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Come diventerà la mafia del dopo Provenzano? Chi occuperà il posto del boss dei boss?

14 aprile 2006

Da quasi tre giorni Bernardo Provenzano è rinchiuso nel carcere di Vocabolo Sabbione a Terni in regime di 41 bis. E' rinchiuso dentro una cella d'isolamento, sorvegliato 24 su 24 da un sistema di videosorveglianza e registrazione.
Ha dormito su di un letto a rete metallica agganciato al muro e a mangiato i pasti preparati dalla cucina del carcere. Non ha parlato con gli agenti di custodia ma ha solo risposto con movimenti della testa alle domande che gli sono state poste.

''È come un lupo solitario, mangia regolarmente ma non parla e sta provando a capire in che situazione si trova''
. Di Provenzano parla in questi termini il direttore dell'istituto di pena, Francesco Dell'Aira. Il direttore precisa che non è previsto un suo trasferimento altrove. Si era parlato di condizioni di salute ''non buone'' e della necessità di portarlo in un carcere con centri clinici particolarmente attrezzati. ''I suoi - dice Dell'Aira - sono i normali problemi di salute dell'età e della lunga latitanza in luoghi isolati. Certo, non è un fiorellino ma non risultano particolari problemi che non possano essere affrontati nel carcere di Terni. Come tutti gli altri detenuti - spiega il direttore - al suo arrivo è stato sottoposto ad un monitoraggio dello stato di salute, con un percorso di routine e con il maggiore scrupolo possibile''.
''Per noi - ha detto ancora il direttore - è uno dei circa 350 detenuti'', ognuno con un suo livello di trattamento, inserito nella ''gestione ordinaria'', anche se questa prevede per lui una ''attenzione e precauzioni particolari''.
''Ma proprio per questo - continua il direttore - nel carcere di Terni operano alcune delle 700 unità degli agenti di custodia addestrati a gestire le cosidette 'sezioni speciali del 41/bis'. Nella sezione di Terni di questi detenuti - riferisce Dell'Aira - ce ne sono 26-27, nomi noti e meno noti''.
''Voglio rassicurare l'opinione pubblica - continua - che la struttura è adeguata''. Provenzano è nella sua cella in isolamento. Senza radio, televisione e giornali. Ha il bagno in cella, la doccia che può usare quando vuole, la sua finestra che può tenere aperta o chiusa a suo piacimento.

L'imprendibile boss dei boss è dunque rinchiuso e isolato, quindi dentro la grande organizzazione criminale chiamata mafia è rimasto un grande vuoto, un spazio di potere da colmare. E subito si propongono le domande sugli scenari che si prospettano.
È quello che si ripete anche stavolta con la cattura di Bernardo Provenzano, l'uomo che guidava il direttorio di Cosa nostra e che aveva imposto, dopo l'arresto di Totò Riina nel 1993, la strategia della ''sommersione'': l'abbandono cioè del percorso di guerra che aveva scatenato una durissima repressione e il recupero di un ruolo di cerniera che ha assicurato alla mafia il controllo del territorio e il collegamento vitale con la politica e l'economia legale.
Sarà mantenuta questa linea che ha attenuato tutti i clamori o si ritornerà alla stagione delle sfide radicali?
Tra investigatori e magistrati serpeggia qualche apprensione ma anche molta cautela.

''Per capire quale sarà la nuova direzione di marcia è necessario attendere segnali più chiari e più precisi'', Salvatore Lo Piccoloavverte Renato Cortese, il dirigente dello Sco che ha guidato l'assalto al covo di Provenzano. ''È troppo presto'', conferma il procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone, che ha coordinato il pool di magistrati impegnato nelle ricerche del boss. Ma i riflettori sono già accesi sul processo di successione aperto da poche ore. Sulla linea di partenza due sono i candidati più quotati: Matteo Messina Denaro, 43 anni, boss rampante della famiglia di Trapani; e Salvatore Lo Piccolo, 63 anni, uomo-guida delle cosche palermitane.
Messina Denaro è latitante da 12 anni. Di Lo Piccolo non si sa più nulla, o quasi, dal 1983. L'uno e l'altro hanno affiancato Provenzano nel direttorio che finora ha garantito gli equilibri tra le cosche e una direttrice di marcia senza scossoni. E però, fa notare ancora Cortese, la scelta dell'uno o dell'altro ''potrebbe non essere indifferente rispetto agli assetti e alle strategie del futuro''. Lo Piccolo è un boss della ''vecchia guardia'' cresciuta all'ombra di Provenzano e quindi classificabile come un ''moderato''. Messina Denaro, che i pentiti descrivono addirittura come il numero due di Cosa nostra dopo Provenzano, viene indicato come un esponente dell'ala militarista perché legato all'esperienza di Giovanni Brusca e di Leoluca Bagarella.

Matteo Messina DenaroLa prevalenza di Messina Denaro finirebbe per dare così un senso concreto alle apprensioni di chi, anche tra gli investigatori, paventa quello che il procuratore aggiunto Guido Lo Forte definisce ''effetto paradosso''. ''C'è una vecchia idea - spiega - secondo la quale la cattura di certi capi possa, in modo appunto paradossale, nuocere alla società civile perché verrebbero a mancare proprio coloro che garantivano equilibrio e moderazione''.
Ma cosa possa in concreto accadere in questa incerta fase di transizione nessuno può prevederlo. E si spiega così la cautela delle analisi sulla quale si ritrova il procuratore aggiunto Pignatone.
Non è diversa l'opinione di Antonio Ingroia, pubblico ministero nei processi Contrada, Dell'Utri e De Mauro. ''Staremo a vedere'', dice. Ma aggiunge anche una considerazione che si può leggere come un auspicio: ''Credo che, proprio in questo momento, l'interesse di Cosa nostra sia quello di non provocare scossoni e turbolenza. E dunque si potrebbe pensare al mantenimento di una linea criminale nel segno della continuità. Ma tutto dipende da come evolveranno i rapporti interni e quali linee di pensiero si affermeranno. E per capirlo bisognerebbe avere la sfera di cristallo''.

- ''Il boss dei boss ordinava le stragi con i «pizzini»'' di Vincenzo Vasile

- Siino: ''Senza Provenzano la mafia cambierà così'' di Giuseppe D'Avanzo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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14 aprile 2006
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