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Consapevole del proprio destino

Al processo Mori il ricordo del colonnello Sinico: "Borsellino sapeva di dover morire, ma scelse di proteggere la sua famiglia"

04 febbraio 2012

Dopo l'attentato al giudice Giovanni Falcone, Paolo Borsellino "era conscio del destino che lo aspettava e sembrava che non volesse opporsi". A raccontarlo in aula, al processo al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura di Bernardo Provenzano è stato il colonnello Umberto Sinico, all'epoca l'ufficiale dei Carabinieri addetto al Reparto anticrimine di Palermo. E' lo stesso ufficiale a raccontare di un incontro con un informatore, il mafioso Girolamo D'Anna di Terrasini (confidente del maresciallo che comandava la stazione del paese vicino Palermo, Antonino Lombardo, poi morto suicida nel marzo del '95), avvenuto in carcere nel giugno 1992 in cui il 'picciotto' di Cosa nostra parlò dei preparativi di un attentato contro Borsellino.

"A sentire D'Anna, nel carcere di Fossombrone, andammo io, Lombardo e il comandante della compagnia di Carini, Giovanni Baudo, ma Lombardo fu il solo a parlare con D’Anna, che disse dell’esplosivo e dell'idea di attentato". "Subito dopo ripartimmo e ndammo subito dal magistrato a riferire quanto appreso da D'Anna - ha detto Sinico sentito ieri dai giudici - e lui replicò: 'Lo so, lo so: devo lasciare qualche spiraglio, altrimenti se la prendono con la mia famiglia'. Il Procuratore non voleva coinvolgere in alcun modo la sua famiglia".
Dopo aver appreso dall'informatore Girolamo D'Anna dei preparativi dell'attentato contro il giudice Paolo Borsellino, "gli ufficiali dei carabinieri tornarono a razzo - ha raccontato ancora Sinico - a Palermo, andammo subito a trovare il procuratore che ci diede quella rispostaccia. 'Procuratore - risposi io - allora cambiamo mestiere'".
Sinico ha descritto Girolamo D'Anna come un uomo d'onore "posato", cioè estromesso, perché vicino a Gaetano Badalamenti, il boss di Cinisi rappresentante della vecchia mafia soccombente ai corleonesi di Totò Riina. "Era persona di grande carisma, veniva interpellato dai vertici della sua parte criminale". La ricostruzione di Sinico esclude dunque che vi fossero contrasti tra Borsellino e la sezione Anticrimine dei carabinieri di Palermo e le tesi secondo cui al magistrato fu nascosto dai carabinieri che fosse arrivato l’esplosivo per compiere l'attentato ai suoi danni.

Alla domanda, durante il contro esame, del pm Antonino Di Matteo come mai non era stata fatta una "nota formale al procuratore su quanto detto dall'informatore", Sinico ha replicato: "Intanto abbiamo riferito quanto detto al diretto interessato. E poi il Ros produsse una nota in cui dava conto del progetto omicidiario sulle indicazioni che avevamo dato noi dopo l'incontro con d'anna".
Al termine della deposizione del colonnello Sinico, il colonnello Mauro Obinu ha reso dichiarazioni spontanee in cui ha sottolineato: "Il comando del Ros stilò una nota inviata al comando generale dei carabinieri sintetizzando tutti gli elementi informativi ottenuti". E ha sottolineato che il documento "è tra gli atti depositati nel corso del processo".
Sinico, durante la sua deposizione ha ricordato anche una cena a Terrasini, nel Palermitano, avvenuta "dopo la strage Falcone" a cui partecipò anche il giudice Paolo Borsellino. "C'era la nostra sezione insieme a Borsellino che fu lusinghiero nei nostri confronti. Ci disse: 'questa è la cena degli onesti'. C'era un rapporto di fiducia del procuratore con noi".
Dunque, stando alle dichiarazioni dell'ufficiale, il giudice Borsellino era conscio del destino che lo aspettava. Destino che si presenterà il 19 luglio di quello stesso anno, con la strage di via D’Amelio a Palermo.

Riprende la ricerca dell'agenda rossa - Un "film", realizzato utilizzando le immagini girate da tv private, dalla Rai, ma anche dalla polizia scientifica, potrebbe svelare il mistero dell'agenda rossa di Borsellino, il diario sul quale il magistrato annotava riflessioni, pensieri e spunti investigativi, sparita, il 19 luglio del 1992, dopo l'attentato in cui venne ucciso con cinque agenti di polizia.
La Procura di Caltanissetta, che ha riaperto l'indagine sull'eccidio, sta cercando di far luce sull'ennesimo mistero che ruota attorno alla strage. I pm, impegnati da due anni nel tentativo di "riscrivere" la dinamica dell'attentato, e di accertare la presenza di eventuali mandanti occulti e l'esistenza di un clamoroso depistaggio delle indagini, stanno mostrando a diversi collaboratori di giustizia, testimoni e investigatori il collage di immagini riprese sul luogo dell'eccidio subito dopo l'esplosione dell'autobomba. Il tentativo è di dare un volto a tutte le persone che erano in via D'Amelio dopo l'attentato.
L'inchiesta, che sarebbe ancora a carico di ignoti, segue il proscioglimento dell'allora capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, unico indagato per la scomparsa dell'agenda ritenuta un documento chiave per la ricostruzione degli ultimi mesi di vita del giudice. Arcangioli è stato prosciolto con sentenza definitiva, "per non avere commesso il fatto", dall'accusa di furto aggravato. L'ufficiale venne ripreso, intorno alle 17.30 del 19 luglio, mentre si allontana velocemente dall'auto della vittima con in mano l'inseparabile valigetta di cuoio del giudice. La borsa ricomparve nella macchina successivamente, circa un'ora dopo; venne sequestrata e repertata: dentro, però, l'agenda non c'era.

Cosa accadde tra le 17.30 e la redazione del verbale di sequestro dei reperti che non fa cenno al documento? Il nodo è tutto qui. Arcangioli ha sempre sostenuto di non avere aperto l'agenda e di averla mostrata a Giuseppe Ayala, ex collega di Borsellino, nel '92 deputato, tra i primi ad accorrere in via D'Amelio. Ma la versione del militare non ha convinto i magistrati che inizialmente l'hanno indagato per false informazioni. Ayala ha negato di avere ricevuto la borsa dal capitano e ha sostenuto di averla vista nell'auto, di averne parlato con l'ufficiale e di averla consegnata a un altro carabiniere.
Di certo c'è che quando la borsa vuota fu ritrovata nella blindata di Borsellino presentava bruciature che prima non c'erano. Nel frattempo la macchina aveva preso fuoco: ciò confermerebbe che la valigia era stata tolta e poi rimessa dentro. Inoltre, nelle immagini si vedeva Arcangioli allontanarsi velocemente dal luogo della strage con la borsa, in una direzione, che secondo gli inquirenti che, su sollecitazione del gip ne chiesero il rinvio a giudizio, non sarebbe giustificata nè dalla presenza di soggetti istituzionali, nè da motivi investigativi. Ma la sentenza di proscioglimento, confermata dalla Cassazione, ha escluso il coinvolgimento dell'ufficiale.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Corriere.it]

 

 

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04 febbraio 2012
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