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Aumenta il divario tra Nord e Sud

Dal Rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2011: "Il Sud si trasformerà in un'area spopolata e anziana"

28 settembre 2011

Un Mezzogiorno in recessione, che continua a crescere meno del Centro-Nord, dove lavora ufficialmente meno di un giovane su tre e dove il tasso di disoccupazione reale sarebbe del 25%. Un'area a rischio tsunami demografico, in cui nel 2050 gli over 75 cresceranno di dieci punti percentuali. Mentre serve un nuovo progetto Paese per il Sud, per puntare sui settori più innovativi, come la geotermia, le altre rinnovabili, e le filiere territoriali logistiche.
Questa la fotografia che emerge dal Rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2011 presentato ieri a Roma.
In base a valutazioni Svimez nel 2010 il Pil è aumentato nel Mezzogiorno dello 0,2%, in decisa controtendenza rispetto al -4,5% del 2009, ma distante di un punto e mezzo percentuale dalla performance del Centro-Nord (+1,7%). Non va meglio nel medio periodo: negli ultimi dieci anni, dal 2001 al 2010 il Mezzogiorno ha segnato una media annua negativa, -0,3%, decisamente distante dal + 3,5% del Centro-Nord, a testimonianza del perdurante divario di sviluppo tra le due aree.
L'Industria è addirittura a rischio: delle 533 mila unità perse in Italia tra il 2008 e il 2010, ben 281 mila sono nel Mezzogiorno dove pur essendo presenti meno del 30% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite di lavoro causa crisi.
Per quanto riguarda la disoccupazione, il Rapporto Svimez ha rivisto al ribasso le stime Istat: "Un Mezzogiorno in recessione, che continua a crescere meno del Centro-Nord, dove lavora ufficialmente meno di un giovane su tre e dove il tasso di disoccupazione reale sarebbe del 25%".

PIL PER ABITANTE E DIVARI STORICI - In termini di Pil pro capite, il Mezzogiorno è passato dal 58,8% del valore del Centro Nord nel 2009 al 58,5% del 2010. In valori assoluti, a livello nazionale, il Pil è stato di 25.583 euro, risultante dalla media tra i 29.869 euro del Centro-Nord e i 17.466 del Mezzogiorno.
Nel 2010 la regione più ricca è stata la Lombardia, con 32.222 euro, seguita da Trentino Alto Adige (32.165 euro), Valle d'Aosta (31.993 euro), Emilia Romagna (30.798 euro) e Lazio (30.436 euro). Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l'Abruzzo (21.574 euro), che comunque registra un valore di circa 2.200 euro al di sotto dell'Umbria, la regione più debole del Centro-Nord. Seguono il Molise (19.804), la Sardegna (19.552), la Basilicata (18.021 euro), la Sicilia (17.488), la Calabria (16.657) e la Puglia (16.932). La regione più povera è la Campania, con 16.372 euro.

L'INDUSTRIA DEL SUD A RISCHIO ESTINZIONE - Delle 533 mila unità perse in Italia tra il 2008 e il 2010, ben 281 mila sono nel Mezzogiorno. Nel Sud dunque pur essendo presenti meno del 30% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite di lavoro determinate dalla crisi. Incide in questa area, più che altrove, il calo fortissimo dell'occupazione industriale (meno 120 mila addetti, che vuol dire quasi il 15 per cento di calo, che diviene il 20 per cento in Campania). Secondo la Svimez per uscire dall'impasse occorre promuovere una nuova politica industriale specifica per il Sud, con risorse adeguate. Uno degli elementi fondamentali dovrebbe essere costituito dalla fiscalità di vantaggio.

EMERGENZA GIOVANI: AL SUD LAVORA MENO DI UN GIOVANE SU TRE - Nel 2010 gli occupati in Italia sono stati 22 milioni 872mila unità, 153mila in meno rispetto al 2009, di cui 86.600 nel solo Mezzogiorno. Ma la vera e propria emergenza è tra i giovani. Nel Mezzogiorno, il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) è giunto nel 2010 ad appena il 31,7% (nel 2009 era del 33,3%): praticamente al Sud lavora meno di un giovane su tre.
Situazione drammatica per le giovani donne, ferme nel 2010, al 23,3%, 25 punti in meno rispetto al Nord del Paese (56,5%). È come se la debolezza sul mercato del lavoro, legata in tutto il Paese alla condizione giovanile, al Sud si protraesse ben oltre l'età in cui ragionevolmente si può parlare di giovani.
Dal "brain drain", cioè dalla fuga dei cervelli, il drenaggio di capitale umano dalle aree deboli verso le aree a maggiore sviluppo, siamo ormai passati al "brain waste", lo spreco di cervelli, una sottoutilizzazione di dimensioni abnormi del capitale umano formato che non trova neppure più una valvola di sfogo nelle migrazioni.

IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE REALE AL SUD È DEL 25% - Nel 2010 il tasso di disoccupazione registrato ufficialmente è stato del 13,4% al Sud e del 6,4% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro. Nel Centro-Nord la perdita di posti di lavoro tende a trasformarsi quasi interamente in ricerca di nuovi posti di lavoro; nel Mezzogiorno solo in minima parte diventa effetti-vamente ricerca di nuova occupazione.
Rispetto all'anno precedente, i disoccupati sono aumentati più al Centro-Nord (+9,4%) che al Sud (+6,6%). In testa alla non invidiabile classifica, la Sicilia, con un tasso del 14,7%, seguita dalla Sardegna (14,1%) e dalla Campania (14%). In valori assoluti i disoccupati sono aumentati di 59.300 unità nel Mezzogiorno, di cui 18.500 in Campania e 12.600 in Puglia.
Il tasso di disoccupazione corretto: dal 13,4 al 25,3%. Il tasso di disoccupazione ufficiale rileva però una realtà in parte alterata. La zona grigia del mercato del lavoro continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti l'indagine. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord supererebbe la soglia del 10% (ufficiale: 6,4) e al Sud raddoppierebbe, passando nel 2010 dal 13,4% al 25,3% (era stimato nel 23,9% nel 2009).

CRESCONO GLI INATTIVI - Dopo una riduzione di 110 mila unità nel 2008, nel 2009 gli inattivi in età lavorativa sono cresciuti di 329 mila unità nel 2009 e di 136 mila nel 2010. Tra il 2003 e il 2010 gli inattivi in età da lavoro sono cresciuti nel Sud di oltre 750 mila unità. Occupati e settori. Nel Sud cresce la domanda di lavoro in agricoltura (+2%), dopo la forte flessione del 2009 (-5,8%), con un forte boom in Calabria e Abruzzo, superiore al 10%.
In calo l'industria, che segna -5,5%. Ancora peggio se consideriamo l'industria in senso stretto: -7,3%, più del doppio del Centro-Nord (-3,3%). La dinamica dell'occupazione industriale è sensibilmente negativa in tutte le regioni del Sud, particolarmente in Sicilia (-8,1%), Calabria (-6,9%) e Campania (-6,1%). Fa eccezione il Molise (+3,7%), per l'ampio ricorso alla Cig.
Giù anche i servizi, con un calo dello 0,4%, ben più marcato che nell'altra ripartizione (+0,2%). Particolarmente negativo il dato del Molise (-4,9%) e della Basilicata (-3,6%). In controtendenza la Sardegna (+3,1%). In valori assoluti, il Sud ha perso nel 2010 77.500 unità nel settore industriale (-126.600 nel Centro-Nord), e 17.300 unità nei servizi (+52.100 nel Centro-Nord). Gli occupati in agricoltura sono cresciuti invece di 16.500 unità, di cui 8.400 al Centro-Nord e 8.100 al Sud (con una forbice compresa tra +5.800 in Calabria e -4.900 in Sardegna).

QUASI 600 MILA EMIGRATI DA SUD IN DIECI ANNI - Nel 2009 sono partiti del Mezzogiorno in direzione del Centro-Nord circa 109 mila abitanti. Riguardo alla provenienza, in testa per partenze la Campania, con una partenza su tre (33.800); 23.700 provengono dalla Sicilia, 19.600 dalla Puglia, 14.200 dalla Calabria. In direzione opposta, da Nord a Sud, 67 mila persone.
La regione più attrattiva per il Mezzogiorno resta la Lombardia, che ha attratto nel 2009 quasi un migrante su quattro, seguita dalla Lombardia. In Abruzzo, Molise e Campania la prima regione di destinazione resta il Lazio. I migranti sono soprattutto uomini, anche se il Lazio è una regione che attrae più donne. Riguardo al titolo di studio, i laureati sono il 21 per cento, e le regioni che ne attraggono di più sono la Lombardia e il Lazio.
Dal 2000 al 2009 583 mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. A livello locale, le perdite più forti si sono registrate a Napoli (-108 mila), Palermo (-29 mila), Bari e Caserta (-15 mila), Catania e Foggia (-10 mila). Colpiti anche Torre del Greco (-19 mila), Nola e Aversa (-11 mila), Taranto (-13 mila). Ad attrarre manodopera, Roma (+66 mila), Milano (+50 mila), Bologna (+31 mila), Reggio Emilia, Parma e Modena (+13 mila), Bergamo e Torino (+11 mila), Firenze e Verona (+10 mila).

MA PER LA CRISI SI INIZIA A NON PARTIRE PIÙ - La crisi del 2008-2009 ha colpito anche i pendolari meridionali, che hanno iniziato a non partire più in massa per il Centro-Nord. Nel 2010 i pendolari di lungo raggio da Sud a Nord sono stati 134 mila, di cui 121 mila diretti al Centro-Nord e oltre 13 mila all'estero. Nel biennio 2008-2010, per effetto della crisi, i pendolari di lungo raggio si sono ridotti del 22,7 per cento, in valori assoluti circa 40mila in meno del 2008. Pur diminuendo in valori assoluti, è cresciuta però la componente laureata: dal 2004 sono stati il 6 per cento in più del totale, a testimonianza dell'incapacità dell'area di assorbire manodopera qualificata.
In totale, nel 2009, oltre il 54 per cento aveva un titolo di studio medio-alto. I laureati emigrano soprattutto da Molise (27,8 per cento del totale), Abruzzo (26,6 per cento) e Puglia (24,8 per cento). La maggior parte lavora nel settore industriale (56 per cento).
Lo Svimez lancia quindi l'allarme sull'invecchiamento della popolazione nel Sud dello Stivale. Nei prossimi venti anni, si legge nel report, il Mezzogiorno perderà quasi un giovane su quattro, nel Centro-Nord oltre un giovane su cinque sarà straniero. Nel 2050 gli under 30 al Sud passeranno dagli attuali 7 milioni a meno di 5, mentre nel Centro-Nord tale saranno sopra gli 11 milioni. La quota di over 75 sulla popolazione complessiva passerà al Sud dall'attuale 8,3 per cento al 18,4 per cento nel 2050, superando il Centro-Nord dove raggiungerà il 16,5 per cento.
Le cause? Bassa natalità, bassissima attrazione di stranieri, emigrazione verso il Centro-Nord e l'estero. Il rischio è quello di un vero e proprio tsunami demografico: da un'area giovane e ricca di menti e di braccia il Mezzogiorno si trasformerà nel corso del prossimo quarantennio in un'area spopolata, anziana, ed economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese.

INFRASTRUTTURE: UN PIANO DA 60 MILIARDI DI EURO - Per rilanciare il Mezzogiorno e il Paese è più che mai urgente la realizzazione di grandi infrastrutture di trasporti, per colmare i deficit infrastrutturali dello sviluppo logistico, potenziando i nodi di scambio e intermodali, e le iniziative di sviluppo produttivo collegate, per sfruttare le potenzialità del Mezzogiorno nel Mediterraneo.
La Svimez stima un costo di 60,7 miliardi di euro, di cui 18 miliardi già disponibili e 42,3 da reperire, da dedicare al potenziamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria e della Statale Jonica; la realizzazione di nuove tratte interne alla Sicilia; l'estensione dell'Alta Capacità (se non dell'Alta Velocità) nel tratto ferroviario Salerno-ReggioCalabria-Palermo-Catania; il nuovo asse ferroviario Napoli-Bari; infine, il ponte sullo Stretto.

MISURE PER LA CRESCITA: SETTE FTL PER IL SUD - Sette filiere territoriali logistiche per il Sud. La Svimez ha individuato nel Mezzogiorno sette aree, che mostrano potenzialità di sviluppo come Filiere Territoriali Logistiche rivolte all'internazionalizzazione delle produzioni e alla maggiore apertura ai mercati esteri: Area vasta dell'Abruzzo meridionale; Area vasta del basso Lazio e dell'alto casertano; Area vasta Torrese-Stabiese; Area vasta pugliese Bari-Taranto-Brindisi; Area vasta della piana di Sibari; Area vasta catanese (Sicilia orientale); Area vasta della Sardegna settentrionale.
Con un compiuto sistema dei trasporti nel Mezzogiorno e una strategia di sviluppo basata su piattaforme logistiche di filiera a larga scala, nelle quali offrire servizi completi di cui necessitano le attività produttive e distributive per affrontare il mercato globale, sarà possibile innescare la ripresa a partire proprio da Sud.

UNA STRADA DA BATTERE: LA GEOTERMIA E LE ALTRE RINNOVABILI - Energia verde e Mezzogiorno: nel 2009 la produzione lorda di energia elettrica da fonti rinnovabili (idraulica, eolica, solare, geotermica, rifiuti, biomasse e biogas) è stata di oltre 69mila GWh pari al 23,7 per cento del totale di elettricità prodotta nel nostro Paese. Di questa quota, oltre il 77 per cento proviene dal Centro-Nord. Guardando invece a eolico, solare, biomasse e biogas, il peso della produzione delle re-gioni del Sud arriva al 64 per cento del totale. Soltanto l'energia eolica, infatti, viene prodotta per il 98 per cento nel Mezzogiorno (26 per cento in Puglia, 22 per cento in Sicilia, 18 per cento in Campania).
A livello di impianti, dei 74.282 presenti in Italia alla fine del 2009, ben 71.288 (il 96 per cento) sono fotovoltaici. Tra le regioni meridionali, mantiene il primato la Puglia che detiene il 28 per cento del totale meridionale, seguita dalla Sardegna (22 per cento) e Sicilia (20 per cento). Un'altra strada da battere per il rilancio del Sud è lo sviluppo della geotermia, utilizzata attualmente in Italia solo in Toscana, con 32 impianti. Le aree italiane con la maggiore ricchezza geotermica si trovano proprio nel Mezzogiorno, lungo il Tirreno meridionale, in Campania, Sicilia, in un'enorme area off shore che va dalle coste campane alle Isole Eolie e, in misura minore, in Sardegna e in Puglia. L'energia geotermica presenta il più alto potenziale di sviluppo (pari a livello mondiale a circa tre volte più del solare e dieci volte più dell'eolico) e può offrire, diversamente dalle altre fonti rinnovabili, una produzione continua e costante e una elevata versatilità di dimensione di impianto.

"La conferma del fallimento della politica nazionale di coesione" - "Mentre in Europa e nelle economie emergenti, per uscire dalla crisi economica e finanziaria si punta agli investimenti infrastrutturali, in Italia crollano gli investimenti pubblici nel Sud. E questo avviene, paradossalmente, mentre si pretende di approdare al federalismo fiscale che impone, invece, consistenti perequazioni. Il cosiddetto Piano del Sud, lo ripetiamo, è solo uno chimera per illudere chi ci vuol credere".
Lo afferma l'Assessore regionale all'Economia Gaetano Armao, al termine della presentazione del Rapporto Svimez 2011.
"Il rapporto Svimez 2011 - dichiara Armao - conferma il tendenziale allargamento del divario tra Nord e Sud. E' l'effetto oltre della crisi economica, della progressiva riduzione, se non addirittura della sottrazione, di risorse dirette alle Regioni meridionali. Proprio il crollo degli investimenti nel Mezzogiorno costituisce, ben oltre i proclami del cosiddetto Piano per il Sud, la causa principale del forte rallentamento della politica regionale di sviluppo, adesso appesantito ulteriormente dagli effetti delle tre manovre del Governo nazionale che scaricano le proprie misure di riduzione della spesa prevalentemente sul sud. In questo modo si attiva una spirale recessiva alla quale le Regioni del Mezzogiorno debbono reagire puntando a coniugare risanamento ed investimenti. Solo così potremo dare risposti ai tanti giovani preparati che attendono di entrare nel mondo del lavoro e lo vogliono fare senza dover abbandonare la propria regione". "Appare infine particolarmente preoccupante -conclude l'assessore Armao - che il Governo nazionale, confermando un chiaro orientamento penalizzante per il Mezzogiorno, si sia già orientato a proporre una riduzione del contributo dell'Italia all'Unione europea, che molto probabilmente si riversera' negativamente sulle politiche di coesione regionale, penalizzando ulteriormente le regioni del Sud".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliweb.it, SiciliaInformazioni.com]

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28 settembre 2011
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