Baarìa
Giuseppe Tornatore filma una gigantesca epopea storica e trasforma la sua Bagheria in una metafora nazionale
Noi vi segnaliamo
BAARÌA
di Giuseppe Tornatore
Le vicende di una famiglia siciliana, raccontate attraverso tre generazioni - dal capostipite Ciccio, al figlio Peppino, al nipote Pietro - e 50 anni di Storia Italiana. Nella provincia di Palermo, durante il Ventennio fascista, Cicco, un modesto pecoraio, coltiva la passione per i libri e i poemi cavallereschi. Nel dopoguerra, mentre il paese versa nella fame e nella miseria, suo figlio Peppino scopre che il mondo è pieno di ingiustizie e, diventato un fervente comunista, si impegna a tempo pieno nella politica. Per questo, quando incontra Sarina e si innamora di lei, la loro unione viene osteggiata da tutti. Ma a volte la volontà e l'amore riescono a superare ogni ostacolo...
Anno 2009
Nazione Italia, Francia
Produzione Marina Berlusconi, Tarak Ben Ammar per Medusa Film, Quinta Communications, Exon Film
Distribuzione Medusa
Durata 150'
Regia, Soggetto e Sceneggiatura Giuseppe Tornatore
Con Francesco Scianna, Margareth Madè, Angela Molina, Lina Sastri, Salvo Ficarra, Valentino Picone, Luigi Lo Cascio, Enrico Lo Verso, Nino Frassica, Laura Chiatti, Michele Placido, Vincenzo Salemme, Giorgio Faletti, Corrado Fortuna, Paolo Briguglia, Leo Gullotta, Beppe Fiorello, Luigi Maria Burruano, Franco Scaldati, Aldo Baglio, Monica Bellucci, Donatella Finocchiaro, Marcello Mazzarella, Raoul Bova, Gabriele Lavia, Sebastiano Lo Monaco, Tony Sperandeo, Lollo Franco, Alessandro Schiavo, Orio Scaduto
Fotografia Enrico Lucidi
Musiche Ennio Morricone
Genere Drammatico
In collaborazione con Filmtrailer.com
La critica
"La grande forza del film, da cui gli spettatori italiani saranno privati per ragioni di mercato, è che la folla di attori che lo popolano parla in dialetto baarioto, con quelle grida gutturali che ci ricordano una regione, una nazione che avevamo dimenticato in tutta la sua sottomissione primitiva, la sua superstiziosa rassegnazione, il suo abbandono. In italiano il film sarà più comprensibile, ma meno commovente e ipnotizzante, perché i suoni di quella lingua quasi selvaggia aderiscono completamente alle persone e ne esaltano le storie."
Natalia Aspesi, 'la Repubblica'
"Non crediate ad un film di stampo neorealista. 'Baaria' è visionario, sfarzoso, esagerato, pomposo. Ti travolge con un'inventiva che qua e là sfocia nel bozzetto, e regala nel finale una dimensione onirica ben poco originale. Ma strada facendo, ha momenti memorabili. Sul registro epico - la sequenza dell'occupazione dei braccianti - e soprattutto su quello intimo, familiare. Il gioco della memoria, la rievocazione del passato spingono Tornatore sul terreno del mito. (...) Se Tornatore avesse girato il film 20 - 30 anni fa, ci avrebbe messo Franco e Ciccio, con lo stesso risultato: vittoria piena."
Alberto Crespi, 'L'Unità'
"Il film riflette più d'ogni altro le caratteristiche di Tornatore: la sua gran bravura alla macchina da presa, la sua mancanza d'umorismo e di ironia, la sua capacità nell'affrontare il pathos o la singolarità dei dettagli e l'incapacità di forte visione generale. 'Baaria', un poco scolastico, prevedibile, alla maniera di 'Rosebud' di Orson Welles termina con l'immagine di un giocattolo infantile, e affastella forse troppi dettagli. (...) Alla mafia si accenna pochissimo, al cinema moltissimo: manifesti ('Uno sguardo dal ponte', 'Fellini' Satyricon'), proiezioni, Alberto Lattuada che gira a Villa Patagonia, il commercio tra bambini di piccoli pezzi di pellicola. La musica di Ennio Morricone è facile e invadente, i protagonisti sono bravi. Come tanti film inaugurali di festival, 'Baaria' non può essere paragonato a 'Amarcod' di Fellini anche per la carenza di fantasia e satira (ma al massimo si arriva a un tenue grottesco) ma è accurato, piacevole da vedere."
Lietta Tornabuoni, 'La Stampa'
"Tornatore impiega con coscienza una fotografia di cultura televisiva (la fiction e lo spot) e la distacca nel passo metaforico del film, fiducioso che questa immagine "corrotta" corrisponda a un immaginario, a un sentimento visivo riconoscibile del pubblico di oggi. I personaggi, alcuni protagonisti e decine di figure minori densissime di ruolo e significato, sono distribuiti secondo un lavoro di casting registico intelligente e originale, i ruoli principali affidati a esordienti che lasciano il segno (Francesco Scianna che ha energia e carisma, ricordando una sorta di Richard Gere siculo, e Margareth Madè, meno incisiva ma misurata), quelli secondari ad artisti celebri trasformati dal segno deciso, e decisivo, della regia (la Sastri matrice magica delle sorti di famiglia, il politico dc di Frassica, il Salemme cantante istrione, e Placido, Lo Cascio, Beppe Fiorello, eccetera). E' una via giusta per aiutare lo spettatore a seguire il percorso denso e incalzante di un ambizioso Novecento indeciso tra tragedia e commedia, tra iperrealismo e caricatura. Per non smentirsi, Tornatore dispone almeno tre finali, l'ultimo con strazio retorico. Ma, bisogna distinguere: nel film, l'impiego della figura retorica e della sovrabbondanza melò sono trattati da un narratore di razza esposto alle proprie sincere debolezze.'Baaria' è un kolossal da 25 milioni di euro destinato a lunga vita nazionale e internazionale, ma è anche un film dell'anima. Di Tornatore. Su questo non c'è dubbio. Nel bene e nel male."
Silvio Danese, 'Quotidiano Nazionale'
"Certo, in due ore e trenta minuti di proiezione non tutto funziona alla perfezione, e il gusto per una favola un po' troppo sottolineata ogni tanto fa capolino, ma alla fine ti senti tirato dentro in questo spaccato di vita siciliana. Forse non ne sai molto di più su Bagheria ma ti sembra di esserne diventato una piccola parte e come il popolo in piazza al comizio di Placido vien voglia di gridare insieme a tutti: 'acqua!'."
Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera'
"Se in 'Amarcord', il film cui 'Baaria' viene più spesso accostato, i personaggi dell'adolescenza di Fellini erano trasfigurazioni rese archetipiche dalla memoria emozionale del regista, i mille abitanti di Bagheria rischiano di diventare stereotipi etnici a uso e consumo del pubblico d'oltreoceano che ha imparato a pensare alla Sicilia, e all'Italia in generale, per luoghi comuni. Positiva invece la scelta di lasciare fuori quasi del tutto la componente violenta del "carattere" siciliano e i riferimenti alla mafia, che rimane sullo sfondo per privilegiare una cifra della sicilianità assai celebrata dalla letteratura - vedi Sciascia e Pirandello - ma poco dal cinema: l'ironia, che colora tutte le scene e i personaggi del film di Tornatore. Se certe immagini di povertà e polvere ricostruite in studio (la Baaria di Tornatore è una serie di splendide stenografie, allestite in Tunisia da Maurizio Sabatini) sembrano messe lì per compiacere chi vuole l'Italia eternamente rurale e sgarrupata, l'autoironia dei personaggi esorcizza il rischio della deriva melodrammatica che ha caratterizzato molti film precedenti del regista siciliano."
Paola Casella, 'Europa'
"L'impressione è di una bella occasione persa, la possibilità fallita di entrare nell'anima vera della Sicilia, quella particolare e universale che la rende unica e allo stesso tempo un modello esemplare delle grandezze e delle miserie umane. Invece ci ritroviamo tra le mani una cartolina estetizzante, un cinema statico e piattamente narrativo. All'estero c'è interesse - un collega americano azzarda anche la possibilità di un secondo Oscar dopo 'Nuovo cinema Paradiso' - , il pubblico potrebbe apprezzare, ma l'isola rimane inafferrabile, proprio come Gian Maria Volontè ce la mostrava in 'Una storia semplice". Il regista e sceneggiatore cita Sciascia ma poi non ne segue le orme o almeno l'ispirazione. (...) Si affida alla bellezza ipnotica di Margareth Madè, al fascino naif del suo protagonista maschile, a ricordi che sanno di mito domestico, con la bella musica di Ennio Morricone, però, che vorrebbe la potenza di Sergio Leone o la complessità di una storia più cattiva e complessa, quella 'forza sporca' trovata, per esempio, ne 'La sconosciuta'. 'Baaria', invece è un film medio, in alcuni momenti mediocre. Peccato."
Boris Sollazzo, 'Liberazione'
"Tornatore non fa politica, ma la mostra in azione, nelle piccole azioni, nei gesti. Dall'esproprio di un cappotto ai danni di un compagno (Leo Gullotta) perché un dirigente che deve andare in Russia non ce l'ha, ad un ricorso all'Inps per assegni di famiglia che alla fine avrà buon esito. I comunisti sanno vestirsi, ma non sanno arricchirsi e, almeno in Italia, non hanno mangiato mai i bambini. Sulla grottesca barbarie dei fascisti Tornatore glissa. Insomma, non un film antifascista, ma filocomunista, di stampo riformista, perché i comunisti stanno contro i mafiosi. Almeno in Sicilia. Ma questo può davvero piacere a Berlusconi?."
Luca Mastrantonio, 'Il Riformista'
"Non è probabilmente il messaggio del film che ci fa velo. Un autore può essere pessimista. La questione centrale resta sempre il modo con cui il discorso è articolato, come un'epopea, che può sì accogliere anche elementi grotteschi o ridicoli o fortemente sentimentali come qui avviene, segue il suo ritmo, finisce per convincere chi la ascolta. Qui, in 'Baaria', non convince i1 declamato alto che Tornatore ha voluto imprimere alle immagini sovraccaricandole di figure in movimento sia in tempo in cui l'agitarsi della gente pareva meno frenetico di oggi che in questi anni che sembrano a volte prossimi al caos. Ma la memoria, specie se profondamente partecipata, non sempre consente il proclamato alto. Abbisogna di sospensioni, di silenzi, di punti fermi. La scrittura di Tornatore che in altre occasioni conobbe la pazienza del 'rallentato' qui si fa come impazienze, e simile allo scorrere del tempo che tutto pare trascinare con sé e triturare. Muoiono le utopie. Le speranze spariscono."
Francesco Bolzoni, 'Avvenire'
"Nessuno fa niente da solo, l'horror vacui riempie le botteghe con forme di pecorino e salsicce in quantità (troppe per la miseria dei decenni trascorsi) e affida ogni scena alle amorevoli musiche di Ennio Morricone. I comunisti non mangiano i bambini, viene ribadito più volte. E nonostante questo Silvio Berlusconi consiglia il film a tutti gli italiani, pronto a mandarlo in onda a reti unificate quando sarà il momento. Nel bailamme, non si dovrebbe notare che i salti avanti e indietro sono faticosi, che il simbolismo delle uova rotte e delle bisce nere è un po' d'accatto, che il risultato - in mancanza di una storia avvincente - somiglia a una serie di pittoreschi e nostalgici bozzetti siciliani. Resta la sorpresa su come reagiranno i tradizionali fan di Tornatore al caloroso invito dell'ultimo (ma non meno importante) fan. Lo chiameranno cinema di regime?"
Maria Rosa Mancuso, 'Il Foglio'
"Il bello del cinema di Tornatore è che non conosce le mezze misure e fa di ogni episodio un'avventura, di ogni gesto un'iperbole, di ogni personaggio un eroe. Il guaio del cinema di Tornatore è che non conoscendo mezze misure rischia di soffocare sotto l'accumulo di effetti, metafore, crescendo, colpi di scena, paradossi temporali e chi più ne ha più ne metta. Come se la Storia di cui tutti facciamo parte non fosse un problema sempre aperto, un processo senza fine da indagare e verificare ogni volta di nuovo, ma un insieme dato una volta per tutte di forme, facce, eventi, sentimenti da far scorrere a piacimento nella moviola della memoria. Magari correggendolo con le lenti della fantasia, come hanno sempre fatto i cantastorie. (...) dove questo soffio epico o umoristico viene meno, il film finisce per infilare uno dietro l'altro episodi più o meno felici, sorretto da un grande lavoro sul cast e accompagnato dalle musiche incalzanti di Ennio Morricone con una tale mancanza di pause e rallentamenti, indispensabili a loro volta, che a tratti paradossalmente sembra di guardare il trailer di un film che Tornatore non farà mai ma che un giorno ci piacerebbe vedere. Chissà, forse per trasformare davvero Bagheria nella sua Macondo ci voleva più leggerezza, meno "poesia" (meno poeticismi). E un rapporto diverso con la Storia, che in un racconto costruito in questo modo diventa anche senza volere un catalogo di cliché. Il fascismo e la guerra, il Pci egemone anni '50 e il mito effimero dell'Urss, Fred Astaire e Tambroni, Mina e la rivoluzione sessuale, poi la mafia, le elezioni, il trasformismo, gli intrallazzi, le mazzette, il '68. Tutto già visto, catalogato, in fondo rassicurante. Un come eravamo, ingordo e rutilante, generoso e diseguale, ma più pittoresco che magico."
Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero'
"Tornatore ha fuso il privato con il pubblico dando spazi simili all'individuo e al coro. Con immagini in cui la realtà diventa pittura, con figure, al loro centro, che si propongono con esattezza (fra il dramma e i lampi di ironia). Mentre dei ritmi con echi di canto le portano avanti con logiche serrate, grazie anche alle musiche splendide di Ennio Morricone che sanno perfettamente aderire sia alle varie epoche sia ai tanti caratteri cui dar sempre toni ispirati. Eguale perfezione negli interpreti. Il protagonista, Francesco Scianna, pur noto in teatro, al cinema e in tv, qui ha un volto nuovo con espressività originali. Al suo esordio, invece, la modella catanese Margareth Madé, che però gli si adegua. Attorno, anche in parti di fianco, nomi notissimi del nostro cinema. Per rendere omaggio a Tornatore e al suo film."
Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo'
"Un dramma epico, quasi una baraonda esagitata e sopra le righe, sui siciliani in dialetto di Bagheria (ma in continente lo sentiremo doppiato), dunque. E una commedia, non realista, piuttosto arabescata, da pupi in crociata, 'sui comunisti quando erano puri', come lo giudica e lo raccomanda a tutti il suo «produttore ombra», entusiasta sia dell'analogia tra «purezza» e «impotenza» comunista che dell'uso imprenditoriale di ogni utopia. «Un film mio, sarà riuscito o meno, ma è come lo voglio, ed è questo che dà fastidio a molti», invece, secondo le parole del suo autore, ex Pci, capace di osservare da sempre bene in faccia i mostri culturali che inquinano, inseguono (o inebriano?) la sua poetica artistica. E che sono: «il riformismo come buon senso» (si riducono, per esempio, a 5 i sindacalisti uccisi dalla mafia e ex X Mas, come Placido Rizzotto, nell'immediato dopoguerra, invece delle centinaia, Portella della Ginestra esclusa); il «cattivo carattere», come tatuaggio indelebile di chi fa la politica dei piccoli passi, ovvero, come dice il protagonista del film, Peppino (Francesco Scianna), «delle braccia troppo corte per abbracciare tutto il mondo»; l'indomabile risposta dionisiaca ai misteri della vita; il cinema potente, da ricatalogare dopo 'Nuovo Cinema Paradiso', da 'Cabiria' al 'Vangelo secondo Matteo', da Fred Astaire a Alberto Sordi... Attenzione: non quelli porno, che sono piaceri trash da gruppettari. E se mostri ci debbano essere che non siano quelli estremi e destabilizzanti, come nelle sequenze insostenibili di Ciprì e Maresco, ma Guttuso che traccia, in linea feroce, la Piovra; l'assessore cieco all'urbanistica che mette le mani sulla città e incassa le mazzette sotto banco; un nido di vipere che perseguita l'eroe (l'incubo di Stalin?), un traditore che passa ai socialisti e forse è più elegante di Peppino... Ma siamo davanti a un prodotto (30-35 milioni euro, e sembrano di più forse per la messe straordinaria di comparse tunisine) o a un film d'autore, misterioso e autobiografico fino all'esibizionismo, visto che si ambienta nei dintorni della casa di nascita e dei ricordi e degli incubi del regista? E visto che la quasi totalità degli attori siciliani vi sono coinvolti, come fosse il book della Film Commission sicula? "
Roberto Silvestri, 'Il Manifesto'
Film di apertura, in concorso, alla 66ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia