Cercando di difendere la Ricerca
''La scienza è come un albero, una volta tagliato ci vogliono vent'anni per farne crescere un altro''
''La scienza è come un albero, una volta tagliato ci vogliono vent'anni per farne crescere un altro''
Carlo Rubbia
Lungimiranza, coraggio, buona volontà. L'azzardo manco lo nominiamo, negli investimenti ci vorrebbe, lo sanno anche le pietre, ma conoscendo l'Italia, preferiamo piuttosto parlare di buon senso. Perché investire nella Ricerca (sì, quella con la maiuscola), è investire nel futuro, e quindi nei giovani, e quindi acquisire quella benedetta ''competitività'' che tanto serve ad un Paese per andare avanti a testa alta. Dunque, visto che non è tempo di ''geniali azzardi'', invochiamo solo un ''sano buon senso'', finanche la saggezza antica rivolta al ''rinascimento'', che tanto distinse l'Italia nei secoli passati.
Ebbene, è inutile fare orecchie da mercante davanti a quello che il il presidente della Conferenza dei Rettori (Crui), Guido Trombetti, ha detto nella relazione annuale sullo stato degli Atenei italiani: se il governo attuale continuerà a trattare le università italiane alla stregua del governo precedente, e agli atenei verrà riservato sempre e solo la politica dei tagli, questi saranno destinati a chiudere!
E' necessario spiegare quello che significa per un Paese assistere alla rovina delle proprie università? Noi crediamo di no.
Alla stessa maniera, ed è un fatto ampiamente riconosciuto, l'Italia si colloca decisamente ''in bassa classifica'' anche per quel che riguarda la Ricerca, alla quale è destinato l'1,1% del Pil contro il 3% fissato dall'Agenda di Lisbona, risalente ormai a sei anni fa.
I nostri ricercatori - fra i migliori di tutto il pianeta - vanno via... o meglio, vengono cacciati... o meglio ancora, vengono sfruttati e umiliati e poi messi alla porta senza tanti complimenti.
I laboratori di ricerca, i gabinetti scientifici italiani, spesso sono trovano sede in cantinacce male in arnese, nei quali a non mancare sono solo ed esclusivamente studi e progetti che dovrebbero far brillare l'intera nazione, come gioiello di primissimo livello nel panorama internazionale. Per il resto, niente. Per i nostri ricercatori la politica riserva solo complimenti vuoti, mentre si continua a parlare di ''rilancio'' e ''competitività''.
Dagli atenei la protesta contro i tagli alla ricerca previsti in Finanziaria, si è estesa, ed era umanamente inevitabile, al mondo delle scienze. Con i presidenti dei maggiori enti italiani (Inaf, Infn, Cnr e Asi) che si scagliano contro i 300 milioni di euro volati via dal provvedimento, e la senatrice e premio Nobel, Rita Levi Montalcini, che avverte: ''Se rimarranno i tagli alla ricerca, non voterò la Finanziaria''.
Ieri a Roma, presso la sede dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), si è tenuta una conferenza stampa in cui i vertici dei principali enti di ricerca vigilati dal Ministero dell'Università e della Ricerca (Miur) hanno illustrato la situazione di crisi in cui versa la ricerca italiana e le gravi conseguenze che potrebbero derivare dai nuovi provvedimenti economici proposti dal Governo.
All'incontro erano presenti i presidenti dell'Infn Roberto Petronzio, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Fabio Pistella, dell'Istituto Nazionale di Astrofisica, Piero Benvenuti, e i premi Nobel italiani Carlo Rubbia e Rita Levi Montalcini.
Insieme hanno discusso e messo nero su bianco i punti cruciali del provvedimento.
In primo luogo, hanno scritto, la legge finanziaria, all'art. 53, con il taglio del 12,7% dei trasferimenti agli enti - che si somma alla riduzione del 20% della spesa intermedia stabilita con il Decreto Bersani pochi mesi fa - finisce per influire fino al 60% sulle spese per i laboratori, le altre infrastrutture di ricerca, i ricercatori non stabilizzati.
Questa incidenza così alta, hanno spiegato, è dovuta al fatto che sono incomprimibili le spese per gli stipendi del personale assunto, e quelle derivanti da impegni internazionali; spese che pure potrebbero, in alcuni casi,essere messe a rischio.
In secondo luogo, la ricerca italiana, dopo anni di ristrettezze che hanno visto una generalizzata e ampissima riduzione dei finanziamenti diretti al netto dell'inflazione, rischia ora di trovarsi nell'impossibilità di gestire le attività di ricerca in molti laboratori e quindi di dover paralizzare una buona parte delle sue infrastrutture.
Il vantaggio finanziario derivante dalla manovra operata sugli enti di ricerca pubblici, è emerso nella riunione romana, è peraltro ridotto, se rapportato al respiro complessivo: si parla infatti di tagli che valgono tra i 200 e i 300 milioni di euro, a fronte di una manovra che si aggira attorno ai 40.000 milioni di euro.
Con questo taglio, per gli enti di ricerca è l'insieme del sistema che va in crisi, facendo perdere competitività al Paese, lasciando campo libero alle aziende ad alta tecnologia straniere nei progetti internazionali e dando in Europa l'immagine di un Paese che rinuncia alla Scienza.
In particolare, hanno aggiunto i nostri eminenti rappresentati, la ricerca italiana rischia di essere totalmente emarginata dalle iniziative previste dal VII Programma quadro Ue. Un danno che si protrarrebbe irreversibilmente per i prossimi sette anni.
''La scienza è come un albero, una volta tagliato ci vogliono vent'anni per farne crescere un altro'', ha osservato il premio Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia, in collegamento dal Cern di Ginevra.
La ricerca non può essere un capitolo di spesa su cui risparmiare, perché è il motore dello sviluppo, come afferma del resto lo stesso governo e come è diffusa percezione da parte del Paese.
I ricercatori, hanno ancora sottolineato, non sono dei semplici attrezzi da utilizzare o riporre, specie per un Paese che, come ha detto la prof.ssa e senatrice Rita Levi Montalcini, annunciando il proprio voto contrario alla Finanziaria nel caso in cui non vengano apportate le opportune modifiche, ''non dispone di materie prime ma ha dalla sua un grande capitale umano''.