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C'erano una volta le province...

Per chi non se ne fosse accorto, da due giorni in Sicilia non ci sono più le province

18 giugno 2013

Sabato scorso, 15 giugno 2013, è stato l’ultimo giorno della Regione Sicilia suddivisa in 9 province. Ebbene sì, la chiusura ufficiale c’è stata, e forse in pochi se ne sono accorti, o per lo meno, se ne sono ricordati.
E il fatto è così vero che, dopo l'abolizione degli organi elettivi nelle Province siciliane, il governo di Rosario Crocetta ha già nominato i commissari che gestiranno gli enti fino alla nascita dei liberi Consorzi tra comuni, che dovrebbero essere istituiti per legge entro la fine dell'anno.
Si tratta del generale dei carabinieri Domenico Tucci a Palermo, del prefetto Alessandro Giacchetti a Siracusa, del vice prefetto Filippo Romano a Messina. E poi i quattro i commissari uscenti a Catania, Ragusa, Caltanissetta e Trapani: Antonella Liotta, Giovanni Scarso, Raffaele Sirico e Darco Pellos. Per completare il puzzle, mancano solo due Province su nove: il governo sta definendo i nomi per Enna e Agrigento...

E adesso? Be’, adesso bisogna aspettare, vedere un po’ quello che succede... Dall'Unione delle province siciliane fanno sapere che esistono dei problemi finanziari, ossia, sembra non ci siano nemmeno i fondi per coprire le spese obbligatorie (gli stipendi dei dipendenti, le bollette delle scuole, la manutenzione delle strade e i servizi sociali, ad esempio) (LEGGI).

Per gli stipendi dei dipendenti della Provincia di Palermo, non dovrebbero esserci problemi, ma sono moltissimi i dubbi su come saranno gestiti i servizi, prima e dopo l'eventuale approvazione della legge che trasformerà gli enti in "liberi consorzi" tra comuni. Il segretario generale di Palazzo Comitini, Salvatore Currao, teme per la gestione dei servizi erogati finora dall'ente: dalle scuole secondarie, manutenzione di 2200 km di strade provinciali, trasporto dei disabili, manutenzione e sicurezza di 150 edifici, tutela ambientale alla vigilanza e classificazione alberghiera in 82 Comuni del palermitano. "Più che un problema di carattere "corporativo" legato alla tutela dei livelli occupazionali - dice Currao - , il "nodo" riguarda la gestione dei servizi. La provincia di Palermo, ad esempio, gestisce 2.200 km di strade provinciali, con compiti che vanno dall' assicurare il transito, alla sicurezza per frane e smottamenti. Al di là dei problemi finanziari, si dovrà capire come affidare la gestione ai comuni". "Le Province sono un elemento costitutivo della Repubblica - aggiunge - non è possibile eliminarle senza un riassetto complessivo degli enti locali, perché c'è il rischio di disservizi, che possono ripercuotersi a cascata sugli altri enti, e c'è il rischio di generare conflitti di competenza".
Sul fronte finanziario il bilancio dell'ente palermitano sarebbe sano. "In passato ha sempre chiuso esercizi finanziari in avanzo - ha spiegato Currao - e queste risorse sono state utilizzati per investimenti. Abbiamo subito forti tagli, solo nel 2013 lo Stato ha ridotto trasferimenti per circa 25 milioni di euro, la Regione, invece, per una somma compresa tra i 6 e i 7 milioni circa. Negli ultimi quattro anni, invece,i tagli operati complessivamente da Stato e Regione, sono stati pari a circa 50 milioni di euro".

Altre province, invece, rischiano l’imminente bancarotta. "Già da luglio - ha detto il presidente dell'Unione delle province siciliane, Giovanni Avanti - Enna, Siracusa e Ragusa potrebbero non riuscire a pagare gli stipendi dei dipendenti".

E, quindi, adesso? Be’, adesso bisogna aspettare, vedere un po’ quello che succede...

Commiato gentile alla vecchia Sicilia. La rimpiangeremo? (SiciliaInformazioni.com) - Per un secolo e mezzo la mappa delle prefetture e delle Province è rimasta pressoché inalterata, radicando rapporti di potere all’interno del territorio e facendo nascere, o morire, sudditanze economiche, politiche, sociali, che hanno caratterizzato la vita e la storia delle popolazioni interessate.
Il fascismo modificò, in qualche modo, la mappa ma senza alterarne le caratteristiche di fondo. Negli ultimi settanta anni con la Repubblica e l’autonomia speciale, la Regione Siciliana ha lasciato le cose come stavano. Le Province sono diventate regionali rimanendo fedeli a se stesse, ma hanno ricevuto nuove funzioni e accresciuto il loro ruolo: i capoluoghi hanno dominato il territorio, fatta qualche eccezione seppur rilevante, determinando squilibri insostenibili quando le realtà nuove, interne alla provincia, hanno sofferto, comprensibilmente o meno, lo stato di oggettiva soggiacenza.
La rete di servizi, statali e regionale, l’organizzazione di enti, associazioni, forze sociali, partiti ha "inseguito" la struttura prefettizia. Dalla salute alla sicurezza, dal sindacato ai partiti, tutto ha girato attorno ai capoluoghi di provincia. Alla centralizzazione statale e regionale, di fatto, si è aggiunta la centralizzazione provinciale. Né avrebbe potuto essere diversamente, dal momento che tutto quanto nasceva, non poteva che rispettare la struttura burocratica esistente.
Sono rimaste ai margini, perciò, città popolose e importanti, che hanno subito un vulnus nei servizi al territorio. Che svolgessero egregiamente le loro funzioni o meno, le amministrazioni provinciali hanno rappresentato, o sono state rappresentate, come un vincolo troppo duro da accettare, e comunque una condizione ormai fortemente obsoleta.

L’abolizione delle Province, ventilata e progettata a Roma, decisa in Sicilia, ha suscitato dissenso e rammarico da parte di amministratori che hanno svolto egregiamente i loro compiti e da parte di quanti ritengono ingiusta la scelta di abbattere antiche tradizioni e gonfaloni, che hanno nel tempo regalato un’identità, culturale e sociale, alle popolazioni.
Si sarebbe potuto ancora far finta di niente ed ignorare che ci sono comuni, come Marsala, Gela, Caltagirone, Sciacca, Milazzo, Barcellona, Modica, Canicattì - tanto per citarne alcuni - che hanno acquisito una rilevanza di gran lunga maggiore, talvolta, dei loro capoluoghi per l’economia della zona?
L’industrializzazione di alcuni territori e la nuova imprenditoria - si ricordi il balzo fatto dal settore vitivinicolo - ha peggiorato il gap delle grandi città non capoluogo e del territori su di esse gravitanti, mentre la crisi economica e gli alti costi della politica hanno reso ancora più pressante la necessità di cambiare le cose, al fine di un riequilibrio territoriale, una presa d’atto della nuova realtà, e di una sburocratizzazione degli apparati (politici, statali, regionali ecc).

Un ruolo inoltre non indifferente ha giocato, e gioca, il campanile. L’aspirazione a diventare capoluogo di provincia ha fatto la storia di alcune comunità siciliane, come Gela, dove forse la distanza dal capoluogo è molto maggiore che altrove. Quel "duce, niente vogliamo, Gela provincia e bacino montano", è diventato per i gelesi un mantra per il quale sorridere e digrignare i denti, a seconda delle circostanze. Gela ha avuto il tribunale appena venti anni or sono dopo la mattanza di mafia nonostante l’industria, la popolazione "doppia" rispetto al capoluogo ed i chilometri, ed ha sofferto in modo spaventoso fino a poco tempo fa di una dislocazione dei servizi di sicurezza e giudiziari a causa di una logistica inamovibile. Il caso di Gela può valere anche per Caltagirone, Marsala o altri importanti città.

Qualche giorno fa è scattata l’ora zero: le Province non esistono più e l’azzeramento, perciò, è stato salutato come l’inizio della nuova era per quella Sicilia che ha sofferto i disagi del centralismo. Sarebbe stato impossibile trovare soluzione attraverso aggiustamenti, la nascita di nuove province.
Ma l’azzeramento è solo il primo passo. Invece che abbattere gli sprechi e decentrare, le nuove regole potrebbero perfino peggiorare la situazione. Si tratta di rifare tutto da capo, mettendo in piedi strutture decentrate snelle e adottando criteri di semplificazione delle decisioni che affidino ai comuni le responsabilità che loro compete.
Non è facile smontare il sistema e costringere le burocrazie regionali e "mollare" una fetta dei loro poteri decisionali, o gli apparati politici ad accettare il dimagrimento, le forze sociali i trasferimenti di competenze e dei lavoratori. La nascita dei Consorzi di comuni sarà la cartina di tornasole delle volontà "vere", il cambiare tutto perché nulla cambi o una straordinaria opportunità di ammodernare i servizi e mettere a reddito gli apparati. Programma vasto, non c’è dubbio. Ma lasciare le cose come stanno sarebbe stato un suicidio.
L’azzeramento delle Province è sicuramente un azzardo. Fare prevalere gli interessi generali è oggi possibile?

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18 giugno 2013
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