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CONDANNA CONFERMATA

La Cassazione ha confermato tutte le pesanti condanne ai capi della cupola di Cosa nostra

19 aprile 2008

Era l'ultimo procedimento scaturito dal maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone, e ieri a questo è stato posto la parola fine.
Giovedì scorso il sostituto procuratore generale della Cassazione, Mario Fraticelli, aveva chiesto ai giudici della Seconda sezione penale di piazza Cavour di confermare le condanne all'ergastolo nei confronti della Cupola di Cosa nostra per l'omicidio dell'imprenditore anti-racket Libero Grassi. Oltre che dell'omicidio dell'impreditore catanese, i 27 mafiosi che avevano fatto ricorso in Cassazione (tra loro boss di primissimo piano fra cui Totò Riina, Bernardo Provenzano e Giuseppe Madonia) dovevano rispondere anche degli omicidi (e qui si parla di 1000 e più assassinii) avvenuti durante la guerra di mafia che dal 1984 al 1991 ha insanguinato Palermo e provincia.
La ricostruzione dei delitti avvenuti in quegli anni è stata possibile grazie alle dichiarazioni dei pentiti Francesco Marino Mannoia e da ultimo Antonino Giuffrè, che fu braccio destro di Riina nonché capomandamento di Caccamo (PA). Scenario della stagione di sangue era la contrapposizione tra Riina e Provenzano, i corleonesi, favorevoli a una strategia sanguinaria nel perseguimento degli obiettivi di Cosa Nostra, e i 'vecchi' boss Bontade e Inzerillo.

Il Pg Fraticelli aveva inoltre chiesto - con qualche lieve aggiustamento - la conferma di quello che fu definito il "teorema Buscetta", ossia l'impianto di totale responsabilità come mandanti, che i componenti della Cupola, del vertice di Cosa nostra, ebbero di tutti gli omicidi della guerra di mafia degli anni '80, ''teorema'' che lo storico collaboratore di giustistizia Tommaso Buscetta illustrò minuziosamente al giudice Giovanni Falcone e che più volte in molti hanno tentato di smontare.
Fraticelli si è pronunciato per la totale convalida delle condanne all'ergastolo per 25 degli imputati emesse il 25 ottobre 2006 dalla Corte di appello di Palermo. Solo due imputati, Salvatore Liga e Salvatore Profeta, hanno una condanna diversa dal carcere a vita e pari a dieci anni di reclusione. 

Bene, il verdetto dei giudici è arrivato ieri ed è stato un verdetto che ha veramente messo la parola fine ad un'epoca di quella criminalità organizzata chiamata Cosa nostra: "La seconda sezione penale della Cassazione ha confermato tutte le condanne per i capi di Cosa nostra imputati di decine di omicidi compiuti a Palermo dal 1981 al 1991. Confermata anche la condanna all'ergastolo per il killer dell'imprenditore Libero Grassi ucciso il 29 agosto 1991 perché si era ribellato al racket delle estorsioni mafiose. La II sezione penale della Cassazione, presieduta da Giuseppe Cosentino, ha rigettato tutti i ricorsi dei 27 imputati, accogliendo le richieste del Pg Mario Fraticelli, che aveva chiesto le conferme delle condanne della Corte d'appello di assise di Palermo all'ergastolo per gli omicidi compiuti dai boss della mafia nella guerra tra cosche durata dal 1981 al 1991. Una guerra tra cosche culminata nell'uccisione dell' imprenditore antiracket Libero Grassi, che per primo si era rifiutato di pagare il pizzo, dando il via a una protesta contro il malaffare e la criminalità. Confermati anche i risarcimenti alle parti civili e la condanna al pagamento delle spese processuali per i 27 imputati".

"Che non escano più dal carcere" - "Volevo avvertire il nostro ignoto estortore che non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al 'geometra Anzalone'". Per far sapere ai taglieggiatori che non avrebbe mai ceduto al loro ricatto scelse le pagine del maggiore quotidiano palermitano. E in una lettera scritta sette mesi prima di essere assassinato, Libero Grassi, imprenditore ucciso dalla mafia il 29 agosto del 1991, fece sapere così alla mafia e al 'geometra Anzalone', nome con cui l'esattore si era presentato al telefono, che non si sarebbe piegato. "Mi hanno chiamato Libero in memoria di un uomo che per la libertà è morto", amava dire, raccontando che i genitori, dandogli quel nome, avevano voluto onorare il sacrificio e il coraggio di Giacomo Matteotti. E proprio per restare libero Grassi scelse di non pagare e rivolgersi alla polizia: solo, abbandonato dalle associazioni di categoria, in una città in cui le vittime non denunciavano.

Al no al racket delle estorsioni seguirono mesi di intimidazioni, pressioni, danneggiamenti: gli ammazzarono il cane, rapinarono i dipendenti della sua fabbrica di biancheria intima, la Sigma.
Oltre ad affidarsi agli investigatori, però, Grassi scelse la via della denuncia pubblica: sui giornali, in tv, certo che l'esposizione mediatica l'avrebbe tutelato. Ma non fu così. E la mattina del 29 agosto, in una Palermo torrida, due killer, Salvatore Madonia, rampollo di una potentissima famiglia mafiosa palermitana, e Marco Favaloro, poi pentito, lo attesero sotto casa, in via Alfieri, e lo uccisero. Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, Madonia, e gli sparò alle spalle.
Grassi aveva 61 anni. A ricordare il sacrificio dell'imprenditore, divenuto emblema della ribellione al pizzo, resta un manifesto scritto a mano affisso su un muro nel luogo dell'eccidio. C'é scritto: "Qui è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia, dall'omertà, dall'Associazione degli industriali, dall'indifferenza dei partiti e dall'indifferenza dello Stato". I familiari, che non hanno mai voluto una lapide ufficiale.
"Mi auguro che i killer condannati all'ergastolo non escano più dal carcere". Così Pina Maisano Grassi, vedova dell'imprenditore, ha commentato la sentenza definitiva emessa dai giudici della Cassazione. "Abbiamo avuto - ha aggiunto - sempre fiducia nella giustizia, e i fatti erano talmente lampanti che i giudici non potevano non confermare le sentenze di condanna. Voglio ringraziare gli avvocati che mi sono stati sempre vicini. Dobbiamo sempre avere fiducia nella giustizia".

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19 aprile 2008
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