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Che polli... che palle...

E' proprio vero: per riuscire a fare la cosa migliore l'importante è ''conoscere bene i propri polli''

06 ottobre 2007

Nel 2005 tutti gli organi di informazione mondiale riportavano allarmanti notizie sulla probabile, ma imminente, pandemia di influenza aviaria in arrivo dai paesi orientali. Ci dissero che nella primavera del 2006 il virus H5N1, causa della temibile ''influenza dei polli'', sarebbe stato trasportato in Europa dagli uccelli migratori, ma inaspettatamente gli uccelli viaggiatori e untori fecero la propria comparsa in Turchia già in autunno. Un'inaspettata circostanza che creò confusione e disordinato ed eccessivo allarme. Nel bailamme delle informative contrastanti, provenienti da importantissimi organi internazionali, quale fosse il reale, concreto pericolo rappresentato dall'influenza dei polli per l'Europa e l'Occidente non si riuscì a capirlo bene.

La paura, provocata più dalla diffidenza nei confronti di chi avrebbe dovuto informarci e tenere al corrente di quanto realmente stava succedendo, fece crollare il mercato del pollo. In Italia, per esempio, gli allevatori e i produttori di carne di pollo e di tacchino si ritrovarono nel giro di poche settimane ad affrontare una crisi improvvisa e inaspettata. Ai politici italiani, confusi tanto quanto la popolazione e incapaci di dare un informazione risolutiva e rassicurante, non rimase altro da fare che promuovere grandi magnate di pollo, rigorosamente italiano, nelle piazze e immolarsi, loro per primi, addentando cosciotti dorati per dimostrare che ''i nostri polli possono andare a cresta alta''. Intanto, qualche furbo e maligno farmacista, aveva già venduto parecchi stock di vaccino per l'influenza dei polli, senza che questo fosse stato ancora inventato
 
Dall'Indonesia, intanto, paese dove l'uomo vive in stretto contatto con i polli (dormendoci acnhe insieme) arrivava notizia di qualche nuova vittima dell'H5N1. Col passare delle settimane però, l'idea di quell'imminente pandemia che avrebbe mietuto milioni di morti, cominciò a stemperarsi: case farmaceutiche come la Roche, dando fondo a tutte le scorte di ''Tamiflu'', l'unico farmaco in grado di curare l'influenza aviaria (dicevano), arricchirono ulteriormente le loro già grasse casse; sulle tavole degli italiani fecero il loro ritorno petti e cosce succulenti; i politici non ebbero più bisogno di magnare in piazza dicendo ''er pollo taliano tanto è bbono che si squaglia solo a guardarlo''.
Rimase solo la convinzione che l'allarme influenza dei polli fosse stata architettata ignobilmente per fare arricchire le case farmaceutiche, prese piede sempre di più.

Insomma, tutte le sedute straordinarie dei ministri europei per istituire unità di crisi anti-aviaria e tutti i soldi spesi dai governi per rifornire i Paesi di medicine, che in realtà non sarebbero servite a niente qualora il virus H5N1 sarebbe mutato diventando un virus trasmissibile uomo-uomo, erano servite solo ed esclusivamente a dimostrare la pericolosità di un'altra malattia che aveva, effettivamente, trasformato in ''polli'' l'intera popolazione: una malattia chiamata allarmismo, disinformazione ed alimentata da multinazionali senza scrupoli.
Purtroppo si cadde nell'immenso timore di potersi ritrovare davanti ad un mostro come quello del ''morbo della mucca pazza'', che alla fine degli anni '90 fece vittime anche in Italia e che si scoprì essere una malattia conosciuta già negli anni '80 e molto probabilmente causata dall'uso delle farine animali nell'alimentazione dei bovini (leggi). Non era accettabile ammalarsi per aver mangiato una fetta di carne, né tanto meno era accettabile pensare di non magiare più carne perché gli allevatori dovevano ingrassare le proprie bestie con farine ricavate da altre bestie. Ecco, si fu presi da una paura mista ad incredulità che sfociava nell'indignazione, e da allora la diffidenza nei confronti di tante, tante e tante cose cominciò a regnare in maniera sempre più pregnante. Diffidenza che inevitabilmente avrebbe gettato nel panico la popolazione ad una prima notizia ambigua riguardante cibi, coltivazioni, medicine e cure.

Al di la della cronistoria, non tanto di una malattia, ma di una gigantesca palla creata dalla malainformazione, le ultime notizie che abbiamo rintracciato sul virus H5N1 risalgono a gennaio del 2006, e ovviamente sono notizie negative: queste parlavano di una probabile mutazione del virus verso una forma più adattabile agli esseri umani e che in Turchia aveva causato la morte di una decina di persone (leggi). Poi più nulla, anche se, ad onor del vero non abbiamo fatto altre ricerche approfondite sul caso.
Ritorniamo invece a parlarne oggi dopo il recentissimo, ennesimo allarme lanciato stavolta da un esimio dottore, Yoshihiro Kawaoka, dell'Università Wisconsin-Madison: il ceppo H5N1 dell'influenza aviaria, il più letale, è mutato in una forma in grado di contagiare più facilmente gli essere umani anche se non si è ancora trasformato in una imminente causa di pandemia. La nuova forma di H5N1 si sta adattando a vivere a temperature più bassa nel corpo degli ''ospiti'' vettori del contagio rispetto ai 41 gradi dei volatili, più vicine ai 37 abituali nell'uomo. 
''Abbiamo identificato uno specifico cambiamento che potrebbe consentire all'aviaria di svilupparsi nel tratto superiore del sistema respiratorio umano'', ha spiegato il dott. Kawaoka, aggiungendo che ''i ceppi che stanno circolando in Africa e Europa sono i più vicini a trasformarsi in virus umani''. Alcuni campioni prelevato da uccelli nei due continenti presentano queste mutazioni, ha sostenuto il team su un articolo pubblicato si 'Public Library of Science journal PLoS Pathogens'. ''Non intendo spaventare il pubblico, perché non possono fare molto. Ma allo stesso tempo è importante che la comunità scientifica comprenda quanto sta avvenendo'', ha aggiunto Kawaoka. L'H5N1 dal 2003 ha contagiato 329 persone, che vivevano a stretto contatto con uccelli, in 12 Paesi uccidendone 201. Raramente si è trasmesso da uomo a uomo ma se acquisisse la capacità di farlo più facilmente probabilità potrebbe causare una pandemia.

Ci riasiamo? Speriamo di no. Per certo possiamo dire che il Ministero della Salute italiano non ha nessuna intenzione di innalzare il livello di allerta e che il rischio di una pandemia influenzale, in Italia, resta assente.
Tutti i virus influenzali, sia aviari che umani, subiscono infatti costantemente mutazioni genetiche e in questo senso la nuova scoperta del dottor Kawaoka apporta un'ulteriore conoscenza sui ceppi circolanti nelle specie aviarie. Il nostro Paese, inoltre, ha organizzato un importante piano di sorveglianza e risposta per una pandemia influenzale, che offre alla popolazione un elevato livello di garanzia nei confronti di tale rischio e una rete permanente di adeguati controlli sugli uccelli in allevamento o allo stato selvatico. E ciò in un quadro di vigilanza costante a livello europeo confermata anche nell'ultimo Consiglio dei Ministri dell'UE svoltosi la settimana scorsa. Inoltre c'è da sottolineare che quest'anno in Italia non si è ancora verificato alcun caso di infezione su animali da parte del virus H5N1. Si ribadisce infine che un virus aviario del tipo H5N1 non è stato mai riscontrato in forma adattata all'uomo e per questo non esiste attualmente un rischio pandemico di diffusione uomo-uomo da parte di un fantomatico ''terzo'' virus risultante da una combinazione tra virus umani ed aviari.
Ciò significa (ci permettiamo di chiudere in maniera scherzosa) che non dovremo sorbirci all'interno dei telegiornali né il ministro della Salute Livia Turco, né nessun altro, farsi gran magnate di pollo davanti Montecitorio, mentre col mento olioso e le mani appiccicaticce ci assicurano quanto buono il pollo italiano. [F.M.]

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06 ottobre 2007
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