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Come combattere contro i mulini a vento

Mentre la Giustizia da un lato ferma Cosa nostra, dall'altra deve lasciarla andare, incapace, inadeguata...

20 febbraio 2007

Da un lato la scoperta di un attentato progettato anni addietro nei confronti di una figura istituzionale, dall'altro la notizia della decorrenza dei tempi per la detenzione in regime di carcere duro per cinque boss di Cosa Nostra. Due facce della stessa medaglia: la lotta alla mafia che scava, ricerca incessantemente e che trova, scopre, accerta, e la stessa lotta che viene umiliata, insieme alle vittime di mafia e ai familiari di queste, dalle lungaggini ed inadeguatezza delle leggi.
Da un lato la Giustizia che indaga, blocca e arresta, dall'altra la Giustizia che annaspa ed è costretta a scarcerare.
Come un Chisciotte che lotta contro i suoi mulini...

Era il 2000 quando i boss, Domenico Virga, 43 anni, capomafia di Gangi (PA), già detenuto, e Salvatore Fileccia, di 42, ritenuto uomo d'onore della famiglia mafiosa di ''Palermo Villagrazia'', ''sudditi'' di Bernardo Provenzano, avevano deciso che l'ex presidente della Commissione antimafia, il diessino Giuseppe Lumia, doveva essere eliminato.
Il progetto di attentato contro Lumia, deliberato secondo dai vertici di Cosa nostra, ha trovato riscontro dalle dichiarazioni del nuovo collaboratore di giustizia l'ex boss di Agrigento Maurizio Di Gati, che dopo essere stato arrestato nel novembre 2006 ha subito iniziato a collaborare con la giustizia Già in precedenza aveva parlato del piano di morte nei confronti di Lumia il pentito Nino Giuffrè, a suo tempo braccio destro di Provenzano.
I due collaboratori, per i quali la Procura sta procedendo per queste accuse separatamente, sostengono che si erano procurati, attraverso Virga e Fileccia, una serie di armi, fra cui kalashinikov, che dovevano servire per uccidere il parlamentare. I fucili mitragliatori provenivano dai ''colleghi'' agrigentini e ancora adesso, secondo Di Gati e Giuffrè, sarebbero nella disponibilità dei boss palermitani.
Stando a quanto emerso durante l'interrogatorio del pentito, il piano non sarebbe poi stato attuato perché lo stesso Giuffrè aveva perso tempo, per timore delle conseguenze che sarebbero derivate dall'omicidio di un politico effettuato nel territorio in cui comandava Provenzano. ''Dopo che Provenzano aveva detto che Lumia si poteva uccidere - avrebbe affermato Giuffrè - ho fatto con calma, siccome era un discorso, come sto dicendo mio, me ne hanno dato incarico a me personalmente e nel bene o nel male mi sono preso pure questa responsabilità di fare con calma, però in tutta onestà devo dire che ogni tanto mi si aggirava il discorso: piano, piano vediamo perché era anche necessario valutare il danno che facciamo, da vivo, da morto; perché se da morto deve fare più danno che da vivo, andiamoci piano, poi andiamo vedendo, andiamo valutando. Posso dire - ha continuato - che in un certo qual modo ho babbiato (scherzato), questo non l'ho detto mai a nessuno, l'ho detto a me stesso e ho preso tempo, e adesso siamo qua''.

Scoperto il piano, la procura di Palermo ha chiesto ed ottenuto dal gip due ordini di custodia cautelare in carcere. I provvedimenti sono stati firmati dal giudice Donatella Puleo, su richiesta del procuratore aggiunto Sergio Lari e del sostituto Michele Prestipino, e riguardano, appunto, Domenico Virga e Salvatore Fileccia.

Sono invece scaduti ieri i termini per la detenzione in regime di carcere duro (41 bis) per cinque boss di Cosa Nostra, condannati per le stragi di via d'Amelio e via dei Georgofili a Firenze. La segnalazione è arrivata dal ministero della Giustizia. La cancellazione del 41 bis riguarda Salvatore Biondo, Giuseppe Montalto, Lorenzo Tinnirello, tutti condannati all'ergastolo per l'attentato al procuratore aggiunto Paolo Borsellino e agli agenti di scorta, e per Salvatore Benigno e Cosimo Lo Nigro, anche loro con condanna all'ergastolo per le autobombe di Firenze del 1993. La notizia è stata inviata alle direzioni distrettuali antimafia di Palermo, Caltanissetta e Firenze. Adesso saranno i magistrati di queste procure dimostrare l'efficacia della misura cautelare.
''L'affronto che stiamo subendo è di una gravità inaudita, Lo Nigro e Benigno hanno ammazzato i nostri parenti e ferito 48 persone per far abolire il 41 bis''. Questo il commento dell'Associazione tra i familiari delle vittime di via Georgofili. ''Non bastava che a Cosimo Lo Nigro fosse stato revocato il 41 bis, ora è la volta di Benigno Salvatore e chissà quanti altri degli stragisti di Firenze saranno sulla strada della redenzione'', afferma ancora l'Associazione secondo la quale ''abolire il 41 bis bis vuol dire una cosa sola, che lo Stato ha subito il ricatto messo in atto in via dei Georgofili la notte del 27 Maggio 1993''. L'Associazione ha chiesto ''di poter ascoltare pubblicamente la voce del ministro Mastella in merito a quanto sta succedendo sul fronte del '41 bis', l'unico regime carcerario adatto alla mafia stragista ed eversiva del 1993''.

''È evidente che rispetto al 41 bis c'è bisogno di individuare modifiche legislative che evitino situazioni come queste ma anche le scappatoie normative che negli ultimi anni hanno prodotto centinaia di ricorsi davanti ai tribunali di sorveglianza''. Sono le parole di Rita Borsellino, sorella del magistrato Paolo ucciso nella strage di via D'Amelio, con le quali ha commenta la notizia della scadenza dei termini del regime di carcere duro per i cinque mafiosi. ''Il 41 bis - ha concluso Borsellino - non è una vendetta dello Stato ma una misura precauzionale per evitare che chi è condannato per reati così gravi continui ad avere rapporti con l'esterno e a controllare le cosche anche dal carcere. Proprio per questo motivo è grave che si arrivi ad un'interruzione della misura solo per scadenza dei termini''.

L'esaurimento del 41 bis
L'istituto del 41 bis vive un ''sostanziale processo di esaurimento''. L'allarme lanciato giusto una settimana fa davanti alla Commissione antimafia dal procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, diventa ancora più attuale alla luce della notizia riportata sopra.
Al 31 gennaio di quest'anno, i detenuti sottoposti al 41 bis erano 521 (di cui 445 presi in carico direttamente dall'amministrazione penitenziaria) ma il loro numero è andato progressivamente diminuendo negli ultimi anni: -60 nel 2003, -35 nel 2004, -45 nel 2005, -93 nel 2006 e già -12 nel primo mese di quest'anno.
Numerose le mancate proroghe di questo tipo di regime carcerario decise dai vari Tribunali di sorveglianza: nel solo 2006, 27 a Torino, 14 a l'Aquila e a Roma, 24 a Perugia.
Appena martedì scorso, rispondendo alle domande dei commissari, il procuratore Grasso aveva sottolineato come la legge 279 del 2002, che pure ha stabilizzato l'istituto, ''non ha prodotto gli effetti sperati, anche perché una successiva sentenza della Corte Costituzionale ha sancito che il 41 bis può essere confermato solo laddove sia possibile provare l'attualità dei collegamenti del detenuto con l'esterno''. Da qui l'opportunità di ''intervenire sul piano legislativo, per rivitalizzare un istituto che continua a rappresentare uno strumento fondamentale nella lotta alla criminalità organizzata''. Tra le possibili soluzioni alternative, l'affidamento dei ricorsi non più ai Tribunali di sorveglianza ma ai Tribunali delle misure di prevenzione del luogo dove si manifesta la pericolosità del soggetto o la trasformazione del 41 bis in ''una misura accessoria'', non soggetta a revoche. ''Una cosa è certa'', aveva denunciato il Grasso, ''molti dei boss in carcere continuano a tenere contatti con l'esterno ricorrendo agli stratagemmi più diversi''. [Affari Italiani]

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20 febbraio 2007
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