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Chi trasforma in ''Sisifo'' il dipendente adesso rischia la galera. Il mobbing è diventato reato

Pene fino a 4 anni di reclusione a quei datori di lavoro che torturano la psiche dei dipendenti

15 febbraio 2005

Svegliarsi alla mattina e sentire lo stomaco che si rivolta, l'angoscia che paralizza, la paura di non farcela.
Eppure è il lavoro che si era sempre desiderato, il lavoro per il quale tutto l'impegno di questo mondo non è mai abbastanza per migliorarsi ed eccellervi. Il lavoro per il quale metà della vita si è spesa studiando con la speranza un giorno di farlo.
Ma solo il pensiero di quel lavoro adesso fa star male. Ogni mattina ci si sveglia Sisifo, col suo masso da spingere all'infinito, in maniera inconcludente.

Chi è vittima del mobbing, probabilmente proverà questo ogni maledetta mattina. Persone spesso attaccate al lavoro, talvolta ambiziose, che hanno già raggiunto posizioni ragguardevoli. Funzionari di alto livello, dirigenti in carriera. In genere uomini, 50 anni, dirigenti di alto livello in ministeri, Asl e società private, con laute retribuzioni.
Un giorno diventano bersaglio di angherie diaboliche, finalizzate ad emarginarli, come se in azienda fosse scattata una congiura silenziosa. Un masso da spingere all'infinito su per la salita. 
Si vedono costretti con un ordine di servizio a cambiare ufficio, traslocando da un luminoso ambiente con segretarie ad uno sgabuzzino asfittico, ingombro di scrivanie.
Anche le loro mansioni vengono mortificate: da manager a passacarte, scalda-poltrona.
E la sofferenza aumenta di giorno in giorno, e la mattina alzarsi diventa la fatica più insopportabile di questo mondo.
Arriva poi la depressione, l'ansia, le crisi di panico. Arriva poi la malattia.
Eppure quello era il lavoro della vita.

In Italia i mobbizzati sono almeno 750 mila, il 4,2% dei dipendenti. Una cifra questa sottostimata. Sarebbero un milione e mezzo.
Per la prima volta il fenomeno è stato studiato dal punto di vista giuridico e scientifico in un dossier illustrato la scorsa settimana in un convegno organizzato al Senato dal titolo ''Mobbing oggi, dalla riflessione alla legge''. E' stato presentato un disegno di legge di iniziativa del senatore Luciano Magnalbò (An), avvocato, vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali, che riunifica i numerosi testi bipartisan depositati in Parlamento.
Il mobbing assume la configurazione di reato: chi lo attua rischia fino a 4 anni di carcere.
Tra le novità, una serie di strumenti per la tutela delle vittime.
E' prevista, tra l'altro, l'inversione dell'onere probatorio (ma solo per quanto riguarda la tutela civilistica). Toccherà al datore di lavoro dimostrare di non aver voluto nuocere intenzionalmente. In caso di condanna, saranno annullati tutti gli atti che hanno messo all'angolo il malcapitato. L'articolo 8 chiarisce che le norme valgono anche per i dipendenti dei ''partiti politici ed associazioni'', gli unici ancora esposti a licenziamenti ingiustificati.

Una legge specifica serviva, perché il fenomeno del mobbing negli ultimi anni è divenuto un problema dilagante. Le grandi aziende ricorrono a questo sistema per sfoltire il personale, specie dopo le fusioni societarie. Anziché licenziarli si convincono i dipendenti ''in più'' ad andarsene. In questo caso si parla di mobbing strategico, distinto da quello di ''perversione'', perpetrato per il gusto di veder soffrire.
C'è chi sa resistere agli assalti ( to mob in inglese significa attaccare, accalcarsi attorno a qualcuno) e chi soccombe.

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15 febbraio 2005
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