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Campane a morto sul "concorso esterno"

Polemiche a non finire sulla sentenza della Cassazione sul senatore Marcello Dell'Utri

12 marzo 2012

Le polemiche scatenate dalla sentenza della Cassazione su Marcello Dell’Utri, non si placano. "Diciannove anni di sofferenza e di gogna, una cosa incredibile". Questo il commento di Silvio Berlusconi alla sentenza con cui la Suprema Corte ha annullato la condanna in appello di Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. L'ultimo elemento di tensione, ora che sembra tornata alta la temperatura tra una parte politica e alcuni magistrati.

SI VA VERSO LA PRESCRIZIONE - Ci vorranno ben più dei canonici trenta giorni fissati in Cassazione per il deposito delle sentenze, per conoscere le motivazioni in base alle quali la Quinta sezione della Suprema Corte, accogliendo la richiesta della Procura generale, ha deciso l'annullamento con rinvio della condanna a sette anni di reclusione per il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri. Lo danno per scontato fonti degli stessi supremi giudici ed è quello che succede, per lo più sempre, quando si tratta di motivazioni complesse inerenti casi delicati per la caratura dell'imputato o per le questioni di diritto implicate.
Nel caso di Dell'Utri ricorrono tutti e due gli elementi: il senatore è vicinissimo all'ex premier Silvio Berlusconi, e il concorso esterno è il reato più picconato e ridiscusso dalla Corte. Comunque anche se il verdetto - che sarà esteso dal consigliere Maria Vessicchelli - fosse depositato da qui a un mese, il processo d'appello bis, a Palermo, sarebbe comunque destinato ad arenarsi nella prescrizione.
Fanno notare, infatti, le fonti della Cassazione che si tratta pur sempre di "un processo complesso che deve ripartire da zero non solo perché in piedi è rimasta solo la sentenza di primo grado, ma perché le motivazioni saranno ampiamente demolitorie dei passaggi della sentenza di condanna e quasi nulla verrà salvato". Dunque, ci saranno testi e pentiti da risentire, e non su singoli aspetti con lacune da colmare: il dibattimento sarà a tutto campo. Un lavoro di anni che si arenerà nella prescrizione fissata al 30 giugno del 2014 o poco più in là, prendendo per buono quanto dice l'avvocato Giuseppe Di Peri, uno dei legali del senatore, che ritiene che ci siano altri "periodi di tempo congelati" da aggiungere a quella data per spostarla in avanti.

Senza contare poi che il pg che ha chiesto la condanna di Dell'Utri e che conosce tutte le carte, Antonino Gatto, potrebbe, con molte probabilità, non occuparsi più di questa vicenda lunga 140 faldoni giudiziari perché è stato applicato in Procura. "Sono il massimo esperto di Dell'Utri? Tutti possono diventare esperti, basta leggersi le carte: io ormai sono in Procura, non faccio più il pg. Nello scorso processo, dopo la transizione, sono stato applicato. Vedremo cosa succederà adesso" ha detto Gatto.
Intanto, il diretto interessato è rimasto defilato nel suo day-after. Non si sa nemmeno bene dove sia, anche se i suoi legali hanno sempre sostenuto che sia rimasto a Milano nonostante le voci che lo davano già all'estero per timore della condanna definitiva.

Continuano ancora, invece, gli echi politici del semicolpo di spugna della Cassazione. "Spero che questa sentenza non si trasformi nel colpo di spugna finale al metodo Falcone, perché da due decenni siamo testimoni in un'instancabile opera di demolizione del lavoro della magistratura siciliana, iniziato dal pool antimafia di Falcone e Borsellino e proseguito dopo la loro morte".

Il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, in un'intervista al Fatto Quotidiano ha commentato così la sentenza della Cassazione. Sulla sentenza, Ingroia afferma che "i giochi sono ancora aperti perché questa non è una sentenza di assoluzione - precisa - e tutto si deciderà nel nuovo processo, c'è amarezza con la coincidenza del ventennale della morte di Falcone e Borsellino". "Siamo in una fase molto delicata di acquisizione di nuove verità - prosegue il procuratore - sulle stragi e sui depistaggi. È triste assistere, proprio in questo anno, al montare di un nuovo revisionismo politico-giudiziario sulla stagione di Falcone e Borsellino".
Il procuratore si dice meno sorpreso della sentenza "conoscendo la cultura della prova del presidente Grassi, che è completamente lontana dalla mia. Dire che al concorso esterno non crede più nessuno fa a pugni con tante sentenze ormai definitive", precisa Ingroia che prova a spiegarsi la sentenza del pg Iacoviello con la volontà di sottolineare che "l'annullamento con rinvio non equivale ad una dichiarazione di innocenza dell'imputato" ma "alcuni suoi passagi ed espressioni un pò forti - aggiunge - appaiono incoerenti con questa conclusione"
Dalle pagine di un altro quotidiano nazionale, "La Repubblica", parla il procuratore capo di Torino ed ex procuratore capo di Palermo, Giancarlo Caselli: "La requisitoria del sostituto procuratore generale della Cassazione Iacoviello non ha ferito solo me ma Giovanni Falcone che ha teorizzato e concretizzato nei maxiprocessi il concorso esterno in associazione mafiosa. Le affermazioni di Iacoviello sono quantomeno imbarazzanti".
Con sconcerto si levano le voci dei magistrati, non tanto per l'annullamento con rinvio, quanto per le campane a morto sul concorso esterno. "Finché non è smentito - dice Piergiorgio Morosini, segretario di Magistratura democratica - rimane un reato fondamentale nella lotta alla mafia e lo dicono tre sentenze delle Sezioni Unite". Tra le voci indignate, anche quella del pm palermitano Nino Di Matteo che lancia l'allarme sul rischio di "delegittimazione" di tanti processi e indagini in partenza per quel tipo di reato.

Gli avvocati penalisti - con una nota delle camere penali - difendono la Cassazione e il pg della Suprema corte Francesco Iacoviello e ritengono fuori luogo e sprezzanti le critiche rivolte da giudici antimafia di prima linea, come Antonio Ingroia e Giancarlo Caselli, alla requisitoria del Pg che ha suonato la campana a morto per il concorso esterno in associazione mafiosa definendolo "un reato al quale non crede più nessuno".
Il pg Iacoviello, ad avviso dei penalisti, è stato oggetto di un "attacco virulento per avere osato valutare un reato dagli incerti confini sulla cui conformazione la dottrina, con buona pace dei nuovi e vecchi crociati della giustizia a furor di popolo, esprime dubbi da decenni".
Per l'Ucpi, è "grave registrare attacchi, venati da sprezzante qualunquismo, al giudizio di legittimità e agli uffici che lo amministrano. Il dottor Caselli, si è spinto a citare una frase di Gaetano Costa secondo il quale il funzionario onesto che vuole combattere i soliti onorevoli, usi a trescare con le cosche mafiose, rischia sempre che a Roma qualcuno gli rivolti la frittata". E' una citazione "fuori luogo e imbarazzante per un magistrato se rivolta a un collega ovvero a un ufficio giudiziario. Doppiamente imbarazzante - proseguono i penalisti - è sentire dire da altri, come il pm Ingroia, a proposito del Presidente del collegio che ha annullato con rinvio la sentenza Dell'Utri, che la decisione è coerente con la giurisprudenza di chi ha avuto come maestro Carnevale, mentre c'è chi ha avuto Falcone e Borsellino". Qui l'imbarazzo è "non solo per l'intolleranza verso la funzione giurisdizionale ma anche per il richiamo dispregiativo verso un magistrato, come Corrado Carnevale, per il quale neanche l'assoluzione e la reintegrazione servono ad evitare insinuazioni".

Sulla vicenda e sulle reazioni di parte della magistratura è intervenuto in termini durissimi anche il segretario del Pdl Angelino Alfano: "Ho letto commenti violenti sulla sentenza da parte del partito della magistratura - ha dichiarato - quando le sentenze erano di loro gradimento, dicevano che le sentenze non si commentano". Alfano ha aggiunto di "aver letto sui giornali dichiarazioni in cui si chiede di cancellare quella sentenza". E ancora: "La magistratura è divisa in partiti che per eufemismo si chiamano correnti; correnti che fanno congressi e che hanno iscritti".
"Non c'è alcun partito di giudici ma solo la necessità di 'uscire dalle sterili polemiche politiche gridate'" ha detto il procuratore Antonio Ingroia, con riferimento alle dichiarazioni di Angelino Alfano. "Nessuno può cancellare le sentenze. Tutti i provvedimenti giudiziari - aggiunge Ingroia - possono e devono essere soggetti a critiche che sono legittime quando sono argomentate. Non si può dire la stessa cosa con gli insulti e gli attacchi sguaiati che spesso vengono rivolti ai magistrati della pubblica accusa".

Sulla sentenza Dell'Utri è intervenuto anche Luciano Violante, chiedendo al governo e al Parlamento di intervenire sul reato di concorso esterno: "Il reato esiste e vuol dire aiutare la mafia - dice Violante - ma bisogna stabilire con chiarezza quali comportamenti, quando tenuti da chi non è associato alla mafia, costituiscono un contributo all'organizzazione mafiosa". Parole con cui si è guadagnato l'apprezzamento di Sandro Bondi, coordinatore del Pdl: "Se nella sinistra altri seguissero l'onestà intellettuale e politica del presidente Violante si potrebbe finalmente avviare una fase nuova nella vita politica italiana e creare le condizioni per una riforma giusta e equilibrata della giustizia".
Sul fronte opposto, Antonio Di Pietro, leader dell'Italia dei Valori, che ha difeso l'impostazione della Procura di Palermo mettendo in dubbio la competenza in materia di mafia del pg della Cassazione: "Le sue parole mi lasciano perplesso. Ci sono persone che adorano fare i saputelli. Le faccio un esempio per tradurre in commento la mia situazione: è come se il chirurgo che mi ha operato applicasse teoremi di ingegneria". A suo giudizio svalutare il reato di concorso esterno "è come tornare indietro di vent'anni, un atto di resa inaccettabile".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica.it]

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12 marzo 2012
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