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Borsellino quater

Parla un testimone: "Volevano farmi confessare il furto della 126"

04 luglio 2013

L'allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera nel settembre del '92 avrebbe cercato di costringere Roberto Valenti a confessare il furto della Fiat 126 poi utilizzata come autobomba per la strage di via D'Amelio.
Lo ha sostenuto lo stesso Valenti, sentito come teste martedì mattina dalla Corte d'assise di Caltanissetta al processo "Borsellino quater". L'uomo, nipote di Pietrina Valenti, proprietaria della 126, il 5 settembre del '92 venne arrestato perché accusato di una rapina e di violenza sessuale, assieme allo zio Luciano Valenti e a Salvatore Candura.
"Dopo le formalità di rito - ha detto Valenti in aula - un agente mi accompagnò nell'ufficio di La Barbera. Insisteva, con i piedi poggiati sul tavolo mentre guardava la televisione e fumava un sigaro, affinché io confessassi quel furto. Gli dissi che non ero stato io. Ebbe uno scatto d'ira e mi disse: 'Vabbè, vattene nel carcere di Termini Imerese'".
Il teste ha anche detto che l'utilitaria era in ottime condizioni e che la denuncia di furto venne presentata dalla zia Pietrina, uno o due giorni dopo la sparizione dell'auto.

Nell'udienza ha deposto la stessa Pietrina Valenti e ha ricordato che la vettura aveva qualche difetto all'acceleratore o alla frizione e lo specchietto lato guida non si chiudeva bene. La donna ha puntualizzato che l'auto era intestata alla madre, Maria D'Aguanno, e che era parcheggiata in via Bartolomeo Sirillo. "Ho presentato la denuncia di furto ai carabinieri il 10 luglio del 1992. Ricordo perfettamente che era una domenica", ha affermato. In effetti, il 10 luglio era un venerdì, ma quando la donna andò in caserma per sporgere denuncia, un militare gli disse che non era possibile presentarla perché era domenica: evidentemente, c'è una confusione sulle date.
A ogni modo, dopo il furto dell'auto, Pietrina Valenti si rivolse a Salvatore Candura, amico di suo fratello Luciano, poiché nutriva il sospetto che fosse stato proprio Candura a impossessarsi della macchina. Quello che sarebbe poi diventato un falso pentito assicurò alla signora che si sarebbe prodigato per ritrovare la macchina. La donna ha anche dichiarato che la carta di circolazione è ancora in suo possesso. [Fonte: Repubblica.it]

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04 luglio 2013
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