Caso Calvi. Nessun colpevole
Finisce nel vuoto un altro dei grandi ''misteri italiani'', tra massoneria, mafia, vaticano e paradisi fiscali
Il 18 giugno 1982 a Londra, sotto il Blackfriars bridge, il ponte dei Frati Neri, viene trovato impiccato il banchiere italiano Roberto Calvi. E' l'epilogo di una travagliata, per molti aspetti scellerata, interamente misteriosa avventura finanziaria, cominciata laddove era finita quella di un altro banchiere, Michele Sindona.
Ad accomunare i due, oltre all'iscrizione alla Loggia massonica P2, le loro capacità professionali nel sistema dei mille incroci societari, la politica delle ''scatole vuote'' acquistate e poi rivendute.
Comincia così il ''Caso Calvi'' uno dei tanti ''misteri italiani'' mai risolti che hanno visto assieme elementi quali la mafia e i poteri occulti massonici, politici e clericali.
Venticinque anni di fitti misteri finiti ieri con l'assoluzione ''per insufficienza di prove'' di tutti gli indagati: l'ex cassiere della Cosa nostra Pippo Calò; il faccendiere Flavio Carboni, la sua ex fidanzata Manuela Kleinszig, l'ex boss della Banda della Magliana Ernesto Diotallevi e Silvano Vittor, che aveva accompagnato Calvi a Londra per conto di Carboni.
Appellandosi all'articolo del codice penale equivalente alla vecchia formula dell'insufficienza di prove, la Corte d'Assise di Roma ha pronunciato l'assoluzione di quattro dei cinque imputati accusati di concorso in omicidio volontario premeditato. Per Manuela Kleinszig, ex fidanzata del faccendiere Flavio Carboni, la Corte ha accolto la richiesta del pm formulando un'assoluzione con formula piena.
Il processo era iniziato nell'ottobre del 2005. Dopo decine di udienze e centinaia di testimonianze, il pm Luca Tescaroli aveva chiesto l'ergastolo per quattro degli imputati.
Nessuno degli imputati ieri era in aula ad ascoltare la sentenza: solo Pippo Calò era collegato in videoconferenza dal carcere di Ascoli Piceno. Secondo l'accusa, il mandante dell'omicidio sarebbe stato proprio lui, il ''cassiere'' di Cosa nostra, mentre Carboni, Diotallevi, Vittor e la Kleinzig avrebbero collaborato alla fase organizzativa ed esecutiva del piano.
Come dicevamo all'inizio, Roberto Calvi, soprannominato ''il banchiere di Dio'', fu trovato impiccato il 18 giugno 1982 sotto il ponte dei Frati Neri, a Londra. Per anni, quella morte fu ritenuta un suicidio; fino a quando alcune perizie parlarono apertamente di ''morte provocata'', cioè di omicidio. A conclusione delle indagini, il pm andò addirittura oltre. Dietro la morte del banchiere - sostenne il magistrato - ci sarebbero stati una serie di intrecci torbidi: dalla cattiva amministrazione del denaro di Cosa nostra affidato al banchiere milanese, al pericolo che fossero rivelati segreti di operazioni sporche effettuate attraverso il vecchio Banco Ambrosiano, banca privata strettamente legata all'Istituto per le Opere di Religione (IOR).
''Gli imputati, avvalendosi delle organizzazioni di tipo mafioso denominate Cosa nostra e camorra, cagionavano la morte di Roberto Calvi al fine di punirlo per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro appartenenti alle predette organizzazioni ed impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico-istituzionali della massoneria, della loggia P2 e dello IOR, con i quali avevano gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro''.
Questo il grave capo d'imputazione della Procura, finito nel nulla. Fin da subito i difensori degli imputati si erano detti convinti che l'ex presidente del Banco Ambrosiano si fosse suicidato: ''Da 25 anni si dava Carboni per colpevole: il risultato di oggi schianta un teorema accusatorio fondato sul nulla'', ha affermato l'avvocato Renato Borzone, difensore dell'ex imprenditore. ''Resta amarezza - ha aggiunto il penalista - perché un cittadino ha dovuto aspettare 25 anni per avere giustizia in un processo di primo grado''.
Nonostante tutto, la sentenza di ieri è destinata a rimanere solo una pagina di questa vicenda dai contorni ancora oscuri. Sulla morte di Calvi, in procura a Roma, c'é un secondo fascicolo aperto, un'indagine-stralcio sui mandanti che vede indagate una decina di persone tra cui Licio Gelli, l'ex capo della P2.