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Ciò che Lampedusa merita

Dall'Orso d'oro al Nobel per la pace. L'amore di Gianfranco Rosi per Lampedusa

23 febbraio 2016

L'Orso d'oro arriva a Lampedusa stretto tra le mani del dottor Pietro Bartolo, il responsabile medico dell'isola e tra i protagonisti di Fuocoammare che illumina con tutta la sua carica di umanità.
Grande accoglienza oggi per festeggiare il film di Gianfranco Rosi mentre giovedì Bartolo con l'Orso d'oro ripartirà per Roma dove è previsto un incontro con il presidente della Camera Laura Boldrini e in serata alla Casa del Cinema dove Fuocoammare, nella serata dei premi per i documentari, riceverà il Nastro d'argento speciale del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici.

Il dottor Bartolo si occupa di immigrazione da 25 anni, a Lampedusa. È lui l'eroe di Fuocoammare. E dell'Isola siciliana assurta a modello di accoglienza in Europa. Bartolo soccorre, censisce, divide, smista, ha perfino il terribile compito di dover archiviare i cadaveri. E racconta di una esistenza dedicata a loro, i migranti: "Lo faccio come volontario. Mi occupo un po’ di tutto: dai soccorsi alle ispezioni sui cadaveri. Faccio anche le veci dell'Usmaf, la sanità frontaliera". Il modello di Lampedusa oggi "funziona bene", spiega, "è stato approvato anche dall'Oms". Alla base c'è un protocollo, elaborato da Bartolo. "Abbiamo convenzioni ad esempio con tutti gli ospedali maggiori della Sicilia, Palermo, Agrigento, Caltanissetta".
E i presidi sanitari sono tenuti ad accogliere i migranti, comunque, anche se sono pieni. Dal 1991 a Lampedusa sono arrivati 300 mila migranti, spiega. Sposato con un medico dell'isola, Bartolo è reperibile 24 ore su 24. "Una volta sono stato fuori casa sette giorni, a causa di un naufragio". Gli è capitato di eseguire 368 ispezioni di cadaveri in 15 giorni. "Ricordi dolorosissimi, nella mia mente".

Grazie al premio ricevuto da Fuocoammare  a Berlino, il dottor Bartolo esprime un auspicio: "Spero che il film di Rosi, una testimonianza molto forte, che lui è stato bravissimo a girare, possa colpire le sensibilità della gente, e di chi può davvero fare qualcosa per mettere fine a questa tragedia dell'umanità".
"Siamo i primi ad essersi occupati di questo fenomeno, nel 1991, l'Europa se ne sta interessando con molto ritardo, e in modo contrastante. Noi nell'accoglienza diamo tutto il possibile - aggiunge - forse non siamo molto bravi nell'integrazione. Ma accogliere è un dovere così come salvare dal mare".

Il regista, già Leone d’Oro a Venezia, continua a sottolineare che il merito è dell'isola e dei lampedusani. E l’amore che ha imparato per e da questa piccola isola lo esprime nella lettera - che riportiamo di seguito - pubblicata su la Repubblica.

"Il premio Nobel agli abitanti di Lampedusa e Lesbo sarebbe una scelta giusta e un gesto simbolico importante. Consegnarlo non a un individuo ma a un popolo. I lampedusani in questi vent'anni hanno accolto persone che sono arrivate, migranti, senza mai fermarsi. Ho vissuto lì un anno e non ho mai sentito da nessuno parole di astio e paura nei confronti degli sbarchi. Le uniche volte in cui li vedo reagire con rabbia è quando ci sono troppe notizie negative associate all'isola: "disastro a Lampedusa", "i pesci che mangiano i cadaveri", "arrivano i terroristi". Quelle sono le cose verso le quali hanno, giustamente, un rifiuto totale. Vorrebbero che tutto si svolgesse senza lasciare traccia mediatica, portando avanti il loro aiuto quotidiano. Ce ne sono tanti che lavorano al Centro d'accoglienza, oggi che gli sbarchi sono procedura istituzionale: la raccolta in mare aperto, l'arrivo al porto e al Centro per l'identificazione.

Ma fino a poco tempo fa, quando arrivavano i barconi carichi sulla spiaggia, i migranti erano soccorsi, rifocillati, ospitati. Una volta in centinaia si buttarono in mare per salvare altrettanti naufraghi. C'è uno dei racconti del dottor Pietro Bartolo che mi è entrato nel cuore, anche se non sono riuscito a metterlo nel film. Quando su una nave carica c'era una donna incinta che non era riuscita a partorire, stretta tra la folla. Bartolo attrezzò una piccola sala operatoria e fece nascere la bimba. Non aveva detto nulla a nessuno ma quando uscì dall'ambulatorio, sfinito, trovò ad aspettarlo 50 lampedusane con pannolini e vestitini. Quella bimba oggi si chiama Gift, dono, e abita con la mamma a Palermo. Questo stato d'animo appartiene non solo a Lampedusa ma alla Sicilia e i siciliani.

Negli ultimi tempi sono arrivate migliaia di persone e non ho sentito nessuno a Palermo o Catania parlare di barriere. Quelle barriere fisiche e mentali che alcuni stati d'Europa innalzano, vergognosamente, oggi. L'accoglienza è la prima cosa che ho imparato dai lampedusani. La loro generosità mi ha stupito, ma il dottor Bartolo, che è stata la mia guida, mi ha spiegato che loro sono un popolo di pescatori e per questo accolgono tutto quel che viene dal mare. Dobbiamo assorbire anche noi l'anima dei pescatori. Ho dedicato la vittoria alla Berlinale di Fuocoammare a Lampedusa e ai suoi abitanti. Ho consegnato l'Orso d'oro a Bartolo, che oggi partirà per portarlo lì, tra gli abitanti. Arriverà prima sull'isola che a casa mia. Perché quel popolo oggi è la mia famiglia".

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23 febbraio 2016
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