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Assolti!

Processo "Mafia e appalti": assolti l'architetto Vincenzo Rizzacasa e Francesco Lena, titolare dell'Abbazia Santa Anastasia

18 gennaio 2013

E’ arrivata la sentenza del processo denominato "Mafia e appalti". La sesta sezione della Corte d'appello di Palermo ha assolto l’architetto Vincenzo Rizzacasa e l'imprenditore Salvatore Sbeglia, condannati in primo grado con l'accusa di interposizione fittizia in favore di mafiosi dei quali sarebbero stati prestanome.
In primo grado l’architetto Rizzacasa era stato condannato perché accusato di essere prestanome di Salvatore Sbeglia. Avevano avuto rispettivamente tre anni e quattro mesi, e quattro anni.

Nel processo, il collegio presieduto da Biagio Insacco, a latere Roberto Binenti e Roberto Murgia, ha anche tolto l'aggravante di avere agevolato la mafia a un altro Sbeglia, Francesco, nipote di Salvatore, che grazie alla derubricazione ha fruito della prescrizione: in primo grado era stato condannato a due anni e otto mesi.
Confermata poi l'assoluzione, già decisa in primo grado, di Francesco Lena, proprietario dell'Abbazia Sant'Anastasia, dissequestrata in sede penale dal gup e nuovamente sottoposta allo stesso provvedimento dalla sezione misure di prevenzione del tribunale. Per lui l'accusa, difeso dagli avvocati Giovanni Di Benedetto e Giovanni Rizzuti, era davvero pesante: gli veniva contestata a una presunta e trentennale disponibilità nei confronti di Cosa nostra. Da qui l'accusa di associazione a delinquere già caduta in primo grado. Il procuratore generale Mirella Agliastro aveva chiesto che Lena venisse condannato a dieci anni per mafia o, in subordine, a cinque anni e mezzo per intestazione fittizia di beni aggravata dall'articolo 7. La sua richiesta non è stata accolta.

Pena ridotta poi, da 10 anni e 10 mesi a 8 anni e 6 mesi, per un altro imputato, Antonino Maranzano. Confermate invece le condanne per gli altri sei imputati: sono il capomafia Nino Rotolo, che ha avuto 10 anni, Carmelo Cancemi (8 anni), Pietro Vaccaro (4), Fausto Seidita e Francesco Paolo Sbeglia (8 anni e 2 mesi a testa) e Massimo Giuseppe Troia, condannato a 2 anni.

Nel giugno del 2010 finirono in manette 19 persone, tra imprenditori e mafiosi. Presunti e conclamati. Ancora una volta il box di lamiera piazzato sotto casa del padrino di Pagliarelli, Nino Rotolo, si confermò una miniera di informazioni per gli investigatori. Il capomafia, ai domiciliari per motivi di salute, vi convocava boss e gregari per impartire le direttive. La squadra mobilie di Palermo decifrò il sistema attraverso cui l'organizzazione mafiosa era riuscita negli anni a controllare il mercato dell'edilizia. Il Gup Luigi Petrucci nel novembre del 2011 aveva infitto una sfilza di condanne.
Vincenzo Rizzacasa, noto architetto e titolare della società Aedilia Venusta, venne coinvolto nell’inchiesta perché, secondo l'accusa, sarebbe stato un prestanome di Sbeglia, costruttore già condannato per mafia, ma sin dalla sentenza di primo grado era caduta l'aggravante dell'agevolazione di Cosa nostra. Ora l'accusa è crollata del tutto.

L’assoluzione di Rizzacasa riapre un dibattito interno a Confindustria. La sua società di costruzione, Aedilia Venusta, era stata espulsa nel 2010 perché ritenuta "non in linea con il nuovo codice etico dell’associazione". Ma Rizzacasa, mai condannato per mafia perché l’ipotesi dell’agevolazione a Cosa nostra era caduta subito, ha sempre sostenuto di essere stato solo un benefattore, vicino a gruppi ecclesiali e del volontariato, sempre pronto a dare un’altra possibilità a chi sbagliava, ricordando piuttosto di aver fatto decine di denunce contro il racket del pizzo. Secondo il pool allora coordinato da Roberto Scarpinato, il manager sarebbe stato invece un insospettabile prestanome del gotha mafioso. Tesi azzerata dal verdetto che l’accusa potrebbe però contestare con un ricorso in Cassazione.

[Informazioni tratte da ANSA, LiveSicilia.it, Corriere.it]

- Costruttore di mafia (Guidasicilia.it, 29/10/10)

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18 gennaio 2013
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