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Braccia che tornano all'agricoltura

Secondo la Cia l'agricoltura è pronta ad assorbire 200mila disoccupati

19 ottobre 2012

L'agricoltura è l'unico settore che cresce e crea occupazione, come dimostrano i numeri: il valore aggiunto cresce dell'1,1%, il numero degli addetti sale addirittura del 6,2%, dà lavoro a molte donne, vanta imprenditori giovani con un elevato livello di istruzione e potrebbe assorbire in tempi rapidi più di 200mila disoccupati.
E' il quadro dipinto nel corso del convegno "Il contributo dell'agricoltura per la riforma del lavoro e la crescita" dalla Cia-Confederazione italiana agricoltori, secondo cui nonostante la crisi persistente, il comparto è estremamente vitale, ha grandi risorse e potenzialità, ma è indispensabile che vengano abbattuti costi (produttivi e contributivi) e burocrazia che oggi invece paralizzano le imprese agricole.

Nelle campagne, secondo la Cia, a differenza di industria e servizi, c'è ancora possibilità di lavoro e ciò può essere sfruttato dal governo con interventi mirati che consentano agli imprenditori agricoli di riprendere a "marciare" e di aprire le porte ai tanti lavoratori espulsi da altri settori.
Tra le particolarità dell'agricoltura uno studio rileva che la presenza femminile s'è imposta e continua a crescere. Oggi infatti le aziende agricole condotte da donne sono più del 33% e le lavoratrici rappresentano quasi il 40% della forza lavoro del comparto. Con un processo graduale di "femminilizzazione" che parte proprio dalle regioni meridionali.
Altra caratteristica del settore è l'elevata scolarizzazione dei giovani che ci lavorano. Nonostante una presenza degli under 40 ferma all'8%, tra gli imprenditori junior delle campagne uno su tre ha un titolo di studio elevato, dal diploma in su.

Nel corso del convegno è stato evidenziato che il settore agricolo può trasformarsi in un vero "ammortizzatore sociale" e contribuire alla creazione di nuova occupazione, a fronte di risposte chiare e concrete a problemi annosi come quelli dei costi e dei gravami fiscali. La proposta della Cia è di creare, a livello territoriale e di distretti produttivi, meccanismi che incentivino il passaggio dei lavoratori dai settori più in crisi all'agricoltura. Invece di erogare ammortizzatori sociali con l'unico scopo di "tamponare la situazione di emergenza", secondo la Cia sarebbe invece "più utile investire risorse per riqualificare questi lavoratori e dare loro prospettive di lavoro in altri settori dove c'é richiesta, come in agricoltura, agevolando le imprese in tale passaggio sotto l'aspetto dei costi, dei contributi e del fisco".

"Ma è indispensabile - ha detto il presidente Cia Giuseppe Politi - una drastica riduzione degli adempimenti burocratici. Le misure che sono state prese dal governo costituiscono certo un passo avanti, ma sono ancora insufficienti" visto che la burocrazia costa al sistema delle pmi 26,5 miliardi di euro all'anno e "soffoca anche l'agricoltura, che paga un conto molto salato: oltre 3 miliardi di euro l'anno. Ecco perché - conclude - chiediamo un'accelerazione da parte del governo per rendere meno elefantiaci e costosi i rapporti tra aziende agricole e Pubblica amministrazione".

In Italia 45 mila aziende biologiche: 6 su 10 al Sud - Sono 45.167 in Italia le aziende che adottano metodi di produzione biologica per coltivazioni o allevamenti, e rappresentano il 2,8% delle aziende agricole totali. E' quanto emerge da un focus dell'Istat in base ai dati del 6° Censimento generale dell'agricoltura, con dati aggiornati al 24 ottobre 2010.
43.367 aziende applicano il metodo di produzione biologico sulle coltivazioni (2,7% delle aziende in complesso con SAU) mentre 8.416 lo adottano per l'allevamento del bestiame (3,9% delle aziende in complesso con allevamenti). Sono invece 6.616 aziende quelle che utilizzano metodi di produzione biologica sia per le coltivazioni sia per gli allevamenti.

Il 62,5% delle aziende biologiche è attivo nel Sud e nelle Isole. Qui si concentra anche il 70,9% della superficie biologica complessiva. In particolare, la Sicilia è la regione dove si conta il maggior numero di aziende biologiche (7.873 unita'); seguono la Calabria con 6.769 aziende e la Puglia, con 5.295.
La dimensione media della superficie biologica delle aziende interessate è di 18 ettari, notevolmente superiore a quella delle aziende in complesso (convenzionali e biologiche), per le quali il valore medio è pari a 7,9 ettari di SAU. In Sardegna, con una media di 43,8 ettari di superficie biologica ad azienda, si registrano le dimensioni unitarie più elevate; seguono Basilicata (23,7 ettari) e Puglia (22,8 ettari).

"Le maggiori superfici biologiche investite riguardano i cereali da granella (oltre 223 mila ettari), seguiti dai prati permanenti e pascoli, esclusi i pascoli magri (oltre 172 mila ettari) - sottolinea l'Istat -. Per questi due gruppi di colture le maggiori superfici biologiche sono localizzate rispettivamente in Basilicata (44.277 ettari, pari al 19,8% della superficie biologica complessiva nazionale investita a cereali da granella) e in Sicilia (43.725 ettari, ovvero il 25,3% della superficie biologica complessiva nazionale occupata da prati permanenti e pascoli). In Calabria si registra la maggiore percentuale di superficie coltivata con metodo biologico rispetto alla SAU complessiva (17,7%)"

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Italpress - €conomiaSicilia.com]

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19 ottobre 2012
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