CHE IL BOIA SI FERMI!
L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione sulla moratoria della pena di morte
Il voto con il quale ieri la Terza Commissione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali, è un voto storico.
I Paesi che hanno votato a favore sono stati 99; 52 i contrari; 33 gli astenuti.
La Risoluzione L29, per la quale l'Italia si è da sempre mobilitata con totale impegno, era stata presentata da Nuova Zelanda e Brasile e depositata presso la Terza Commissione il 1 novembre scorso. L'altro ieri erano iniziate le procedure di voto con l'esame degli emendamenti. Il testo - che passerà ora all'assemblea generale, dove dovrebbe essere votata entro la metà di dicembre - ha ottenuto due voti in più della maggioranza richiesta dei 97 necessari per ottenere la maggioranza assoluta.
L'Italia conduceva la battaglia per la moratoria sulla pena di morte da 13 anni e i tre precedenti tentativi, nel 1994, nel 1999 e nel 2003, erano falliti.
La volontà della più grande organizzazione internazionale è stata espressa proprio nel giorno in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha fermato il boia della Florida che ieri avrebbe dovuto mettere a morte Mark Dean Schwab, condannato all'iniezione letale nel 1992 per aver rapito, violentato e ucciso un bambino di 11 anni.
La vittoria di quei paesi che si sono sempre detti contrari alla pena di morte e di quelli che negli anni hanno cambiato il loro parere abolendo di fatto le esecuzioni, erano aumentate con la bocciatura di tutti gli emendamenti posti sul suo cammino, quelli che sono stati denominati ''emendamenti-killer''. Ecco, la ghigliottina degli emendamenti killer non è calata sulla risoluzione contro la pena di morte, e la Terza Commissione ha bocciato tutte le pericolose modifiche che avrebbero potuto annacquare il testo proposto da 87 sponsor creando il rischio di spaccature nel fronte pro-moratoria.
La corsa a ostacoli della risoluzione era cominciata l'altro ieri mattina. I diplomatici che seguivano i lavori non escludevano colpi di scena. Erano 14 gli sbarramenti che l'iniziativa doveva in tutto superare prima di arrivare in porto. Gli emendamenti-killer messi in campo da Egitto, Singapore e Paesi caraibici, miravano a diluire il testo e a dividere il fronte pro-moratoria con un richiamo, ad esempio, alla Carta dell'Onu che stabilisce chiaramente che l'Onu non può intervenire in tematiche parte della giurisdizione interna dei singoli stati. Il dibattito è stato teso, a volte dai toni accusatori.
Tra i critici più convinti della risoluzione si è distinto Singapore, ma resistenze sono emerse anche da Botswana, Barbados, Iran e anche Cina. Iran, Cina, Stati Uniti, Pakistan e Sudan vantano oggi il 90% delle esecuzioni al mondo.
Alcune delle obiezioni, sintomo delle polemiche che dividono l'Onu sulla pena di morte, hanno anche sollevato lo spettro del colonialismo e dell'interferenza negli affari interni di singole nazioni. ''Abbiamo visto - ha detto il rappresentante di Singapore Kevin Cheok - simili episodi in passato. C'era un tempo in cui le nostre vedute venivano ignorate''. Singapore ha poi contestato all'Europa di voler portare la Commissione su un dibattito ''spiacevole e polarizzante'' e a uno ''scontro non necessario'' pur di ''imporre i propri valori''. ''Chi vota contro, vota contro la Carta dell'Onu'', ha detto Kevin Cheok, cosa questa che è stata respinta con fermezza dall'ambasciatore italiano Marcello Spatafora.
Ma la risoluzione che invoca una moratoria in vista di una futura eliminazione alla fine è stata approvata. Il testo sottolinea che la pena capitale ''danneggia la dignità umana'', che ''non esistono prove conclusive del suo valore deterrente'' e che ''qualunque errore giudiziario nella sua applicazione è irreversibile e irreparabile''. Inizialmente 72 Paesi, fra cui l'Italia e tutte le nazioni dell'Unione Europea, avevano sottoscritto il testo, un elenco in seguito allungatosi a 87 firmatari. I sostenitori comprendono ad oggi una dozzina di capitali latinoamericane e otto Paesi africani, dal Brasile all'Angola. L'ultima adesione è arrivata ieri stessoi dall'Algeria: il ministro degli Esteri Mourad Medelci, che ha incontrato il ministro Massimo D'Alema in Sardegna, ha auspicato una vittoria della risoluzione ricordando che il suo Paese già la applica dal 2000.
Come detto, la risoluzione dovrà essere ratificata dall'Assemblea Generale. Questa seconda fase, a metà di dicembre, dovrebbe coincidere con la presidenza di turno dell'Italia in Consiglio di Sicurezza.
''E' stato il successo di una battaglia portata avanti dall'Italia'', ha commentato soddisfatto il presidente del Consiglio Romano Prodi. ''Le esecuzioni capitali - ha commentato il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema - sono un estremo, visibile atto di violenza, che appartiene ad una cultura che dovrebbe essere consegnata al passato. L'approvazione della risoluzione è una vittoria di tutta l'Italia che conferma di essere in prima linea nel mondo in materia di tutela dei diritti umani''. Sulla stessa lunghezza d'onda l'ambasciatore italiano al Palazzo di Vetro, Marcello Spatafora, che subito dopo il voto ha dichiarato: ''Quella vinta oggi è una battaglia di cui tutti dovremmo essere orgogliosi''.
''Sono soddisfatta perché in un Paese litigioso come l'Italia la battaglia per la moratoria ha unito la destra e la sinistra'', ha commentato il ministro per il Commercio Internazionale Emma Bonino. Il testo della risoluzione chiede ''la moratoria delle esecuzioni in vista della loro abolizione'' e fa appello agli Stati che hanno la pena di morte a ''ridurne progressivamente'' l'uso e ''il numero di delitti per i quali può essere imposta''. Con un rinvio ai principi della carta delle Nazioni Unite e ''richiamando'' la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, la risoluzione chiede al segretario generale Ban Ki-moon di far rapporto sulla sua attuazione alla 63esima Assemblea Generale che si aprirà a New York nel settembre 2008.
- Il testo della risoluzione Onu (Repubblica.it)
- ''E' il momento di fermare tutti i boia'' di Desmond Tutu (Corriere.it)