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Chiesti 8 anni di carcere per l'ex ministro Romano

Il pm Di Matteo: "Il concorso esterno in associazione mafiosa non è un reato che non esiste"

04 luglio 2012

Otto anni di carcere per l'ex ministro delle Politiche agricole Saverio Romano per concorso esterno in associazione mafiosa. È la richiesta del pubblico ministero Nino Di Matteo e dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci fatta nell'udienza di ieri del processo che si svolge con rito abbreviato, davanti al giudice per l'udienza preliminare di Palermo Fernando Sestito. Il procedimento è stato avviato dopo due richieste di archiviazione e un'imputazione ordinata dal Gip Giuliano Castiglia.

Sono soprattutto i collaboratori di giustizia a chiamare in causa il parlamentare, descrivendolo come un politico a disposizione della cosche mafiose.
Al centro della requisitoria di Di Matteo, Saverio Romano e Salvatore Cuffaro, e le loro "carriere politiche parallele all'insegna di una comune clientela mafiosa". Per il magistrato non è possibile comprendere la vicenda Romano se non si analizza alla luce del contesto comune con quella dell'ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro condannato per favoreggiamento aggravato alla mafia a 7 anni di carcere.
Un'impostazione, quella della procura, che spinge il pm a partire da lontano: da quando nel '91 Saverio Romano e Salvatore Cuffaro andarono a chiedere i voti per le elezioni ad Angelo Siino, l'uomo che ha gestito gli appalti, per anni, per conto di Cosa nostra. Ma per il pm l'anno centrale nella carriera dei due politici è il 2001: anno in cui Cuffaro viene eletto governatore e Romano deputato. "È l'anno - spiega Di Matteo - in cui Romano deve onorare le cambiali staccate quando da giovane corteggiava e blandiva i boss per acquisire spazio ed esercitare potere". Le "cambiali" sottoscritte con Cosa nostra Romano le avrebbe pagate a partire dal 2001.

Due gli episodi di cui il pm ha parlato: la candidatura alle regionali del 2001 di Mimmo Miceli, "uomo" del boss Guttadauro poi condannato per mafia, e quella di Giuseppe Acanto, sponsorizzato, secondo l'accusa, dal clan di Villabate. Entrambe le candidature sarebbero state sostenute da Romano.
Di Matteo ha parlato poi a lungo delle accuse rivolte a Romano dal collaboratore di giustizia Francesco Campanella che ha riferito di avere saputo dal capomafia Nino Mandalà che l'ex ministro "era a disposizione della 'famiglia' di Belmonte Mezzagno".

I pm hanno chiesto per l’ex ministro a pena a 8 anni di carcere tenuto conto della diminuente prevista dal rito abbreviato. Senza il rito abbreviato la Procura avrebbe chiesto la condanna a 12 anni di carcere.
"Il concorso esterno in associazione mafiosa non è un reato che non esiste - ha accusato Di Matteo concludendo la sua requisitoria-fiume e rispondendo al pg della Corte di Cassazione Francesco Iacoviello, che nel processo Dell'Utri disse che è un reato in cui nessuno crede - Il concorso esterno è l'applicazione giurisprudenziale di un principio fondamentale del diritto. È un reato che ha portato, in questo e in altri tribunali, alla condanna, anche definitiva, di diversi esponenti delle istituzioni, come gli ex funzionari di polizia Bruno Contrada e Ignazio D'Antone, ma anche gli esponenti politici come Franz Gorgone e Inzerillo, oppure di esponenti delle forze dell'ordine come il maresciallo Giorgio Riolo ed esponenti politici minori che stanno scontando una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa". Di conseguenza, secondo Di Matteo, "abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere di continuare a utilizzare questo strumento giuridico, fino a quando si vorrà effettivamente incidere sul rapporto tra mafia e politica".

Il processo è stato rinviato a venerdì 6 luglio per le arringhe difensive, curate da Franco Inzerillo e Raffaele Bonsignore, che proseguiranno anche il 10 luglio, e la sentenza è prevista per il 17 luglio.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Corriere del Mezzogiorno]

- "Romano e Cuffaro: stessa clientela mafiosa" (Guidasicilia.it, 03/07/12)

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04 luglio 2012
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