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Caso Calipari: Il ''fuoco amico'' non è giudicabile in Italia

''C'è un difetto di giurisdizione. Il soldato Usa Mario Lozano non può essere giudicato in Italia''

20 giugno 2008

Per la morte dell'ex dirigente del Sismi Nicola Calipari, ucciso a Bagdad il 4 marzo 2005, il soldato Usa Mario Lozano non può essere giudicato nel nostro Paese. Il sostituto procuratore generale della Cassazione, Alfredo Montagna, ha così chiesto ai giudici della I sezione penale di non accogliere il ricorso della Procura di Roma e della giornalista de 'Il Manifesto' Giuliana Sgrena con il quale si chiede alla Suprema Corte che il soldato Usa venga processato dai nostri giudici.
"Purtroppo è stata una cosa che non doveva accadere e di cui lo Stato deve sentire il peso sulle sue spalle per non avere mantenuto buoni rapporti con gli altri Stati - ha detto il pg Alfredo Montagna nella sua requisitoria - ma la verità è che da parte dell'italia c'è stata incapacità assoluta di trattare i rapporti internazionali e noi non vi possiamo porre rimedio. Il nostro Paese non è riuscito nemmeno a pretendere un giudizio dagli Usa".
In sostanza, per la pubblica accusa della Cassazione, al di là del "doveroso rispetto per i soggetti coinvolti" per il caso Calipari-Sgrena c'è un difetto di giurisdizione per cui il soldato Usa Lozano non può essere giudicato nel nostro Paese. I giudici della I sezione penale dovranno dunque decidere se annullare la sentenza con cui la Corte d'Assise di Roma il 25 ottobre scorso aveva dichiarato il non luogo a procedere per Lozano per carenza di giurisdizione.

Da parte sua Rosa Villecco Calipari commenta all'Adnkronos: "Devo ammettere che a questo punto Nicola Calipari non è più un eroe dello Stato". "Questa sentenza riduce questa vicenda a un fatto e un dolore strettamente privato", dice la vedova Calipari sottolineando tra l'altro che "mio marito era un funzionario dello Stato ed era in Iraq per svolgere un compito affidatogli dal governo italiano".
Giuliana Sgrena, costituitasi parte civile nel processo, è stata anche condannata a pagare le spese processuali. Con questa decisione la Cassazione si è allineata alle richieste della pubblica accusa che ieri mattina aveva appunto chiesto di non dichiarare la giurisdizione del nostro Paese per il caso Calipari-Sgrena.

La difesa della vedova Calipari esprime "amarezza" per la decisione della Cassazione. Dice Franco Coppi, difensore di Rosa Calipari: "E' una decisione che lascia amarezza anche se va rispettata. Tuttavia si resta con l'amaro in bocca perché Calipari è stato ucciso in territorio straniero e non avremo mai la possibilità di capire il come e il perché di questa morte. Sicuramente - afferma ancora il noto penalista - un approfondimento all'interno del processo avrebbe aiutato a capire meglio la questione".
Da parte sua la difesa della Sgrena rappresentata in Cassazione dall'avvocato Alessandro Gamberini afferma che: "in una situazione in cui è morto un alto agente del Sismi non siamo stati capaci di ottenere dagli Usa niente altro che un piccolo processo amministrativo".
La Procura di Roma avrebbe voluto riaprire il caso e fare in modo che Lozano potesse essere processato per omicidio volontario. Gli Usa da parte loro non hanno mai mostrato intenzione di interessarsi al caso liquidandolo come uno "spiacevole incidente". A nulla è valsa a fare cambiare idea alla Suprema Corte l'arringa del professor Franco Coppi, difensore di Rosa Calipari, che ieri mattina aveva chiesto alla Cassazione di giudicare la vicenda come 'crimine di guerra'. [Adnkronos.com]

«Lozano non fu l'unico a sparare»
La rivelazione in un documentario sulla morte di Nicola Calipari durante la liberazione Sgrena
di Alessandra Farkas (Corriere.it, 19 giugno 2008)

NEW YORK - Mario Lozano non fu l'unico a sparare contro Nicola Calipari, il dirigente del Sismi ucciso a Bagdad il 4 marzo 2005 dopo la liberazione della giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena, sequestrata il mese prima dalla Jihad islamica. Gli altri «cecchini» non furono identificati perché la scena del «delitto» fu ripulita in fretta dagli americani, per impedire all'Italia di investigare.
Sono solo alcune delle provocatorie tesi avanzate da "Calipari Friendly Fire", il documentario di Fulvio Benelli ed Emanuele Piano della Oyibo Productions che verrà trasmesso da Al Jazeera International il 25 giugno. Alla vigilia dell'appello in Cassazione che, oggi, il 19 giugno deciderà se archiviare la vicenda giudiziaria, il documentario mette in guardia dalla facile tentazione di seppellire una delle più dolorose pagine di storia recente. «Abbiamo le prove che gli americani avevano individuato la casa dov'era detenuta la Sgrena ed erano pronti al blitz», spiega Benelli, che ha investigato la vicenda per più di un anno. «Era questione di ore, ma, avendolo saputo, i servizi italiani hanno agito d'urgenza perché temevano la morte dell'ostaggio nelle operazioni».

Dalle perizie, inedite, coordinate dal professor Domenico Compagnini di Catania e depositate presso lo studio legale Gamberini (quello della Sgrena) si evincerebbe che gli spari non vennero da una sola arma, come giurano gli americani, per i quali si trattò di «tragico incidente». «Non è stato possibile trovare la maggior parte dei bossoli perché gli americani ripulirono subito la scena - teorizza il giornalista/ regista - Impedendo per oltre un mese alla nostra polizia scientifica di analizzare il veicolo». Ma dall'analisi svolta poi dagli italiani risulterebbe che il solo Lozano non poteva essere artefice dei 58 spari accertati (ma forse molti di più) che colpirono l'auto. La tesi è avvalorata dal diretto interessato. «La mia M240B è l'arma più grande di tutte - racconta nel film -. Quando spara non riesco a sentire se anche altri sparano».

Al suo ritorno in Italia, la Sgrena dichiarò che forse qualcuno, tra gli americani, non voleva farla tornare viva in patria per punirla dei suoi reportage anti-Usa. Washington aveva criticato i nostri servizi segreti che non avevano esitato a pagare ingenti riscatti per la liberazione di altri ostaggi, qualcuno allora parlò di «lezione esemplare degli Usa all'Italia». Alla domanda «c'è stato un complotto?» Lozano risponde: «Dopo l'11 settembre tutto è possibile, potrei anche essere vittima di una cospirazione».
Più tardi il militare contraddice la versione ufficiale Usa secondo cui la strada in cui si trovavano, la Route Irish, era presidiata per l'imminente passaggio dell'allora governatore Usa a Bagdad. L'argomentazione dei funzionari Usa («Non eravamo a conoscenza dell'operazione Sismi») viene smentita dalla presenza all'aeroporto del Capitano Green, il comandante americano che all'arrivo di Calipari gli aveva consegnato, coordinandosi con il generale italiano Mario Marioli, il badge per muoversi in zona. Secondo l'ex 007 Wayne Madsen, intervistato nel video, il segnale lanciato da Calipari era stato intercettato dall'Nsa che non si premurò di passarlo ai militari al fronte. «Madsen ha lasciato l'Nsa - afferma Benelli - Perché indignato dalla policy del "prima sparo e poi domando chi sei" usata in Iraq. Gli americani hanno imposto la loro versione, addossando l'errore agli italiani che non hanno neanche saputo chi era la persona che avrebbe dovuto dare la comunicazione a Lozano e non l'ha data. La catena di comando non è mai stata indagata».
L'incidente sarebbe «la riprova del caos ai vertici». «In Iraq gli americani non hanno il polso della situazione e ciò spiega perché la guerra va male - precisa Benelli -. Dal documentario emerge che i soldati sono lasciati liberi di fare ciò che vogliono».

La vedova di Calipari, che ha visto in anteprima e molto apprezzato il documentario, è tra quanti oggi chiedono al governo Berlusconi luce sulla vicenda. In una seduta al Senato, subito dopo la morte di Calipari, il premier dichiarò che l'Italia avrebbe fatto tutto il possibile per accertare la verità. «Se non lo farà - conclude Benelli -, il Paese creerà un terribile precedente per il prossimo Calipari, costretto ad andare in un territorio nemico a liberare la nuova Sgrena».

- Il prezzo della Libertà? (Guidasicilia.it, 05/03/05)

- La verità, soltanto la verità! (Guidasicilia.it, 07/03/05)

 

 

 

 

 

 

 

 

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20 giugno 2008
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