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In Italia per acquistare casa servono quasi 6 anni di stipendi. L'affitto, invece, inizia a convenire poco al proprietario

27 gennaio 2015

Servono 5,8 anni di stipendio per comprare casa in Italia. Se anche tutti i soldi che ogni italiano guadagna fossero destinati esclusivamente al mattone e a nessun altro scopo, ci vorrebbe ancora un bel po' per coronare il sogno di acquistare un appartamento, nemmeno troppo grande, di 65 metri quadri.
Eppure i prezzi stanno scendendo e ad evidenziarlo è anche l'ultimo studio di Tecnocasa che, rispetto al 2013, rileva nella prima parte del 2014 una leggera diminuzione del numero di buste paga necessarie per procedere ad un rogito dal notaio. Due anni fa le annualità necessarie all'acquisto erano infatti 6. E se si procede a ritroso, verso i picchi degli anni 2000, si scopre che tra 2006 e 2007 bisognava teoricamente lavorare e mettere tutto lo stipendio da parte per 8,6 anni consecutivi. Da allora i prezzi sono andati progressivamente diminuendo, in parallelo con la contrazione, in certi casi drastica, delle compravendite. Il mercato è infatti tuttora quasi congelato.

Grazie a richieste decisamente più accessibili rispetto al passato, nel 2014 si è assistito ad una lenta e ridotta mini-ripresa delle transazioni, che dovrebbe protrarsi, secondo le previsioni anche nel 2015. Tuttavia, i prezzi dovrebbero scendere ancora, in una forbice compresa, secondo Tecnocasa, tra -1% e -3%. Guardando al primo semestre del 2014, ovvero agli ultimi dati disponibili, a livello locale Roma è la città in cui lo stacco tra anni di lavoro necessari e prezzo degli immobili è più evidente: nella capitale servono 9,5 annualità interamente destinate all'acquisto. Segue Milano con 7,9 anni. A Palermo e Verona ne servono invece decisamente meno, 3,6 nel capoluogo siciliano e 3,9 nella città scaligera.

Effettuando un confronto a distanza di dieci anni, si evince che a livello nazionale la differenza è stata consistente, infatti si è passati da 7,8 annualità nel 2004 a 5,8 nella prima parte del 2014. In questo lasso temporale è Milano la città in cui si è avuta la variazione più consistente: dalle 11,1 annualità del 2004, infatti, si è passati alle 7,9 di quest'anno. Altri due capoluoghi fanno segnare variazioni interessanti: -3,1 a Firenze (7,2 annualità) e -3 a Bologna (5,7 annualità). Bari, Genova, Torino e Verona hanno evidenziato un andamento in linea con il dato nazionale: nel capoluogo pugliese servono 2,1 annualità in meno, mentre le altre tre città segnano -1,9. Roma ha invece sostanzialmente tenuto.

Ovviamente, c’è anche chi non ha la possibilità di accendere un mutuo e di conseguenza deve rivolgersi al mercato degli affitti, anche questi negli ultimi anni diminuiti. In Italia, dare una casa in affitto è diventato sempre più dispendioso per il proprietario, le imposte sulla casa sono infatti aumentate.
Secondo l'elaborazione fatta da Il Sole 24 ORE, quasi la metà degli introiti derivanti dalle abitazioni date in affitto andrebbero alla fine a finire in tasse, imposte e spese varie. Ma con differenze non di poco conto tra una provincia e l'altra.

Il quotidiano economico milanese ha fatto una mappa delle città in base al peso della tassazione sul canone d'affitto percepito. Così se a Lecco finisce in imposte e spese dal 47% del canone - se nel contratto è prevista la cedolare secca - addirittura al 66% se si sceglie la tassazione ordinaria con un'aliquota Irpef medio-alta, in Sicilia, le due città metropolitane di Messina e Palermo si attestano leggermente al di sotto della media nazionale: dall'elenco de Il Sole 24 ORE, infatti si evince come Messina sia la città in cui le imposte incidono meno, sebbene con valori abbastanza alti: 37% e 55%. Anche Palermo si posiziona tra le province italiane in cui la tassazione influisce meno: 38% (cedolare secca) e 57% (tassazione ordinaria). Enna e Caltanissetta, invece, si allineano alle altre province italiane registrando un'incisione delle imposte per il 40% sugli introiti del canone d'affitto (sempre considerando un contratto con cedolare secca). Leggermente più alta a Catania, Siracusa e Agrigento, 42%, e Trapani, 43%. A Siracusa invece si arriva al 44%.

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27 gennaio 2015
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