detto Giovanni Tamburino, presidente del tribunale di sorveglianza di Venezia e coordinatore nazionale dei magistrati di sorveglianza - Non mi pare che un numero in percentuale così modesto consenta una valutazione di carattere generale su un orientamento della magistratura di sorveglianza, che non esiste perché la decisione non può che avvenire caso per caso". Tamburino ha spiegato che per il rinnovo dei decreti che dispongono il 41 bis alla scadenza dei due anni occorre che vi sia una "motivazione adeguata, come hanno stabilito la Corte di Cassazione, la Consulta e la Corte Europea di Strasburgo; talora non è ritenuta sufficiente dalla magistratura di sorveglianza, ma questo è fisiologico".

Le toghe non chiudono invece la porta all'ipotesi, auspicata dal procuratore nazionale antimafia Piero Grasso e contenuta in un ddl a firma del senatore Carlo Vizzini di affidare alla sola magistratura di sorveglianza di Roma la competenza sui ricorsi sul 41 bis per evitare orientamenti troppo difformi. "Sul piano teorico potrebbe essere una soluzione: i provvedimenti sono firmati dal ministro della Giustizia e quindi si potrebbe pensare a una competenza giurisdizionale centrale. Ma il legislatore dovrebbe valutare con molta attenzione le possibili difficoltà applicative: il rischio è di un sovraccarico di lavoro, tenuto conto che la legge prevede un termine ristretto per decidere sul rinnovo di questi provvedimenti". 

Ma qual'è la vita di un carcerato sottoposto al regime di carcere duro? Di seguito potrete leggere la descrizione di una "giornata tipo" di un detenuto condannato al 41-bis.
LA GIORNATA DEI BOSS IN CELLA - Ore 8, reparto detenuti di massima sicurezza. La sveglia per i carcerati al 41 bis, tutti rigorosamente in celle singole, è il suono del manganello sbattuto dalle guardie penitenziarie contro le sbarre. Comincia così la giornata di boss e terroristi ristretti al carcere duro. Due soli momenti di socializzazione nel pomeriggio; moltissimi divieti destinati ad aumentare con l'applicazione della nuova circolare ministeriale, approvata sabato, che rappresenta un ulteriore giro di vite sul regime carcerario.
E' il ritiro della posta il primo appuntamento della mattina. Corrispondenza sempre censurata, in uscita e in entrata. Poi, per chi ha processi in corso, la videoconferenza, che consente di partecipare, dall'istituto di pena, ai dibattimenti.
Si torna in cella. Si cerca di mettere distanti i detenuti per evitare il passaggio di informazioni, ma spesso non basta. Molti riescono a comunicare gridando, a volte anche cantando. Ed è questo uno degli aspetti su cui poggia la nuova normativa del ministero. I carcerati dovranno essere controllati ancor più rigidamente e, se è il caso, spostati di cella. Nei casi più gravi si può ricorrere alla chiusura del cosiddetto blindato: la porta interna della prigione. Ora si tiene aperta almeno durante il giorno; in futuro il direttore del carcere potrà decidere di tenerla serrata sempre.

Il pranzo viene consumato in cella. Il vitto che dà il carcere, più quello che in gergo si chiama sopravvitto. I detenuti possono comprare degli alimenti extra. Ogni istituto di pena ha una sua lista di cibi consentiti. I detenuti al 41 bis non possono cucinare, ma al massimo scaldare le vivande con un fornellino che gli viene tolto dopo l'uso.
Nelle celle c'è la tv ed è possibile acquistare i giornali. Alcuni detenuti hanno sfruttato le lunghe giornate trascorse in isolamento per studiare: un boss del gruppo di fuoco del capomafia Leoluca Bagarella si è laureato in medicina. Paolo Alfano, uomo d'onore di corso dei Mille, ha preso le licenze elementare e media.
Nel pomeriggio, i due momenti di socializzazione: uno in una stanzetta a gruppi di 3, massimo 5 persone; poi le due ore d'aria, in genere trascorse in un locale a cielo aperto o in un cortile schermato. Durante la socializzazione i boss fanno sport, parlano, leggono. E' un momento delicato per la sicurezza: tanto che il ministro ha deciso di dettare direttive severe sulla formazione dei gruppi.
Insieme potranno stare solo boss della stessa area geografica - espediente che dovrebbe evitare alleanze tra gruppi criminali lontani - e si dovrebbe evitare di fare incontrare i vecchi e i nuovi capimafia per impedire l'ingresso in carcere di informazioni fresche.

Con i familiari è possibile un solo colloquio al mese, o in alternativa una telefonata di 15 minuti. Durante gli incontri, detenuti e parenti sono separati da un vetro e non possono toccarsi, nè scambiarsi oggetti. Capimafia come Raffaele Ganci, detenuti dal '93, non hanno mai abbracciato i figli, nati dopo il loro arresto.
"E' questo l'unico motivo per cui chiedono la revoca del 41bis - spiega un penalista - Del carcere duro non hanno paura. Lo hanno messo in conto. Quello che non sopportano è la distanza dalle famiglie".

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22 luglio 2008
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