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British job for british workers

Gordon Brown boccia gli scioperi britannici contro la presenza degli operai siciliani della Irem

02 febbraio 2009

Scioperi selvaggi "indifendibili". Così il premier Gordon Brown, parlando alla Bbc, ha stigmatizzato le proteste dei lavoratori britannici contro la presenza degli operai italiani della siracusana Irem (che ha vinto un appalto dal valore di 200 milioni di sterline, 228 milioni di euro) nel cantiere della raffineria Lindsey Oil della Total di Grimsby, nel Lincolnshire.
Brown ha riferito di comprendere la preoccupazione e lo stato d'animo dei lavoratori britannici ma ha aggiunto che gli scioperi "non sono la cosa giusta da fare".
Sulla stessa lunghezza d'onda del primo ministro, il titolare delle Attività produttive britannico Peter Mandelson, che ha avvertito come il protezionismo non avrebbe altro effetto che trasformare la recessione in una "depressione": "Sarebbe un errore enorme - ha sottolineato Mandelson - fare marcia indietro rispetto ad una situazione in cui le aziende britanniche possono operare in Europa, e quelle europee possono farlo qui da noi".

I sindacati britannici tengono a precisare che dietro agli scioperi degli operai non c'è nessun intento xenofobo né tanto meno protezionismo, ma la reazione a quella che viene vista come una discriminazione nei confronti della forza lavoro britannica. Il principale sindacato, il Tuc, ha accusato la Total, proprietaria della raffineria della discordia, di aver cercato di "tagliare in modo scorretto salari, condizioni di lavoro e rappresentanza sindacale dei dipendenti". La convinzione è infatti che gli operai italiani siano stati ingaggiati senza dare la possibilità a quelli britannici di fare domanda per il posto e che siano pagati molto meno. "Questi scioperi non sono contro gli stranieri di per sé, ma contro l'esclusione dei lavoratori britannici", ha confermato Derek Simpson, presidente del sindacato Unite, che, commentando le dichiarazioni fatte Gordon Brown ha aggiunto: "Sebbene gli scioperi siano stati definiti indifendibili, molta gente li trova comprensibili nelle attuali circostanze. Il problema non si ferma alla Lindsey, è molto più ampio".
Preoccupato da come gli scioperi e le proteste potrebbero essere utilizzati dal partito di estrema destra BNP per fomentare l'odio nei confronti degli stranieri, il parlamentare laburista John Cruddas in un editoriale pubblicato ieri dal Sunday Mirror ha scritto: "Questi scioperi non hanno a che fare con il razzismo, sono una sfida alle grandi società che usano forza lavoro straniera e meno costosa per fare più soldi".

Intanto la Gran Bretagna si prepara ad una settimana di nuove iniziative di protesta che, secondo quanto ha riportato il Sunday Times, potrebbero addirittura mettere a rischio la distribuzione di carburante e di energia nel Regno. Novecento dipendenti della centrale nucleare di Sellafield potrebbero incrociare le braccia a partire da oggi, mentre sul sito internet ukwelder.com, i lavoratori della Lindsey Oil e tutti gli altri che nei giorni scorsi hanno partecipato ai 14 scioperi di solidarietà, stanno coordinando una serie di proteste. Tra gli obiettivi più discussi, la centrale della Isle of Grain, nel nord del Kent, dotata di un'unica via d'accesso che potrebbe venire bloccata dai manifestanti. A preoccupare la Total è invece un boicottaggio di tutte le sue stazioni di servizio, proposto da alcuni sindacati. "L'appoggio che stiamo avendo in tutto il Paese è sorprendente", ha dichiarato Billy Bones, rappresentante del sindacato Unite che ha coordinato le proteste alla raffineria di Grimsby.



Nel frattempo Bruxelles sta preparando una risposta indiretta agli operai britannici sul piede di guerra: i ministri delle finanze dei 27 si apprestano infatti ad adottare un documento, la cui bozza è già stata licenziata dal Comitato economico e finanziario dell'Ue, in cui si enfatizza che "il mercato unico è una delle più preziose conquiste dell'Ue e rimane un fattore chiave per migliorare la competitività globale dell'Europa. Il suo buon funzionamento senza barriere - si legge ancora nel breve documento - rafforzerà la capacità di resistenza dell'economia Ue". Per questo il Consiglio Ecofin "sottolinea che il mercato unico deve essere salvaguardato nel corso dell'attuale crisi finanziaria e della recessione". Ed anche nel fare fronte alla crisi, i Paesi membri "dovranno astenersi da adottate politiche che impongano limiti alla quattro libertà fondamentali (libera circolazioni di persone, merci, servizi e capitali, ndr) e abbiano effetti distorsivi sulla concorrenza". Il piano anti-recessione messo a punto dall'Ue, si legge ancora nel documento, dovrà essere applicato nel pieno rispetto degli stessi principi del mercato unico e delle regole sugli aiuti di Stato. Quindi, il mercato unico non si tocca, sintenticamente è questa la parola d'ordine che i 27 ministri delle Finanze si apprestano a lanciare in occasione della riunione fissata per il 9 e 10 febbraio prossimi.

Oggi il sindaco di Siracusa, Roberto Visentin, incontrerà i vertici della Irem, nella sede della società, in contrada Targia (via Stentinello). Visentin si terrà a colloquio con il presidente della Irem, Nello Messina, e con l'amministratore unico, Mario Saraceno, per essere aggiornato sull'evolversi degli eventi. Il sindaco porterà la solidarietà della città all'azienda e in maniera particolare ai lavoratori che vivono, lontano da casa, una grave situazione di disagio. "Mi dichiaro sin da ora disponibile - ha detto il sindaco - a fare tutto il possibile per una soluzione positiva della vicenda. La protesta è indubbiamente frutto della difficile congiuntura economia mondiale, ma è impensabile che si possa uscire dalla crisi con soluzioni protezionistiche, che farebbero andare indietro l'orologio della storia e, in poco tempo, provocherebbero danni ancora più gravi. Non credo che le aziende inglesi trarrebbero vantaggio se dovessero trovare ostacoli nell'aggiudicarsi commesse all'estero o se dovessero essere stravolte le moderne leggi di mercato. Sono sicuro invece - ha concluso Visentin - che le istituzioni della Gran Bretagna, paese leader mondiale ed esempio di civiltà, sapranno riportare la questione sui giusti binari e, al contempo, garantire chi ha acquisito dei diritti in maniera trasparente e nel pieno rispetto delle regole".

[Informazioni tratte da Ansa.it, La Siciliaweb.it, Adnkronos/Ing, Ufficio Stampa Comune di Siracusa]

Crisi nera, 100 tecnici siciliani contestati nel Regno Unito.
LA GUERRA TRA POVERI SCONVOLGE IL MONDO
di Salvatore Parlagreco (SiciliaInformazioni.com, 01 febbraio 2009)

Che cosa sarebbe successo se in Sicilia o altrove, nella Penisola, fossero sbarcati 100 tecnici britannici per effettuare delle opere di manutenzione in una fabbrica?
Se lo sbarco fosse avvenuto in Lombardia, il Ministro Bossi, e non gli operai disoccupati dell'area, avrebbe inscenato manifestazioni di protesta sventolando bandiere verdi di rabbia e chiedendo di rimandare a casa tutti gli stranieri, nessuno escluso, che "infestano" la Padania togliendo il lavoro ai lumbard. Le ha dette queste cose tante volte prendendosela con i maestri e i professori meridionali ed ha preteso che in tante città governate dalla Lega fosse data priorità ai residenti.
Se lo sbarco si fosse verificato nell'Isola, dove l'ostracismo agli stranieri non ha tradizione, la politica se ne sarebbe occupata eccome. Se ne sarebbero rimasti con le mani in mano le organizzazione dei lavoratori? Affatto, sarebbero scesi in piazza, non avrebbero potuto starsene a guardare.
Questo non vuol dire che abbiano ragione gli operai "british" a protestare contro i 300 tecnici siciliani dell'Irem, ma semplicemente che l'episodio non può essere liquidato come un caso di xenofobia, razzismo ed altre sciocchezze di questo tipo.

Nel Regno Unito imperversa la disoccupazione ed il leader laburista Gordon Brown non sa dove sbattere la testa
Eppure, di questo gli va dato atto, ha preso le parti degli operai siciliani che attendono di lavorare al petrolchimico. E qualche altro pezzo grosso inglese ha invitato le migliaia di operai arrabbiati che stazionano nei pressi della nave che ospita i tecnici siciliani, a cercare lavoro in Europa.
Pensate che ci sarebbe stato un leader in Italia, capace di dire altrettanto? Se ci fosse stato, gli avrebbero dato i domiciliari.
La crisi economica induce a sgomitare, stimola l'egoismo, mette in campo le regole del “mors tua vita mea”, scarta i ragionamenti razionali. Stando alle regole europee, i tecnici siciliani hanno il diritto di sbarcare in massa ovunque nei Paesi dell'Unione europea per lavorare, a maggior ragione se la loro azienda, l'Irem di Siracusa, ha vinto una gara d'appalto e deve effettuare il lavoro che gli è stato “consegnato”. Se l'Irem non potesse farlo, sarebbe il committente a pagare e, per questi, lo Stato che non ha tutelato il diritto al lavoro dei cittadini europei.

La Gran Bretagna ha utilizzato il meglio di ciò che l'Europa è riuscita a costruire, si è presa la polpa ed ha sputato l'osso. Per esempio, non ha adottato la moneta europea ed ha mantenuto sistemi di conto ed altre abitudini tipicamente inglesi; in politica estera poi ha privilegiato le alleanze Oltreoceano, quelle che hanno suggerito a Tony Blair di seguire George Bush nella guerra all'Iraq provocata dalle menzogne degli spioni, dai bisogni energetici statunitensi e dalle lobby dei trafficanti d'armi. Ora che a causa della crisi tutto il mondo è paese, come dicevano i nostri nonni, e che dagli States non arriva polpa ma lacrime e sangue, le scarpe stanno strette. I due forni sono diventati uno solo. Ora il Regno Unito deve dimostrare di meritarsi la polpa europea. Se passassero le ragioni della protesta, si creerebbe un principio disastroso, venendo meno il diritto alla libertà della manodopera nei Paesi Ue. Il governo di Sua Maestà deve stringere i denti e trovare una soluzione, rassicurando quei lavoratori che temono di essere stati buttati a mare a causa dello sbarco dei siciliani.
Compito non facile, ma ineludibile.

L'episodio induce a porsi qualche domanda, che riguarda la Sicilia.
Doveva proprio toccare ai siciliani sperimentare la protesta dei disoccupati inglesi? Una disdetta.
E non c'era da aspettarsi che con uno sbarco massiccio, ben 300 unità lavorative, in tempi così difficili, l'evento non sarebbe passato inosservato?
Non abbiamo memoria di eventi simili: a meno che non si tratti di paesi sprovvisti di manodopera specializzata, come in Africa e Medio Oriente, le aziende italiane non si sono portate appresso un esercito di tecnici.
Possibile che nessuno in Gran Bretagna sapesse fare ciò che viene richiesto ai siciliani? Probabilmente sarebbe bastato mettere dentro anche i lavoratori del posto per evitare la protesta. Non è avvenuto e questo fa pensare.
Leggere in alcuni giornali italiani - naturalmente padani - che occorre mettere in campo ritorsioni verso lavoratori stranieri, è preoccupante oltre che dannoso.
Per potere innestare, il meccanismo della guerra allo straniero, la stampa padana evita di far sapere che a subire la protesta dei british sono i tecnici siciliani. Nei titoli e nel testo non una parola sulla provenienza dei lavoratori sbarcati nel Regno Unito. Per chi è abituato a leggere puntualmente la provenienza geografica degli autori dei crimini più efferati, si tratta di una novità.
In Sicilia, è bene ricordarlo, sono sbarcati negli anni Sessanta, proprio nelle aree petrolchimiche, migliaia e migliaia di tecnici, dirigenti, funzionari settentrionali dall'oggi al domani. Sono stati accolti con le braccia aperte perché da loro c'era solo da imparare. Per decenni non c'è stato un dirigente siciliano in alcuna grande fabbrica dell'Isola; i quadri intermedi erano affollati di uomini provenienti dal cosiddetto triangolo industriale. Mai una protesta. E che ci fosse bisogno di lavoro nel Sud a quel tempo, è noto a tutti.

- "Stranieri ladri di lavoro tornate a casa vostra" (Guidasicilia.it, 31/01/09)

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02 febbraio 2009
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