Baldoni, Sgrena, Calipari
Tre casi italiani vergognosamente insoluti e osteggiati. Quelle verità offese dai giochi di potere
E' innegabile affermare che l'operato del governo italiano nelle vicende dei rapimenti in Iraq è sempre stato quantomeno ambiguo. Con le ultime rivelazioni di Maurizio Scelli, commissario straordinario uscente della Croce Rossa, tale affermazione diventa verità innegabile.
Mezze verità, segreti che vengono inavvertitamente svelati, macchinazioni farsesche: in poche parole solo offese alla verità.
Dal rapimento di Maurizio Agliana, Salvatore Stefio, Umberto Cupertino e Fabrizio Quattrocchi (quest'ultimo ucciso dai sequestratori), passando per il rapimento del giornalista Enzo Baldoni (anch'esso ucciso), poi al sequestro di Simona Pari e Simona Torretta, per finire con il rapimento della giornalista Giuliana Sgrena finito con l'uccisione dell'agente del Sismi Nicola Calipari da parte degli americani, mai si è venuti a conoscenza di cosa realmente si sia mosso dietro queste storie italiane, che hanno tenuto tutti col fiato sospeso e che troppe volte si sono trasformate in tragedia.
Chi fossero e cosa facessero veramente le quattro bodyguard in Iraq, chi e con chi ha trattato la non riuscita liberazione di Enzo Baldoni, quale sia stata la vera procedura seguita dalla Croce rossa per liberare le due Simone e perché Nicola Calipari è stato ucciso dal ''fuoco amico'' alla fine dell'operazione condotta per portare in salvo Giuliana Sgrena, sono i quesiti insoluti con i quali il governo dovrà fare i conti, ma che si teme rimarranno senza risposta.
Intanto qualcosa sembra muoversi sul fronte del sequestro della giornalista de il Manifesto, Giuliana Sgrena. La polizia irachena ha infatti arrestato a Baghdad quattro uomini che accusa di aver partecipato al sequestro della giornalista. Le loro foto segnaletiche (quattro nitidi scatti in primo piano, a colori e ingranditi su carta di formato A4) sono state trasmesse in agosto alla Procura di Roma, allegate ad un primo, sintetico rapporto in cui gli investigatori iracheni si dicono certi della responsabilità dei quattro e ne tracciano un frammentario profilo.
''Sono giovani iracheni, diciamo tra i trenta e i quarant'anni, residenti a Baghdad - spiega una qualificata fonte investigativa italiana -. Arrestati in un primo momento perché accusati di altri reati e, solo successivamente, detenuti perché accusati di un coinvolgimento diretto nel sequestro Sgrena''. Nessun dettaglio in più sulla loro identità, perché - spiega ancora la fonte - ''le foto ricevute dagli iracheni dovranno ora essere mostrate proprio alla Sgrena", in un primo tentativo di riconoscimento.
Pur nell'eventualità che la giornalista non riconosca i suoi carcerieri nelle foto che le verranno mostrate, c'è da dire che il rapporto della polizia irachena un risultato lo ha comunque già prodotto. La Procura di Roma ha infatti chiesto e ottenuto che i quattro detenuti vengano quanto prima interrogati a Baghdad da un magistrato e da ufficiali del Ros dei carabinieri (delegati all'indagine sia per il sequestro della Sgrena che per la morte di Nicola Calipari) e dunque che l'Italia ne possa autonomamente valutare il coinvolgimento nel sequestro.
Insomma, sembra l'inizio di un lavoro investigativo che potrebbe cominciare a rispondere ad alcune delle molte domande sin qui inevase dell'affare Sgrena-Calipari. A sei mesi dalla notte del 4 marzo (giorno della liberazione della Sgrena e della morte di Calipari), la verità sui responsabili del sequestro e sui passaggi chiave che ne accompagnarono le trattative resta infatti custodita nella cassaforte di Palazzo Chigi e della nostra intelligence militare, il Sismi, che, per conto del governo, con i carcerieri della Sgrena ne trattò la liberazione e il prezzo.
Segreti e misteri che coprono verità scomode, come quelle svelati qualche giorno fa dal quotidiano l'Unità con un articolo che parla dell'ultima telefonata di Nicola Calipari, prima di cadere vittima del fuoco amico.
Rivelazioni che non sono piaciute ai vertici di Palazzo Chigi che hanno subito chiesto chiarimenti ai responsabili del servizio militare.
Una denuncia troppo chiara quella dell'articolo di Vincenzo Vasile (dal titolo «La parola d'ordine era occhio agli americani con il grilletto facile», che troverete linkato a fine articolo) che ad alcuni è sembrata la risposta, anzi l'avallo alle dichiarazioni di Scelli dei giorni scorsi: ''Tacere agli americani era la regola e il governo sapeva''.
Tra gli elementi che hanno fatto saltare qualcuno sulla sedia c'è la rivelazione, inedita, della litigata al cellulare tra Calipari e un misterioso interlocutore poco prima della liberazione della Sgrena.
Circostanza rivelata all'Unità proprio i colleghi del Sismi: Nicola Calipari che perde la pazienza e urla al cellulare, Nicola che stacca il telefono e decide che dovrà assumersi tutte le responsabilità, da solo, tutto ciò in ''ore di pressioni enormi''.
Chi era questo misterioso interlocutore? Quali erano le pressioni?
Una risposta è stata data dal direttore de il Manifesto, Gabriele Polo, in un editoriale pubblicato il 26 agosto (leggi) dopo le scomode rivelazioni di Maurizio Scelli sulla liberazione delle due Simone.
In quei momenti si stava affacciando l'ipotesi che la trattativa per il rilascio di Giuliana Sgrena potesse saltare su un altro binario, e che questo binario parallelo rischiasse di compromettere tutta l'operazione. La figura di Scelli, dopo le trattative del governo italiano per la liberazione delle due Simone, nascoste scrupolosamente agli americani, si sarebbe riaffacciata anche in quelle ultime ore del caso Sgrena, creando una vera e propria ''interferenza'' nelle trattative che Calipari aveva raggiunto con i sequestratori, che all'ultimo momento avevano assunto atteggiamenti ambigui.
È a queste pressioni che si riferiscono i colleghi di Nicola quando raccontano delle ultime ore vissute in affanno? A questo è legata la telefonata che fece infuriare il funzionario del Sismi? Forse qualcuno suggerì a Calipari che si doveva ripetere l'operazione delle due Simone anche per la liberazione di Giuliana Sgrena: ''Che ne dici se mandiamo avanti Scelli?...''.
Quelli del Sismi oggi raccontano solo di quella telefonata concitata con un interlocutore: ''Le ultime ore - scrive la squadra di Calipari - sono vissute in affanno, sotto una pressione enorme e difficilmente sopportabile. Nicola arriva a gridare al telefono, perde addirittura la pazienza. Stacca il cellulare''.
Sono le ore che precedono la liberazione di Giuliana e Nicola resta solo, solo con delicatissime decisioni da prendere.
Delle mosse e delle decisioni di quelle settimane, addirittura di quelle ultime ore, nessuno ha dato fino ad ora pieno e sostanziale conto. Un'opacità che il tempo rende più fitta e che coinvolge tutti i casi di sequestro che hanno coinvolto gli italiani in Iraq.
Come del resto dimostra l'ultima iniziativa di Maurizio Scelli, che lunedì pomeriggio ha consegnato nella sede del comando del Ros dei carabinieri il passaporto e la tessera di giornalista di Enzo Baldoni. Scelli ha riferito di esserne entrato in possesso a Baghdad in questi ultimi giorni, dunque dopo aver scatenato il putiferio su Palazzo Chigi ed esserne stato scaricato. Ha quindi aggiunto di non essere in grado di identificare l'iracheno che gli ha fatto avere i documenti.
Insomma, la conferma di quella costante che caratterizza il lavoro italiano a Bagdad che, con voluto sarcasmo, una fonte investigativa riassume così: ''Quando si lavora sulle attività di Sismi e Croce Rossa, manca sempre un dettaglio per capire cosa sia davvero accaduto lì giù. Normalmente, il dettaglio più importante''.
- La squadra di Calipari: «La parola d'ordine era: occhio agli americani» di Vincenzo Vasile