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Attraverso le ville settecentesche di Bagheria tra architettura e alchimia in un libro di Rosanna Balistreri

03 marzo 2010

Alchimia e architettura - Un percorso tra le ville settecentesche di Bagheria
di Rosanna Balistreri
Eugenio Maria Falcone editore (Euro 23)


Dall’umano al divino
Un percorso iniziatico scoperto nelle ville del '700 di Bagheria

di Piero Montana

Per troppo, lungo tempo abbiamo guardato alle ville settecentesche di Bagheria con la lente deformante della mentalità moderna. Una mentalità razionale, positivista, erede del pensiero filosofico dei lumi ed in gran parte funzionale oggi al dominio della tecnica.
Una mentalità dunque, quella presente, dominante che ha finito per rimuovere in gran parte o del tutto un sapere arcano proprio di una tradizione ermetica, di una "scienza sacra", secondo la definizione che di questa tradizione dà René Guènon.
Tuttavia è giunto a noi, come un lieto evento, come una sorpresa, un libro assai ardito e coraggioso, un libro volutamente anacronistico, contro corrente, che volge le spalle al pensiero puramente calcolante - l’unico, sembra, ad avere ancora valore, ad essere effettivamente esercitato - per un pensiero meditante che attraverso la lettura in particolare dei libri di Evola, Jung, Panosfky tende a ricongiungersi con quel fiume carsico del sapere iniziatico che nel tempo non ha mai smesso di scorrere, nessuna volta in superficie bensì in una profondità che per non essere raggiunta dai molti viene confusa, scambiata con i prodotti commerciali, con i bestsellers della sottocultura oggi tanto di moda.

Il libro di cui intendiamo qui parlare è invece un saggio assai dotto di Rosanna Balistreri, che nulla concede alle lusinghe del mercato, dal titolo Alchimia e architettura. Un percorso tra le ville settecentesche di Bagheria.
È questo un libro per molti aspetti intrigante, affascinante, perché il percorso che l’autrice in esso traccia, come in un racconto di Borges, si snoda attraverso un giardino dei sentieri che si biforcano ossia attraverso un labirinto di simboli, in cui è facile smarrirsi soprattutto per chi per la prima volta s'imbatte da profano nella descrizione delle operazioni dell’Ars Regia, di quell’Arte che un tempo costituiva la via regale per la trasformazione di sé ed il conseguimento di uno status spirituale superiore. Di questa Ars Regia, di questa traduzione ermetica-esoterica che ebbe una sua splendida fioritura in periodo rinascimentale ed una sua estensione nell’ambito della cultura europea fino alla prima metà del '700, gli aristocratici siciliani di quel tempo non poterono non subirne il fascino, che trovò pertanto espressione anche in alcuni elementi decorativi delle loro ville. Del resto basta guardare gli stemmi nobiliari apposti sul prospetto principale delle loro sfarzose dimore, per rendersene subito conto.
Negli stemmi che da vicino più ci interessano, in quello di Giuseppe Branciforti a Palazzo Butera, in quello di Giuseppe Bonanni a Villa Cattolica ed infine a quello di Ferdinando Francesco Gravina a Villa Palagonia, possiamo infatti notare che le insegne araldiche sono incorniciate entro il collare dell’Ordine del Toson d’Oro, il più importante Ordine ermetico-esoterico istituito nel 1430 da Filippo il Buono, duca di Borgogna.
Che l’ostentazione di un importante titolo cavalleresco non fosse poi del tutto priva di contenuti propri di un sapere iniziatico, lo dimostra con il suo bel libro Rosanna Balistreri che in esso rivela anzitutto una spiccata sensibilità per la letteratura alchemica.
Alchimia e architettura è davvero un saggio assai interessante perché i riscontri tra l’iconografia di alcune immagini decorative e delle statue delle ville, prese in esame dalla Balistreri, e i testi alchemici sono molto precisi e puntuali. Da questi riscontri ne scaturisce una letteratura originale, mai tentata prima, che finalmente colma il blackout culturale che per troppo tempo ha oscurato il nostro patrimonio artistico e monumentale.
Illuminanti a riguardo sono l’identificazione di Bes, guardiano dei templi ermetici, con una delle due statue poste sull’entrata secondaria di Villa Palagonia e soprattutto il rapporto tra le statue dei musicisti e quelle dei mostri veri e propri creati dalla fantasia del principe Ferdinando Francesco Gravina Jr.
In entrambi i gruppi di statue l’autrice, con l’ausilio di testi assai importanti, quali Atalanta fugiens del rosacrociano Michael Maier e Arte sumera, arte romanica di Jurgis Baltrušaitis, scopre un’affinità sconcertante tra la ricerca dell’armonia nel Magistero dell’Ars Regia che gli alchimisti medievali chiamavano "Arte della musica" ed il bisogno di simmetria e di unità che già nell’antica ed orientale arte sumera generava le figure dei mostri.

Interessante è poi l’identificazione, attraverso un’attenta indagine iconologia, delle statue che stanno sul cornicione di coronamento del corpo centrale di Villa Valguarnera. Quelle identificate con personaggi mitologici, Ercole e Ganimede, risultano stare sullo stesso piano dei simulacri degli dei dell’Olimpo (Mercurio, Apollo, Nettuno, Giove). Questo stare sullo stesso piano ha per noi di per sé una precisa valenza simbolica, quella, per essere chiari, dell’elevazione dell’umano al divino attraverso le "fatiche", le prove iniziatiche e la grazia. Il fatto stesso che Ercole si trovi accanto al coppiere degli dei, indica chiaramente che il cornicione di coronamento del corpo centrale della villa, essendo la parte più alta dell’edificio, doveva simboleggiare quell’Olimpo a cui erano pervenuti anche degli esseri mortali. Tema questo pure ripreso con qualche variante nell’affresco del piano nobile di Villa Butera, raffigurante per l’appunto Ercole all’Olimpo. In tale affresco non troviamo però la figura di Ganimede bensì quella di Psiche, che con Ercole ed il coppiere degli dei condivide tuttavia un identico destino: l’ascensione all’Olimpo e l’immortalità concessa da Giove.

Rivelare le "scoperte" alchemiche della Balistreri o meglio descrivere i rapporti, i legami occulti tra i diversi elementi decorativi, tutt’oggi superstiti in tre delle nostre ville (Palagonia, Valguarnera, Butera) e la simbologia alchemica non è un compito che qui intendiamo realizzare, dal momento che non vogliamo togliere al lettore quel che Roland Barthes chiama il piacere del testo ossia il piacere della lettura, dell’intrigo, del mistero, della sorpresa.
Il libro della Balistreri contiene tutti questi elementi che ne rendono la lettura assai stimolante anche se alla fine, nella sua conclusione, là dove si parla del coronamento dell’Opus a Villa Butera, della realizzazione della Grande Opera a cui parteciparono tre principi imparentati tra loro (Ferdinando Gravina Jr., Pietro Valguarnera, Salvatore Branciforti) restiamo alquanto perplessi.
Al di là di questa nostra perplessità relativa ad una pianificazione di un progetto alchemico unitario messo in atto da tre aristocratici che a tal fine - ciascuno secondo il proprio gusto - rivestirono di un sapere arcano, ermetico tre delle loro ville già edificate nel nostro territorio, un fatto, su cui concordiamo, è tuttavia certo. In Alchimia e architettura l’autrice lo dimostra con spiccata sensibilità ed intelligenza: la cultura della tradizione ermetica ha lasciato i suoi segni anche nelle nostre ville settecentesche, che ora emergono, al di là della superficie, in tutta la loro emblematicità, grazie ad un laborioso scavo archeologico del sapere.

 

 

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03 marzo 2010
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