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Chi apre e chi chiude bottega a Palermo

Nel capoluogo siciliano sono circa seimila gli imprenditori stranieri che operano in città

23 aprile 2013

La crisi fa chiudere librerie, cartolerie, negozi di moda, mega market di elettrodomestici, storici a Palermo. Ma allo stesso tempo in città aprono decine di negozi di abbigliamento all'ingrosso cinesi, market di bijoutteria indiani, piccoli spacci alimentari low cost, ristorantini etnici gestiti da africani e asiatici.
L'India fast food in via Maqueda è di Houssaid Anowar, che nel 1998 è arrivato dal Bangladesh per raggiungere il fratello Abul. Il suo è uno dei 44 negozi etnici (abbigliamento, paninerie, alimentari, internet point, oggettistica, bigiotteria) che si incontrano lungo l'asse che da piazza Verdi si snoda fino a corso Tukory. Il ristorantino si trova accanto all'edicola Lo Strillo, che alla crisi non ha resistito e pochi mesi fa ha definitivamente abbassato la saracinesche.
"Per adesso va male. Quando si lavora, riesci a pagare luce, acqua, gas" dice Houssaid, 39 anni, da dietro il bancone, che insieme al fratello fino a qualche tempo fa, gestiva un negozio "di pietre preziose" (come le chiama lui) distante appena qualche metro dal ristorante. "Per aprire il negozio - racconta - ho investito un bel po’ di soldi, circa 40 mila euro. Erano i risparmi con cui sono arrivato. Ho dovuto chiuderlo, non riuscivo a guadagnare".

Houssaid è uno dei 6.017 imprenditori stranieri (i dati sono della Camera di Commercio di Palermo, aggiornati al 31 dicembre 2012 e comprendono anche la provincia), che ha deciso di avviare un'attività in proprio; in Sicilia, sono 22.304. I dati camerali indicano, poi, che più del doppio delle imprese etniche sono concentrate nel commercio: sono 4. 870, pari al 14,3% , seguite dal turismo (168, pari al 3,7%). Il 22/esimo dossier statistico della Caritas Migrantes 2012, dice che i cittadini stranieri più propensi ad investire in Sicilia sono del Marocco (28,6%), Cina (19,6%) e Bangladesh (+17,1).

A Palermo il  quartier generale della gran parte di boutique made in China si trova nella zona di via Lincoln, dove si susseguono 23 piccoli negozietti, e nel perimetro della stazione centrale. A macchia di leopardo non c'è quartiere in cui non siano presenti attività di cinesi. La Camera di Commercio del capoluogo, a marzo di quest'anno, stima la presenza di 582 imprese cinesi, tra ristoranti e negozi di abbigliamento, mentre l'Unione pubblici esercizi di Confcommercio Palermo ne conta, nel palermitano circa 800.

"Sono quasi tutte imprese familiari - dice il presidente della Fipe Confcommercio di Palermo Gigi Mangia - Nella zona di via Maqueda c'è una forte componente bengalese, i ristoranti di indiani e i tamil, invece, si trovano nella zona di via Dante, i tunisini in via Roma". "In questi anni i consumi palermitani sono cambiati - prosegue Mangia - perchè abbiamo sostituito 'il pane e panelle' con il cibo da fast food. Le focaccerie a parte qualche eccezione sono scomparse: quelle degli eredi dei Basile, nate nel'700, fino a 20 anni fa erano una trentina, adesso ne è rimasta solo una in piazza Nascè. Gli stranieri attraverso il cibo affermano la propria identità".
La Fipe sta lavorando a un progetto sulla 'cucina esotica di qualità così da 'spingere' gli stranieri attivi nel settore a far parte dell'associazione.

Anche Mounir Bouzouita, un tunisino che due anni fa ha ottenuto la cittadinanza italiana, lavora nel settore della ristorazione. Mounir vive a Palermo da 23 anni e nel 2010 ha deciso di diventare imprenditore di se stesso, dopo aver lavorato anni per altri, così ha rilevato una piccola pizzeria, prima gestita da un palermitano, in via Giovanni Da Procida. Oltre a sfornare pizze e focacce, Mounir propone i piatti tipici della cucina maghrebina come i brick, il kebab e il cous-cous. "È dura fare impresa qui, sono pentito della mia scelta - dice Mounir, che ha 49 anni - Palermo è bellissima, ma la politica non aiuta le persone come me. Fanno sempre controlli e per un tavolino sistemato davanti al locale, mi hanno fatto due multe da 5 mila euro".
Risalendo via Calderai, un tempo cuore del quartiere ebraico e famosa per le botteghe artigiane, ci sono negozi di alimentari, gestiti da asiatici che spesso restano aperti fino a dopo le 21. Bengalesi sono anche i titolari di bijotterie e negozi di pietre preziose all'ingrosso di via Maqueda. "Erano di più - dice Azat Kalam, un bengalese di 38 anni che lavora in un market poco distante da Palazzo Comitini di proprietà di una cugina - Molti negozi di pietre hanno chiuso per la crisi, e negli ultimi due anni furti e rapine sono aumentati, avvengono ogni giorno. Noi abbiamo paura".

La macelleria Almina Islamica di Sami Meftah, un tunisino che l'ha aperta 11 anni fa, invece, si trova di fronte l'ingresso della falcoltà di Giurisprudenza, in via dell'Università. È una delle 8 presenti lungo l'asse via Maqueda, piazza Giulio Cesare, via Lincoln e Ballarò. "Questa carne proviene da allevamenti locali" dice Sami. "Il bestiame lo acquisto a Ventimiglia di Sicilia, Baucina e Vicari - prosegue mostrando il certificato dell'Asp per animali macellati e ammessi a libero consumo - Dopo averli comprati li porto al mattatoio, per macellarli secondo il rito musulmano. Nel mio negozio anche gli italiani spesso comprano la carne, dicono che sia più buona e che costa meno".

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it]

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23 aprile 2013
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