Caos calmo
Dal romanzo di Sandro Veronesi un film intenso e una prova d'attore di Nanni Moretti sorprendente
Noi vi segnaliamo...
CAOS CALMO
di Antonello Grimaldi
Caos calmo è quello che Pietro Paladini ha nel cuore da quando ha perso sua moglie Lara. Un giorno d'estate Lara muore all'improvviso, ma lui non è con lei, in quel momento è in mare e sta salvando la vita a un'altra donna, una sconosciuta.
Sua figlia Claudia ha dieci anni e frequenta la quinta elementare. Pietro la accompagna il primo giorno di scuola e decide improvvisamente di aspettarla fino alla fine delle lezioni. Anche il giorno seguente rimane lì e il giorno dopo ancora.
Pietro si rifugia nell'auto ad aspettare che il dolore arrivi. Osserva il mondo dal punto in cui si è inchiodato e scopre poco a poco il lato nascosto degli altri. I suoi capi, i colleghi, i parenti, tutti accorrono da lui per consolarlo: invece gli raccontano il loro dolore fino ad arrendersi davanti alla sua incomprensibile calma. Ma dopo il caos calmo per Pietro comincia l'epoca del risveglio...
Anno 2007
Nazione Italia
Produzione Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Rai Cinema, Portobello Pictures e Phoenix Film Investment
Distribuzione 01 Distribution
Durata 112'
Regia Antonello Grimaldi
Sceneggiatura Francesco Piccolo, Laura Paolucci. Nanni Moretti
Tratto dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi (Ed. Bompiani)
Con Nanni Moretti, Roman Polanski, Valeria Golino, Isabella Ferrari, Silvio Orlando, Alessandro Gassman, Kasia Smutniak, Hippolyte Girardot, Blu Yoshimi, Alba Rohrwacher
Genere Drammatico
NOTE DI REGIA
La sfida che ho raccolto con questo film è quella di restare insieme al protagonista per la maggior parte del tempo nello stesso luogo e provare a non trasmettere mai la sensazione di staticità. Dal romanzo di Veronesi, ho tratto questa suggestione: Pietro rimane davanti alla scuola non soltanto per sorvegliare la reazione della figlia, ma soprattutto per vigilare sul racconto della propria vita, per tenerlo saldo tra le mani.
Saremo d'accordo con Carlo, il fratello di Pietro, quando gli dirà che forse Claudia, non vedendo suo padre soffrire, non sente di poter provare dolore. E' per queste ragioni che mi sembra necessario non abbandonare mai Pietro: ogni scena ruota intorno a lui, sia in senso figurato sia in senso fisico. L'intera storia è narrata dal suo punto di vista. Tecnicamente ho usato movimenti di macchina che mi permettessero di descrivere le sue emozioni, rispettando il suo pudore di fronte al dolore e il tentativo di tenerlo a bada.
Vorrei essere riuscito a raccontare questa lunga attesa, restituendo ciò che nel romanzo è così bene raccontato: lo spaesamento di noi uomini “moderni” davanti all'impossibilità di elaborare un lutto, senza poter confidare né in una tradizione religiosa, né in una laica.
Antonello Grimaldi
CAOS CALMO, IL LIBRO
“Mi chiamo Pietro Paladini, ho quarantatré anni e sono vedovo”.
Si presenta così il protagonista del romanzo di Sandro Veronesi. Un uomo apparentemente realizzato, con un ottimo lavoro, una donna che lo ama, una figlia dieci anni. Ma un giorno, mentre salva la vita a una sconosciuta, accade l'imprevedibile e tutto cambia.
Lara, la donna che tra pochi giorni sposerà, muore improvvisamente.
Pietro si rifugia nella sua auto, parcheggiata davanti alla scuola della figlia, Claudia, e per lui comincia l'epoca del risveglio, tanto folle nella premessa quanto produttiva nei risultati. Saggio, brillante, scettico, cordiale, imprevedibile, Pietro Paladini è l'uomo che procede a tentoni nell'atto del risanamento, e così facendo scioglie chimicamente l'oggi, vi ricava spazi con l'ingegno: avanza, sperimenta, conclude. La scrittura avvolgente di Veronesi, la sua danza ininterrotta tra intelletto e parola è la corda con cui Pietro trae a sé il secchio dal fondo del pozzo, piano piano, senza alternative, determinando le condizioni per un finale inaudito, eppure del tutto naturale, in cui si scavalcano i limiti del possibile e si approda alla più semplice delle verità: l'accettazione della natura umana nella sua banale, eroica confusione di forza e debolezza.
Con Caos calmo nel 2006 Sandro Veronesi vince la 60ª edizione del Premio Strega. Il libro è primo in classifica per moltissime settimane e solo in Italia ha venduto ad oggi oltre 300.000 copie.
Caos calmo tradotto in numerose lingue, è pubblicato in Francia da Grasset & Fasquelle, in Spagna da Anagrama, in Germania da Knaus e in Olanda da Prometheus. Il libro è stato inoltre acquistato in Brasile dalla casa editrice Rocco, in Romania da Rao, in Finlandia da Summa Publishing, in Portogallo da Asa e negli Stati Uniti da Ecco Press che lo distribuirà in tutti i paesi di lingua inglese.
INTERVISTA A NANNI MORETTI
di Grazia Casagrande (www.wuz.it)
Protagonista del film di Antonello Grimaldi, per la prima volta solo attore, Nanni appare a suo agio in questo ruolo così "morettiano". Forse, sapendo di avere messo a segno un'ottima prova, si mostra particolarmente disponibile e cordiale nel colloquio. Ma non gli manca certo la consapevolezza di vivere un momento in cui il caos che ci circonda non riesce a ritrovare la calma necessaria per ricomporsi...
Lei è uno degli sceneggiatori: quali tagli sono stati fatti nel film rispetto al romanzo? In particolare perché avete dato poco spazio ai problemi nati dalla fusione delle due aziende televisive che nel romanzo ne hanno invece molto?
La fusione nel film c'è ed è importante, anche se probabilmente abbiamo limitato quantitativamente lo spazio che gli dedicava il libro. Grimaldi ha scelto attori francesi proprio per fedeltà al libro; mi sembra che il primo che avesse in mente fin dall'inizio per la parte di Jean-Claude fosse proprio Hippolyte Girardot e poi sono venuti gli altri, tutti attori molto famosi in Francia. Ci sono tante parti che o sono state ridimensionate, semplificando il romanzo, o addirittura eliminate anche se nel libro erano molto riuscite. Sono parti prettamente letterarie: quando Veronesi descrive Pietro che legge le mail indirizzate a sua moglie, scrive pagine di carattere specificatamente letterario. In quel caso ci sembrava sbagliato cercare di gareggiare trasportando il valore di quei capitoli su di un altro mezzo espressivo, quello cinematografico.
Perché avete inserito invece elementi nuovi nella figura del protagonista?
Nel libro il Pietro Paladini che, protegge la figlia, vigila sui suoi sentimenti soprattutto sulle sue reazioni non-reazioni e aspetta sempre un crollo che non arriva mai, parla molto con se stesso e con il lettore. Scrivendo la sceneggiatura e mettendoci nella parte degli spettatori, ci faceva un po' impressione che non arrivasse mai un crollo. E allora abbiamo pensato alla scena del pianto. Come se, vagando per Roma di notte, e ritrovandosi davanti alla scuola della figlia, la guardasse con occhi diversi, la guardasse con gli occhi delle spettatrici e degli spettatori e vedesse se stesso nella ultime settimane in quella piazza. Naturalmente gli piomba addosso tutto il dolore che ha provocato quella scelta, quel cambiamento nella sua vita.
La scena di sesso con Isabella Ferrari è commentata da tutta la stampa italiana: perché il sesso fa sempre tanto scalpore?
Questa domanda dovremmo essere noi a farla, perchè siete voi giornalisti che avete messo in moto questa cosa. Io aggiungerei: avviene così anche con la politica. In Italia, quando esce un film in cui una sola scena, come in questo caso, è di sesso, oppure c'è una piccola parte che riguarda la politica, i giornalisti raccontano il film, ancora prima che sia nelle sale, puntando solo su questi particolari e questo dimostra che il loro lavoro non è sempre libero o sereno. Penso che questo accada solo in Italia e che solo da noi si sia scritto: “Il documentario di Michael Moore è stato un boomerang e ha fatto vincere Bush”. Solo in Italia può venire in mente una cosa del genere. Ci sono migliaia di giornali nel mondo ma solo su quelli italiani è stata scritta una cosa del genere mettendo in relazione due cose che appartengono a categorie completamente diverse.
Chi andrà a vedere il film di sicuro prenderà le distanze da tutto questo scalpore...
Gli spettatori e le spettatrici faranno sicuramente così. Accade la stessa cosa anche quando sta per uscire un film in cui c'è anche la politica. Nessuno ha ancora visto il film, ma ha sentito dire che... A me è accaduto un paio di volte che, prima che un film uscisse, fossero scritte delle cose assurde. Quello che mi sembra strano è tutto questo scalpore per cose che ci sono nella vita di tutti. Non voglio urtare la sensibilità di qualcuno, perchè, forse, non ci sono nella vita proprio di tutti tutti, però nella vita di molte persone sì e quindi, ogni tanto, anche nei film.
Quali sono state, come attore, le scene più impegnative? La scena finale con la bambina è di grande intensità...
Quando nel piano di lavorazione vedevo che stava arrivando l'ultima sequenza e che avrei dovuta girarla di lì a pochi giorni, sentivo che era molto impegnativa. I momenti più difficili da fare sono stati la scena del pianto, quella che ha citato lei, la scena dell'oppio con Alessandro Gassman, mio fratello. Erano quelle per cui ero più preoccupato quando si avvicinava il momento della ripresa.
E' più logorante per lei il ruolo di regista, di sceneggiatore o quello di attore?
Cosa trovo più logorante o meno logorante? Nel fare questo film mi sono trovato benissimo, perché per la prima volta mi sentivo in una situazione protetta. Mi è capitato un paio di volte di fare l'attore, ne “La seconda volta” di Calopresti e ne “Il portaborse” di Luchetti, però erano film prodotti da me e da Angelo Barbagallo con la Sacher. Questa volta c'era un altro regista e un'altra produzione, la Fandango. Mi sono trovato benissimo con entrambi. E' stata una pacchia per me fare l'attore e concentrarmi solo sull'interpretazione. Il più logorante per me è il periodo delle riprese quando faccio il regista, non quando faccio l'attore. Forse il più difficile è il periodo della scrittura quando scrivo un mio film. Invece il più faticoso, angosciante, senza metterla giù troppo dura, è il periodo delle riprese.
Come si è posto con il personaggio Pietro Paladini? E' riuscito a mantenere una certa “distanza” da lui?
Per quanto riguarda la distanza, a me come spettatore, come regista e, quando lo faccio, come attore, non piacciono quegli attori e quelle attrici che si identificano talmente nel loro personaggio per cui si annullano: c'è solo il personaggio e la persona che lo interpreta non c'è più. Io cerco di capire il personaggio, e, soprattutto, cerco di capire che cosa il regista e il film vogliono raccontare attraverso di lui. E poi, però, non cado in trance. Mi ricordo che sono una persona che sta recitando un personaggio.
Quando aveva letto il romanzo aveva già avvertito delle affinità con questo personaggio?
Mi sarebbe piaciuto, già leggendo il libro, interpretare Pietro Palladini perché c'erano contemporaneamente delle cose vicine e delle cose lontane da me. Quindi non ero io, non era nemmeno quello che è il mio personaggio nei miei film. Ma, pur sapendo di non poter fare tutto come attore perché so di non esserne capace, intuivo che sarei stato in grado di interpretare quel personaggio.
Nei suoi ultimi film è spesso presente il tema della paternità.
Ho raccontato la paternità ne “La stanza del figlio”. Penso che un attore vero non abbia bisogno di esperienze fatte nella vita per poi formalizzarle interpretandole nel personaggio di un film. Per quanto mi riguarda, io, che non so se sono un attore vero, credo di essere stato aiutato dall'essere padre sia quando scrivevamo con Laura Paolucci e Francesco Piccoli la sceneggiatura, sia quando ho interpretato le scene con la bambina.
Poi c'è la morte, che fa parte della vita. Per esempio in questo momento, nel mio cinema a Roma c'è un film, The Savages in cui ci sono un fratello e una sorella, ai quali muore l'anziano padre. Sono temi che forse a una certa età sentono di più. La reazione al dolore, alla morte rispetto ai film che avevo fatto diversi anni fa è diversa. Ne 'La stanza del figlio' si frantuma un nucleo familiare, in Caos calmo, invece, prende un nuovo aspetto, si crea uno nuovo nucleo composto da padre e figlia.
Quali sono i motivi, secondo lei, del successo del libro di Veronesi?
Penso che siano principalmente due: la qualità letteraria del libro (e non parlo di letterarietà o di poeticismo parlo proprio di letteratura), e l'altro (su cui non insiste in maniera didascalica e pedante né il libro di Veronesi né il film di Grimaldi), è l'aver mostrato un uomo di successo che a un certo punto lascia i colleghi, l'ufficio, la sua azienda e si piazza di fronte alla scuola della figlia a riflettere. Raccontare questa immagine in un libro e mostrare questa immagine in un film è una cosa bella e importante. E credo che questa sia una delle cose che più resteranno nella memoria, nel sentimento delle spettatrici e degli spettatori che andranno a vedere il film.
Parliamo un attimo di cinema, Pietro Paladini, responsabile del canale cinema della rete televisiva che sta per essere sottoposta a fusione, a un certo punto dice che Wenders fa un film in sei settimane, mentre da noi... E per quanto riguarda il sistema televisivo italiano, ci può essere qualche speranza?
In Italia si può fare un film a bassi costi, come per altro ha fatto Antonello. Circa la televisione ecco la mia breve risposta: ricordo Telepiù come un'isola felice in Italia, infatti era di proprietà francese.
Quali sono gli obiettivi che si pone quando pensa a un film che vuole fare?
Spesso alcune mie scelte, quando scrivo, quando recito o quando dirigo un film, sono un po' in contrasto con quello che ho visto al cinema e che non mi ha convinto. Dico questo perché mi sembra di ricordare che nel libro Pietro non spieghi al “signore degli spaghetti” [è un personaggio che abita di fronte alla scuola di Claudia e che un giorno invita a pranzo Pietro offrendogli degli spaghetti] che cosa stia facendo. C'è sempre questa complicità al cinema tra il personaggio e lo spettatore e gli altri personaggi sono fuori, fanno solo le controscene. A me andava che Pietro non si vergognasse, che non avesse pudore: quando fa l'elenco delle case in cui ha vissuto, davanti alle tre mamme dei compagni di classe di sua figlia che chiacchierano tra loro al bar, a un certo punto dice ad alta voce: “Basta, non ce la faccio più! Fine dell'elenco”. Oppure quando spiega a Taramalli cosa sta facendo è come se lo spiegasse a Polanski (è Steiner il magnate artefice della fusione), tutto è conosciuto da tutti i personaggi. Così anche quando sta accanto alla maestra e dentro di sé dice: “Ora, ora affacciati”, ma la maestra ha capito benissimo che sta pensando proprio quello che viene detto dalla voce fuori campo. Non volevo la complicità con il pubblico, a scapito degli altri personaggi. Volevo che lui condividesse con gli altri quelli che erano i suoi rimurginamenti, i suoi elenchi, i suoi desideri, i suoi giochi con il ragazzino.
Come è stato il suo rapporto con le attrici del film? Si dice che lei sia un po' misogino...
Chi lo dice? Ho lavorato con tante attrici brave: Margherita Buy, Laura Morante... Io mi sono trovato sempre bene con loro e spero anche loro con me. All'inizio, quando scrivevo il film con gli sceneggiatori chiedevo: “Devo fare sempre da spalla agli altri: a Marta, alla Simoncini, al direttore del personale, che sarebbe stato interpretato da Silvio Orlando, la spalla a mio fratello...”. Mi faceva piacere fare dei duetti, con Isabella, con Valeria, con Alessandro, con Silvio, con la bimba. Siccome il film è molto questo e siccome ero concentrato, una volta tanto, solo sulla recitazione mi piaceva molto questo ruolo. Mi faceva piacere se, rispetto ai dialoghi della sceneggiatura, riuscivamo a far scattare qualcosa in più. E devo dire che è successo. Con la Golino e la Ferrari mi sono trovato benissimo. Valeria è sempre molto solidale. Di solito quando sono anche il regista non c'è un rapporto paritario e di condivisione con gli altri attori. In questo caso ero un loro collega e basta. Mi sono sentito pure più vicino umanamente e professionalmente e quindi ho lavorato in maniera diversa rispetto alle altre volte.
Che cosa sente di aver ricevuto da questa esperienza?
Innanzitutto mi ha avvicinato di più agli attori, ai loro dubbi, ai loro problemi, alle loro piccole nevrosi. Penso che questo rapporto con gli attori e le attrici mi servirà nei prossimi lavori da regista che però ancora non ci sono perché c'è solo il caos e non ancora la calma che serve a uno sceneggiatore-regista per fare ordine. La calma è necessaria per formalizzare e dare ordine appunto al sentimento che vorresti comunicare al pubblico attraverso il film. Il sentimento da solo non basta, ci vuole lo stile, ci vuole, appunto, la panchina. Per ora c'è solo il caos. Poi arriverà la calma con cui riuscire a raccontarlo.
- Il film è stato realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le attività Culturali - In concorso al 58mo Festival di Berlino (2008)