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Cambiare la Rognoni-La Torre?

Grazie a questa legge i beni delle mafie sono diventati beni di tutti. Perché Forza Italia vuole cambiarla?

03 novembre 2005

Con lo spaccio di droga, con gli appalti truccati, con il terrore e la prepotenza, negli anni la criminalità organizzata si è ''comprata'' tanta parte dell'Italia. Cosa nostra in Sicilia si è impossessata di sconfinati terreni, ha costruito palazzi e ville. La camorra in Campania ha costruito quartieri interi e i suoi capi sono andati a vivere in veri castelli. In Calabria la 'ndrangheta ha deciso dove far sorgere strade, come far funzionare le strutture idriche o fognarie di interi paesi, e dalle lussuose ville hanno deciso il bello e il cattivo tempo.
La criminalità organizzata si è arricchita sempre di più e nel Meridione guardando i meravigliosi paesaggi, molto spesso ci si ritrova a guardare proprietà delle mafie.

Dopo l'assassinio mafioso del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto il 3 settembre del 1982, fu approvata la legge Rognoni-La Torre, da i nomi dei relatori, l'allora ministro degli Interni, oggi vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura e il segretario del Pci siciliano assassinato nel 1982. Questa legge prevede la confisca dei beni mafiosi e il loro ''riutilizzo sociale''. I beni acquistati dalla criminalità con ''soldi sporchi di sangue'', con questa legge cominciarono ad essere eticamente ripulite andando in uso ad enti, associazioni, comuni, province, regioni  e le riutilizzati per il bene comune. I beni ritornavano di tutti.
Lo scorso 17 ottobre alla Camera si è discusso della modifica sostanziale di questa legge, una modifica che prevede soprattutto la possibilità di revisione - senza limiti di tempo e su richiesta di chiunque sia titolare di un interesse giuridicamente riconosciuto - dei provvedimenti definitivi di confisca.
In parole povere, le modifiche contemplate da questo disegno di legge, presentato dal deputato di Forza Italia Nicolò Ghedini (l'avvocato di tanti processi del premier Berlusconi), potrebbero far tornare nelle mani dei boss tutti quei patrimoni precedentemente confiscati, magari attraverso prestanome, magari dentro società fantasma con sede legale dall'altra parte del mondo.
Una legge ''ad personam'' per i tanti capi clan chiusi dentro celle, condannati all'ergastolo.
La discussione su di un tale sciagurato disegno di legge è stato congelato subito dopo l'omicidio del vicepresidente del parlamento calabrese Francesco Fortugno da parte della 'ndrangheta, e gli attacchi in aula di Marco Minniti, segretario Ds della Calabria.
Un momentaneo congelamento. Il 15 novembre il disegno di legge sarà riproposto tale e quale.

Approvare un provvedimento del genere sarebbe, in una sola parola, dare legittimità alla criminalità organizzata, perché non è con il carcere che si puniscono i boss (rischio da loro sempre messo in conto), ma togliendogli i soldi, perché tolti quelli ai mafiosi hanno tolto tutto. Un euro sequestrato è peggio di un mese di galera, una loro casa che diventa scuola è un affronto per la vita.
La legge Rognoni-La Torre riesce ad annichilire le mafie.

Per esempio a un costruttore palermitano, amico degli amici, cinque anni fa hanno sequestrato 64 palazzi in un colpo solo. I vani erano duemilacinquecento, i box centocinquantacinque.
A un altro imprenditore del quartiere Brancaccio che si chiama Gianni Ienna, un giorno gli hanno chiesto se il ''San Paolo Palace'' fosse suo, lui ha risposto di sì e da allora in quell'albergo non ci ha messo più piede. Nella suite alloggiavano i fratelli Graviano quando erano latitanti, dopo le bombe mafiose di Firenze e di Roma. Oggi è un hotel senza boss e i papà possono accompagnare la domenica mattina i figli per farli salire e scendere sull'avveniristico ascensore panoramico. Da quell'ascensore si vede da una parte il golfo di Mondello e dall'altra la punta di Aspra e anche Bagheria. Prima tutto il golfo di Palermo era degli occhi dei mafiosi.
Insomma, la galera sì, ma i mafiosi non avrebbero mai potuto immaginare che lo Stato gli avrebbe tolto i loro averi.

In 23 anni i beni immobili confiscati in Italia sono stati 6566. In Sicilia 1081, in Calabria 617, in Campania 544, in Puglia 172. E quasi settecento sono state le aziende strappate alla gestione dei boss. Stimare in euro quanto esattamente lo Stato è riuscito fino ad ora a togliere alle mafie è impossibile. Con la legge Rognoni-La Torre sequestri e confische sono state fatte dappertutto. Lavorano tanti ragazzi tra gli ulivi sequestrati ai Piromalli nella piana di Gioia Tauro, in Calabria. Hanno piantato abeti per il prossimo Natale a Cesana Torinese, dove c'erano terre di boss siciliani in trasferta. C'è un albergo per disabili anche a Cesenatico, l'hanno tolto a quelli della banda della Magliana. Come la bella villa confiscata a Enrico Nicoletti a Roma: oggi è la "Casa del jazz".
Si è fatta tanta fatica a confiscare ma se quel disegno di legge sarà approvato, il rischio è che torni tutti sempre a loro.

Sulla questione, l'associazione Libera e decine di familiari delle vittime delle mafie hanno lanciato un appello con il quale chiedono ''un serio e approfondito ripensamento, in sede di dibattito parlamentare''. ''Vogliono rendere precaria la confisca, vanificare in nome di un malinteso garantismo il lavoro di chi è impegnato nella difficilissima opera di individuazione e di riutilizzo sociale dei beni mafiosi'', dice don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, una ''confederazione'' di mille e più associazioni di volontariato e promozione sociale. Queste in Sicilia stanno ribaltando una cultura. Una volta si diceva ''che con l'antimafia non si mangia e che quando c'era la mafia lavoravano tutti''.
In questi anni hanno Libera ha dimostrato il contrario. ''Solo sul biologico abbiamo un fatturato di 600 mila euro'', spiega Rosa Laplena di ''Libera terra''. Antonio Riolo racconta la straordinaria avventura di Auser Sicilia, associazione di volontariato legata alla Cgil per garantire servizi agli anziani. A lui è venuta l'idea di finanziarie un telefono verde vendendo la pasta di Totò Riina prodotta dalla cooperativa Placido Rizzotto.
La ''pasta di Totò Riina'' si vende anche all'aeroporto di Punta Raisi, in bella vista nelle vetrine degli shop dei prodotti regionali. Molti siciliani prima di partire ne comprino qualche chilo e la portano in regalo agli amici che stanno lontano. È fatta con il grano dei campi confiscati ai Corleonesi. C'è più gusto a mangiarla. Come l'olio dei Brusca di San Giuseppe Jato, che sembra più profumato. E se assaggiate si pomodori e le verdure coltivate negli orti che un tempo erano proprietà dei Geraci di Partinico, dei Capizzi di Monreale, dei Cannella di Prizzi, vedrete come sono buoni, buoni come la terra di Sicilia, che è dei Siciliani e non della mafia.

- La legge Rognoni-La Torre

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03 novembre 2005
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