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Aspettando la sentenza...

Marcello Dell'Utri: "Sono tranquillo... Ma se l'esito sarà di condanna in carcere, be' uno si adatta"

25 giugno 2010

La sua assoluzione significa la condanna della Procura di Palermo. E' questo il cuore della questione, secondo il senatore Marcello Dell'Utri, in attesa di una sentenza di primo grado, dopo che ieri i giudici si sono chiusi in camera di consiglio.
Dell'Utri si dice tranquillo, uno stato d'animo che gli ha consentito di "restare vivo" dopo "quello che mi hanno fatto patire", ma se anche dovesse arrivare l'assoluzione "non avrò nulla di cui gioire - dice - perché hanno già distrutto la mia vita".
Per Dell'Utri, il procuratore generale Nino Gatto "é un replicante di un pezzo della Procura della Repubblica di Palermo", un "ventriloquo del procuratore aggiunto Ingroia", membro di una Procura che "continua a sostenere tesi da fanatici". Di fronte ad una condanna, invece, il senatore dice che si affiderebbe alla Cassazione, perché "ci sarà pure un giudice capace di riconoscere i reati penali dalle minchiate". Per Dell'Utri sono state utilizzate contro di lui "teorie inesistenti", così come le dicharazioni del pentito Spatuzza, "spuntato all'improvviso, come il giovane Ciancimino". "Sono convinto che tutto andrà in Cassazione - prosegue il senatore - O cadrà da sé" e se l'esito dovesse essere una condanna in carcere: "beh, uno si adatta" commenta.

Il processo Dell'Utri: si indaga dal '94 - Condannato nel 2004 in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, su Marcello Dell'Utri pende la richiesta del procuratore generale di Palermo, Nino Gatto, che al collegio presieduto da Claudio Dell'Acqua - dalle 13 di ieri in camera di consiglio - ha chiesto di infliggere 11 anni al senatore del Pdl, che si è sempre dichiarato innocente e vittima di una macchinazione, affermando che i 35 pentiti che lo accusano costituiscono "una pletora inutile che dimostra l'inconsistenza dei pm". Solo una settimana fa l'ex manager di Pubblitalia - indagato a Palermo nel '94, all'indomani del suo ingresso in politica e sotto processo dal '97 - ha lanciato i suoi strali contro l'ultimo e più temibile accusatore, Gaspare Spatuzza, lo spietato killer della cosca di Brancaccio, legato ai fratelli Graviano, al quale la Commissione del ministero dell'Interno aveva appena negato l'accesso al programma di protezione. "Può darsi che sulle stragi abbia detto qualche verità, ma su di me - ha spiegato il senatore a proposito del dichiarante - ha riferito cose non vere". Le dichiarazioni di Spatuzza avevano creato scompiglio nel processo che si stava avviando a conclusione. Il 4 dicembre 2009 l'uomo che ha confessato una quarantina di omicidi riferì ai giudici che in un incontro romano del '94, Giuseppe Graviano gli avrebbe avrebbe detto che "finalmente grazie a Berlusconi e Dell'Utri, la mafia aveva il Paese in mano". Già i giudici di primo grado, nel motivare la condanna, non erano stati teneri con il senatore, addebitandogli di aver dato un "prezioso contributo al mantenimento, consolidamento e rafforzamento di Cosa nostra, alla quale è stata, tra l'altro, offerta l'opportunità, sempre con la mediazione di Dell'Utri, di entrare in contatto con importanti ambienti dell'economia e della finanza", aggiungendo che Cosa nostra aveva ripagato il senatore "votando nel '94, nella prima competizione elettorale utile, per Forza Italia''. I legali del senatore hanno smentito un episodio - confrontando date secondo loro incompatibili con quanto raccontatato dal pentito Francesco Di Carlo - che farebbe risalire al '74 i rapporti tra Dell'Utri e gli uomini di Cosa nostra. In quella data, ha sostenuto Di Carlo, si sarebbe svolto a Milano, nella sede di Edilnord, un incontro tra Dell'Utri, Berlusconi e i boss palermitani Mimmo Teresi e Stefano Bontade, a cui Di Carlo dice di aver partecipato.
Tra ira e ironia, Dell'Utri ha ammesso di essere entrato in politica e in Parlamento solo per difendersi dai processi, affermando che in caso di assoluzione lascerà il Palazzo. Il 16 aprile scorso, mentre il pg chiudeva la sua requisitoria e pronunciava la richiesta di condanna, il senatore ha tenuto a sottolineare che in quel momento era a Porta Carbone, pittoresco luogo di Palermo, a mangiare sfincione, l'indigeribile pizza della cucina popolare del capoluogo siciliano. Tra un morso e l'altro il senatore ha liquidato così la richiesta del pg di aggravare la condanna di primo grado: "La Procura generale ci ha aggiunto gli interessi: due anni, visto quanto è durato il processo". Parlando di mafia si è concesso qualche lapsus: "Io che sono mafioso", disse in un'intervista, aggiungendo subito: "cioé siciliano"; e ha anche citato Luciano Liggio, uno che sull'argomento aveva qualcosa da dire e che sbigottì i magistrati con un ragionamento hegeliano: "La mafia esiste? Beh, se esiste l'antimafia".

[Informazioni tratte Ansa, SiciliaInformazioni.com]

- Processo Dell'Utri: l'ora della verità (Guidasicilia.it, 24/06/10)

 

 

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25 giugno 2010
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