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Chiesta l'assoluzione per il prefetto Mario Mori e per il ''Capitano Ultimo'', accusati di favorire Cosa Nostra

14 febbraio 2006

Si va verso il proscioglimento. La procura, a conclusione della sua requisitoria, ha chiesto ai giudici l'assoluzione per il prefetto Mario Mori, direttore del Sisde, e per il tenente colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, il ''Capitano Ultimo'', accusati di favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra, per aver ritardato la perquisizione nel covo di Totò Riina, dopo il suo arresto.
Ieri mattina, davanti al Tribunale di Palermo presieduto da Raimondo Lo Forti, a cominciare per primo la propria requisitoria è stato il pm Michele Prestipino. In aula erano presenti in gli imputati, protetti dai carabinieri e da agenti dei servizi segreti. ''Questo processo è alla condotta dei due imputati e non al Ros e nemmeno all'attività di Mori e De Caprio''. Prestipino ha ricostruito le fasi del processo e le testimonianze raccolte al dibattimento di magistrati e ufficiali. In particolare, il pm si è soffermato sulla richiesta avanzata la mattina del 15 gennaio del 1993 dall'allora capitano Sergio De Caprio, di rinviare la perquisizione in via Bernini 54, dove Riina aveva trascorso la sua latitanza insieme alla famiglia. Per l'ufficiale del Ros si trattava di proseguire l'osservazione del complesso immobiliare ''per scoprire - disse De Caprio nel richiedere il rinvio della perquisizione - nelle 48 ore successive all'arresto, eventuali complici o persone insospettabili''.

Prestipino ha ricordato che solo il 30 gennaio '93 il Ros comunicò alla Procura che i controlli erano cessati nel pomeriggio dell'arresto del capo mafia e la perquisizione venne effettuata il 2 febbraio. ''Gli inquirenti - ha affermato il pm - accertarono che l'unità immobiliare di via Bernini 54 era stata abitata dalla famiglia Riina solo grazie alla scoperta di un piccolo frammento di una lettera scritta da uno dei figli del boss''. Tre le circostanze, secondo il pm, che avrebbero determinato il favoreggiamento a causa del ritardo nella perquisizione: che la mattina dell'arresto Riina doveva partecipare ad un summit con altri capimafia, che in seguito alla sua cattura sfuggirono; che i mafiosi Giovanni Sansone, Gioacchino La Barbera e Antonino Gioè curarono il trasferimento della moglie di Riiina e dei figli prima alla stazione Centrale di Palermo e da qui a Corleone.
E poi, al fatto che a più riprese i tre mafiosi, dopo aver bruciato alcuni oggetti, riuscirono a rimuovere i mobili di via Bernini e a imbiancare le pareti.

A conclusione della requisitoria di Michele Prestipino, il sostituto procuratore Antonio Ingroia ha chiesto ai giudici l'assoluzione perché il fatto non sussiste e perché non costituisce reato, riferendosi alle imputazioni che riguardavano la disattivazione dei controlli dell'omessa comunicazione alla Procura. Ingroia ha poi chiesto di non doversi procedere per il reato di favoreggiamento, che deve intendersi estinto per prescrizione in base alla legge ex Cirielli.
''Questa vicenda se avesse un colore sarebbe il grigio: il bianco e il nero si confondono perché ci sono stranezze, condotte incomprensibili e talune ombre che hanno minacciato di oscurare un'operazione di polizia così importante che ha portato all'arresto di Riina''.
Il magistrato Antonio Ingroia ha sottolineato che in questa vicenda si è tenuto conto solo dei fatti giudiziari, lasciando fuori ipotesi, suggestioni e congetture che ''spettano ad altri''. ''Le aule giudiziarie - ha detto Ingroia - non possono supplire ad altre eventuali inerzie''. Ingroia ha voluto sottolineare che la procura di Palermo ha ''applicato le leggi e adempiuto alle conseguenze del provvedimento del gip che imponeva l'imputazione coatta per Mori e De Caprio''.

Il pm dopo avere ''sgomberato il campo da ipotesi'', e basandosi solo sulle reali condotte ''penalmente rilevanti'' di cui sono accusati i due imputati ha affermato la questione giuridica del reato di favoreggiamento. Ingroia ha ripetuto però più volte che è ''un fatto semplice e banale'' e ha citato Leonardo Sciascia per dire che è ''una storia semplice''. Per il magistrato, infatti, la perquisizione dopo l'arresto di un latitante è una cosa normale che venga fatta. Ma rifacendosi alla questione giuridica del favoreggiamento tiene a precisare che ''il diritto va valutato e calato rispetto alle condizioni a cui fa riferimento''.
Il pm Antonio Ingroia ha così chiesto ai giudici l'assoluzione perché il fatto non sussiste e perché non costituisce reato, riferendosi alle imputazioni che riguardavano la disattivazione dei controlli dell'omessa comunicazione alla Procura. Ingroia ha poi chiesto di non doversi procedere per il reato di favoreggiamento, che deve intendersi estinto per prescrizione in base alla legge ex Cirielli.
La Procura non ha ritenuto che alla condotta dei due imputati venga applicata l'aggravante di favoreggiamento all'associazione mafiosa.''Le condotta di Mori e De Caprio - ha detto Ingroia ai giudici - sono state dettate da ragioni di Stato e non da altro''.
Le richieste dei pm fanno riferimento a due differenti condotte di favoreggiamento contestate agli imputati: avere mentito sull'intenzione di tenere sotto controllo il covo del boss Totò Riina, dopo l'arresto; avere interrotto il servizio di telecamere installato davanti al rifugio, tacendolo ai magistrati ed impedendo loro di disporre una tempestiva perquisizione.
Quanto alla prima condotta, secondo i magistrati il fatto non sussisterebbe e non costituirebbe reato. Mancherebbe cioè sia l'elemento oggettivo del favoreggiamento che l'intenzionalità. Diversa la valutazione data sulla decisione di non comunicare la disattivazione del sistema video alla procura di Palermo. In questo caso i pm escludono che gli imputati abbiano agito con l'intenzione di favorire Cosa nostra: dal favoreggiamento aggravato si passa dunque a quello semplice ormai prescritto, soprattutto alla luce delle norme introdotte dalla ex Cirielli che riduce i termini di prescrizione del reato a sei anni. Da qui la decisione di chiedere il non doversi procedere.

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14 febbraio 2006
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