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La Giustizia ha deciso: il Prefetto Mario Mori e il ''Capitano Ultimo'', Sergio De Caprio, non favorirono Cosa Nostra

21 febbraio 2006

Il Tribunale di Palermo, presieduto da Raimondo Lo Forti, ha assolto il direttore del Sisde, prefetto Mario Mori, e il tenente colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, il ''Capitano Ultimo'', imputati di favoreggiamento aggravato per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina subito dopo l'arresto del boss il 15 gennaio del 1993.
Un'assoluzione che fa tirare un sospiro di sollievo all'intera Sicilia che, bisognosa di esempi positivi, aveva visto nelle accuse imputate ai due personaggi il crollo totale della fiducia nei confronti delle istituzioni: lo Stato colluso con con quell'antistato che da tempo immemore soggioga la terra siciliana.

La sentenza, ampiamente attesa, è stata pronunciata ieri dopo poco meno di due ore e mezzo di camera di consiglio. Né Mori (all'epoca della cattura di Riina era a capo del Ros) né De Caprio (il carabiniere che eseguì il blitz che portò all'arresto) erano presenti in aula. Ma l'ex "Ultimo" ha espresso la sua soddisfazione, parlando a telefono col suo legale, Francesco Romito: ''Va bene così - ha detto - è una sentenza favorevole che mi restituisce la felicità turbata''. ''La consapevolezza che avevano questi uomini - ha affermato Romito - era di combattere la mafia e niente altro''.
Soddisfazione per il verdetto è stata espressa anche dal prefetto Mario Mori, contattato al telefono dall'avvocato Pietro Milio. ''Questi due uomini - ha detto Milio - hanno subito in silenzio. Temo che gli attacchi non finiranno con questa sentenza. Mi sento indignato come cittadino perché il meglio degli investigatori italiani è stato tenuto sotto processo per molti anni''.

Ieri i giudici si erano ritirati per decidere pochi minuti prima delle 13, a conclusione delle arringhe degli avvocati difensori Milio e Romito. I legali avevano chiesto ''una sentenza definitiva, chiara, che fughi le ombre che non ci sono'' e che ''attesti che questi uomini egregi sono immuni da sospetti''.
Lunedì scorso anche i pm Antonio Ingroia e Michele Prestipino avevano chiesto l'assoluzione perché il fatto non sussiste dall'accusa più grave: quella di favoreggiamento aggravato di Cosa Nostra. E la prescrizione per le restanti imputazioni. (leggi)

Il processo a Mori e a Ultimo, iniziato il 3 maggio 2005, aveva provocato aspre polemiche politiche nei confronti del giudice di Palermo Marco Mazzeo, che stabilì il rinvio a giudizio, anche perché la stessa procura al termine dell'inchiesta aveva già chiesto il loro proscioglimento ''perché il fatto non costituisce reato''.
Secondo i pubblici ministeri mancava, infatti, l'elemento psicologico del reato. In pratica, a loro giudizio, l'allora capo del Ros e il capitano 'Ultimo', nel non perquisire il covo non pensavano affatto di favorire Cosa nostra. Sarebbe stato - era questa la tesi della Procura - più che altro un errore. In subordine, i pm avevano chiesto che fosse dichiarata la prescrizione, perché si sarebbe trattato di un favoreggiamento semplice e non aggravato dalla finalità di agevolare la mafia.
La lussuosa villa di via Bernini, a Palermo - nella quale Riina abitava in clandestinità con la famiglia - fu perquisita dai carabinieri solo molti giorni dopo l'arresto del capomafia corleonese: nel frattempo era stata svuotata e ripulita dai mafiosi, che avevano anche smontato la cassaforte e imbiancato le pareti per cancellare ogni traccia.
Nei concitati momenti seguiti alla cattura del boss, era stato deciso di non procedere alla perquisizione mentre i carabinieri avrebbero assicurato ''servizi di osservazione'' dell'immobile per raccogliere così elementi utili a ulteriori indagini sulla latitanza di Riina. Ma questi servizi di fatto vennero presto sospesi e alla Procura ne venne data comunicazione solo diversi giorni più tardi. Da qui i sospetti e il processo, fino all'arrivo dell'assoluzione.

Per il pm Antonio Ingroia ''la soluzione del tribunale è diversa in parte da quella auspicata dal pm e da quella chiesta dalla difesa''. ''La difesa - sottolinea il pm - aveva chiesto l'assoluzione con la formula 'il fatto non sussiste', il tribunale invece ha assolto gli imputati ma con la diversa formula del 'fatto non costituisce reato'. Evidentemente - ha aggiunto il magistrato - alludendo alla sussistenza del fatto ma al difetto dell'elemento psicologico il dolo o alla presenza di causa di giustificazione della condotta degli imputati''.
Per Ingroia ''bisognerà leggere le motivazioni della sentenza per farci un'idea più precisa perché rimangono i fatti sui quali i cittadini italiani aspettano di sapere la verità''. Infatti, la villa non venne subito perquisita, né vennero effettuati i controlli ambientali. Mori e De Caprio sono stati giudicati innocenti, ma qualcosa in quei giorni del 1993 non funzionò.

- ''I 4 processi del Capitano Ultimo'' di Antonella Serafini

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21 febbraio 2006
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