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C'è chi collabora e chiede scusa...

Sulla strage di Via D'Amelio e sulla presunta trattativa Stato-mafia

09 giugno 2012

"Chiedo scusa a tutti i familiari delle vittime per quello che ho fatto e perché ho atteso del tempo prima di pentirmi".
È cominciato con una drammatica richiesta di perdono l'interrogatorio del collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, sentito giovedì scorso nell'aula bunker del carcere di Rebibbia nel corso dell'incidente probatorio disposto dal gip di Caltanissetta nell'ambito della nuova indagine sulla strage di via D'Amelio.
Il collaboratore di giustizia, che con le sue rivelazioni ha riscritto la fase esecutiva dell'eccidio in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, ha risposto alle domande del procuratore aggiunto Nico Gozzo e del pm della Dda Stefano Luciani.
Il pentito ha ricordato il percorso di conversione religiosa che lo ha spinto a collaborare con la giustizia e ha spiegato di avere atteso anni prima di parlare con i magistrati perché i familiari non l'avevano mai sostenuto nella sua scelta. Spatuzza, dopo l'avvio della collaborazione, è stato ripudiato dalla famiglia.

Spatuzza procurò la Fiat 126 usata come autobomba in Via D'Amelio ma non sapeva che sarebbe servita per uccidere il giudice Borsellino. Lo capì quella tragica domenica del 19 luglio 1992 quando apprese dai telegiornali dell'attentato e collegò i fatti. La ricostruzione è stata fornita dal pentito davanti al Gip di Caltanissetta, Alessandra Giunta. "Non sapevamo a cosa servisse la 126 né io, né Tutino", ha detto Spatuzza. Il pentito ha affermato che quando consegnò l'auto ai suoi capi erano presenti diverse persone, tra le quali il boss di Brancaccio, Filippo Graviano. All'indomani dell eccidio, Graviano esultò per come era andata la strage, ha raccontato Spatuzza: "Graviano - ha detto - era contento e anch'io ero contento perché in qualche modo avevo fornito il mio contributo. Adesso mi pento per quello che ho fatto".

Il collaboratore ha riferito che durante il suo periodo di detenzione, venne in contatto con Profeta, Scotto, Orofino, Murana, condannati per la strage di via D'Amelio con una sentenza ora rivista. Spatuzza ha sostenuto di aver sofferto perché sapeva che in carcere c'erano delle persone innocenti, che stavano scontando una pena per un reato che non avevano commesso. Il pentito ha detto di aver intuito subito che Scarantino, il personaggio sulle cui dichiarazioni si era basato il primo processo su via D'Amelio, mentiva e di aver collegato quel comportamento alla durezza del regime del 41 bis e a maltrattamenti che i mafiosi subivano nelle carceri dopo le stragi del '92 e di cui gli aveva parlato un certo Di Trapani. Secondo Spatuzza, Scarantino potrebbe aver deciso di collaborare perché non sopportava più quei maltrattamenti, ma si sarebbe autoaccusato di cose che non avrebbe mai potuto fare: "Diceva cose che non stavano né in cielo, né in terra. Io sapevo - ha affermato Spatuzza - che Scarantino non diceva la verità, perché fui io a rubare la 126".

Dalla strage di Via D'Amelio alla trattativa tra Stato e mafia il passo è più che breve, fatti strettamente correlati sui quali sono impegnati le procure di Caltanissetta e di Palermo. Quest'ultima, proprio nell'ambito dell'inchiesta sulla cosiddetta "trattativa" tra Stato e mafia, ha aperto delle indagini sull'ex ministro dell’interno Nicola Mancino. L'ipotesi di reato è quella di falsa testimonianza. Infatti, la posizione di Mancino, è cambiata nelle ultime settimane, dopo la sua deposizione al processo al generale Mario Mori il 24 febbraio scorso (LEGGI).
In tribunale quel giorno i pm Antonio Ingroia e Nino Di Matteo avevano detto che "qualche uomo delle istituzioni mente". I pm ritengono che Mancino, insediatosi al Viminale il primo luglio 1992, sapesse della trattativa che prevedeva di cedere al ricatto dei boss in cambio della rinuncia all'aggressione terroristica e ai progetti di uccisione di altri uomini politici. E che ora l'ex presidente del Senato ed ex vicepresidente del Csm neghi l'evidenza per coprire "responsabilità proprie e di altri".

L'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli ha più volte sostenuto di essersi lamentato con lui per il comportamento dei Ros. Nel giugno '92, secondo i magistrati, Mori e il capitano Giuseppe De Donno avrebbero infatti comunicato all'allora direttore degli affari penali del Ministero di via Arenula, Liliana Ferraro l'avvio dell'interlocuzione con Vito Ciancimino "per ottenere una copertura politica - sostengono i pm - dall'ex sindaco mafioso sulla trattativa".
Mancino ha sempre negato. Il 24 febbraio aveva però detto che Martelli gli avrebbe accennato di "attività non autorizzate del Ros" e che lui gli avrebbe risposto di parlarne alla procura di Palermo. Mancino inoltre ha sempre negato di avere incontrato il giudice Paolo Borsellino il giorno del suo insediamento al Viminale.

"Da me nessuna falsa testimonianza", è la difesa dell'ex titolare del Vininale dal 1992 al 1994. "Non mi sorprende la notizia della mia iscrizione nel registro degli indagati. Il teorema che lo Stato, e non pezzi o uomini dello Stato, abbia trattato con la mafia è vecchio di almeno venti anni ma non c'è ancora straccio di prova che possa confortarlo di solidi argomenti". "Per quanto mi riguarda -prosegue Mancino- sono stato ministro dell'Interno e ho difeso lo Stato dagli attacchi della mafia, che ho combattuto con fermezza e determinazione. Secondo notizie riportate da alcuni quotidiani, sarei stato iscritto nel registro degli indagati per falsa testimonianza. Proverò la mia lealtà nei confronti delle istituzioni e della stessa magistratura, come dimostrerò la mia estraneità a qualsiasi altra ipotesi penalmente rilevante, e smentirò la fantasiosa e burocratica ricostruzione secondo cui, al fine di evitare le stragi, sarebbe stato opportuno cambiare ministro". "Dimenticando -conclude Mancino- che chi aveva assunto la responsabilità di titolare dell'Interno era ed è quel parlamentare, il senatore Mancino, che da capogruppo della Dc a Palazzo Madama presentò come primo firmatario un disegno di legge, poi divenuto legge, che avrebbe salvato, come salvò, da imminente prescrizione il maxiprocesso di Palermo".

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it, Corriere del Mezzogiorno]

- "E tu sai perché" (Guidasicilia.it, 02/06/12)

- Il "disgusto" di Borsellino (Guidasicilia.it, 02/06/12)

- Le stragi e le trattative (Guidasicilia.it, 07/06/12)

 

 

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09 giugno 2012
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