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Brunetta e gli inutili certificati

Il certificato antimafia? Secondo il ministro per la Pubblica amministazione è un'inutile perdita di tempo

27 settembre 2011

"Semplificare ed eliminare i certificati inutili come il Durc e l'antimafia". Così il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta ha anticipato una delle misure contenute nel Dl Sviluppo. Brunetta individua così nella semplificazione e nella vendita di beni che non producono ricchezza le "vitamine" per la crescita e lo sviluppo rispondendo ai giornalisti a margine della premiazione 'Un logo per la PA digitale'.
"Perché mai le imprese e le famiglie devono ancora fornire certificati alla pubblica amministrazione che li ha già in casa? Basta al Durc, basta ai certificati antimafia, basta ai pacchi di certificati che un architetto deve presentare se vuole partecipare a un concorso. Basta a tutto questo - ha affermato Brunetta -. Si possono fare tante riforme che non costano e producono crescita".
E ancora. "Vendere, vendere, vendere tutto il capitale morto che purtroppo ancora insiste nel nostro paese, dagli asset pubblici, mobiliari e immobiliari, case, caserme. Vendere tutto quello che non serve e non è strategico" ha detto il ministro. "Vendiamo il patrimonio pubblico non produttore di ricchezza, pensiamo alle public utilities: luce, acqua, gas, trasporti, spazzatura, tutte quelle società che sono al 99% di proprietà degli enti locali e che spesso sono inefficienti".

L'annuncio di Brunetta ha, ovviamente, sollevate dure critiche dall'opposizione e non solo. Un altolà è arrivato anche dal Viminale, con il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, che con chiarezza ha avvertito: "La certificazione antimafia non può essere modificata perché è uno strumento indispensabile per combattere la criminalità organizzata e, in particolare per contrastare le infiltrazioni malavitose negli appalti pubblici". "Il governo, del resto - ha sottolineato il titolare del Viminale - ha appena approvato il Codice delle leggi antimafia che ha riscritto la normativa sulla certificazione antimafia per renderla più efficace e rapida, venendo incontro anche alle richieste del mondo delle imprese".
Dall'opposizione le critiche sono piovute abbondanti. "Nel sacro fuoco della semplificazione amministrativa che, fin qui, ha soltanto complicato la vita a tutti, il ministro Brunetta vuole bruciare la certificazione antimafia per le imprese - ha commentato il vicepresidente dei deputati Pd, Michele Ventura -. Leggiamo sui giornali indiscrezioni che legano il rinnovato interesse per la crescita di questo governo al mai sopito amore per i condoni, tombali o no, che potrebbero trovare spazio tra le misure anti-crisi. Ecco le idee dell'esecutivo Berlusconi per la crescita: meno legalità per tutti" ha concluso l'esponente del Pd.
Sempre dal Partito democratico è intervenuto il senatore Giuseppe Lumia, componente della commissione Antimafia, che ha parlato di proposta "delirante". "Così - ha detto - si indebolirebbe ulteriormente il controllo di legalità in un settore, quello degli appalti pubblici, che fa gola alle mafie".
Anche il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi ha puntato il dito contro l'annuncio di Brunetta. "Via i certificati antimafia? Una proposta assurda e pericolosa che lascia senza parole. Questo governo è sempre più sorprendente, in senso negativo naturalmente: è capace di penalizzare i lavoratori e fare favori alla mafia. Siamo all'assurdo".
"Tutti sanno che le mafie vanno combattute proprio a partire dai propri interessi economici ed eliminare i certificati antimafia è un'assurda facilitazione alla malavita organizzata, oltre che un messaggio profondamente sbagliato. Sono davvero senza vergogna". Per il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino, la proposta di Brunetta "è scandalosa ma in linea con la decisione presa dal Pdl di salvare l'imputato per mafia Saverio Romano o di mantenere Nicola Cosentino come coordinatore regionale in Campania".
E don Luigi Ciotti, presidente di Libera, lancia l'allarme. "Il certificato antimafia ha permesso, previa verifica, di bloccare gli interessi delle mafie negli appalti". "La scelta di indebolirlo - aggiunge don Ciotti - e di scaricare la questione sulla pubbliche amministrazioni ha il sapore di un anestetico che invece di snellire la procedura rischia di rendere tutto ancor più complicato con una moltiplicazione di lavoro per gli enti che già devono affrontare e combattere i tagli e le riduzione di servizi e personale".

Ha espresso scetticismo il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso: "Il ministro Brunetta è sempre molto originale - ha detto - stop ai certificati antimafia? Faccia una proposta di legge, la valuteremo...". "E' stato da poco approvato il Codice antimafia - ha aggiunto - che tra l'altro disciplina in modo molto rigoroso tutta la certificazione antimafia. Se il ministro aveva qualche osservazione da fare poteva farla in sede di Consiglio dei ministri". Al momento, comunque, "è inutile fare polemiche sterili - ha concluso Grasso - e non è mia abitudine prendere posizione su cose campate in aria".
Sulla stessa lunghezza d'onda Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo: "Concordo sulla necessità di semplificare la burocrazia, ma senza intaccare i controlli preventivi antimafia, perché il rischio di indebolire gli apparati di prevenzione dalle infiltrazioni mafiose c'è e credo che questi strumenti non dovrebbero essere toccati".
"Premesso che non ho alcuna intenzione di alimentare polemiche, reputo l'abolizione del certificato antimafia un duro colpo alla libertà d'impresa", ha invece affermato Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia. "Proprio grazie al certificato antimafia e ai numerosi protocolli di legalità che sono stati creati - ha aggiunto -, tante imprese pulite hanno potuto misurarsi con il mercato. Anzi, è il mercato stesso a essersi rafforzato grazie ai controlli sulle aziende. Perché in precedenza le società vicine a Cosa nostra schiacciavano le concorrenti oneste. Venendo meno il certificato antimafia, cadrebbe un controllo fondamentale. E si rischierebbe tornare ad anni bui per il mondo dell'impresa e per la Sicilia intera". "Ovviamente le certificazioni antimafia - ha concluso Lo Bello - possono essere rilasciate in tempi più rapidi e in questo senso occorre lavorare sulle enormi potenzialità tecnologiche della varie amministrazioni pubbliche, valorizzando ad esempio il patrimonio tecnologico e informativo del sistema delle camere di commercio, come peraltro avviene con successo a livello locale con tanti protocolli siglati dalle camere di commercio con le prefetture e le istituzione preposte al controllo di legalità. Molte delle altre certificazioni possono sicuramente essere abolite o acquisite d'ufficio, in tal senso oggi la tecnologia offre una enorme opportunità di semplificazione".
Secondo Rita Borsellino, deputato al Parlamento europeo e sorella di Paolo, il magistrato assassinato in via D'Amelio, "Brunetta non sa di cosa parla". "Il certificato antimafia è uno strumento fondamentale a garanzia della libertà di impresa e della sana concorrenza. Uno strumento che, piuttosto, andrebbe potenziato, soprattutto per evitare le infiltrazioni in quella rete di subappalti che, come dimostrano le inchieste della magistratura, rappresentano uno dei principali business sommersi delle mafie, al Sud come al Nord. Il vero problema delle piccole e medie imprese italiane non è il certificato antimafia, né il Durc, strumento a garanzia di chi non evade le tasse, ma la malaburocrazia. Un problema che questo governo, di cui Brunetta fa parte, non ha mai veramente affrontato".

Brunetta replica alle polemiche spiegando che a scomparire non sarà il certificato antimafia ma l'obbligo per le imprese della sua presentazione. "Preso dal sacro fuoco della banalità politica, il Partito Democratico non ha perso un solo minuto a riflettere su questa importante proposta di semplificazione", ha affermato il portavoce del ministro Vittorio Pezzuto. "Nei rapporti con la Pa, - ha spiegato Pezzuto - i certificati saranno infatti completamente eliminati e sostituiti sempre dalle autocertificazioni, mentre le certificazioni rilasciate dalla PA resteranno valide solo nei rapporti tra privati. Sui certificati da produrre ai soggetti privati sarà apposta, a pena di nullità, la dicitura 'Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi'. Alle amministrazioni e ai gestori di pubblici servizi verrà quindi lasciata solo la scelta fra acquisire d'ufficio le informazioni, i dati e documenti oppure accettare le autocertificazioni dei cittadini e delle imprese. Il ministro Brunetta ha precisato che questo varrà innanzitutto per il Durc (Documento Unico di Regolarità Contributiva) e per le certificazioni antimafia: nulla sarà più richiesto al cittadino e si dovrà procedere sempre all'acquisizione d'ufficio".
Il portavoce di Brunetta ha replicato anche al procuratore nazionale antimafia Grasso: "Ricordiamo che l'iniziativa di semplificazione annunciata dal ministro Brunetta serve proprio a rendere cogenti per le amministrazioni quanto già previsto in tema di certificazione antimafia dall'articolo 4, comma 13 del decreto Sviluppo. La legge già prevede che siano le amministrazioni pubbliche a doversi procurare la certificazione antimafia, senza più usare come fattorini le imprese e i cittadini. Più chiaro di così…".

[Informazione tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica.it]

 

 

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27 settembre 2011
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