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Continua la battaglia giuridica sull'eredità di don Tano Badalamenti, il boss di Cinisi morto in cella negli USA

17 febbraio 2007

Un ingente patrimonio costruito, con molta probabilità, col sangue di innocenti e con la crudeltà che solo la mafia ha saputo rappresentare. E' il patrimonio del boss di Cinisi (PA) Tano Badalamenti, ex capo della ''commissione di Cosa nostra'' e mandante dell'omicidio di Peppino Impastato, morto nel 2004 nel penitenziario americano di Fairton.
Un'eredità sulla quale esiste una controversia da diversi anni e che recentemente ha acquisito un nuovo capitolo. Per conto dei figli del boss, i legali della famiglia hanno chiesto mercoledì scorso un ulteriore rinvio del procedimento in corso presso la sezione misure di prevenzione del tribunale presieduta da Cesare Vincenti, annunciando che produrranno nuovi documenti per dimostrare l'origine lecita dei terreni e dell'azienda agricola di don Tano.

Le divergenze giuridiche sui beni del vecchio padrino defunto va avanti da molti anni e risultano assai complesse. La procura di Palermo, dopo l'istanza presentata dal legale della famiglia, Paolo Gullo, ha già una volta espresso un parere favorevole alla restituzione dei beni di don Tano, essendo il padrino morto prima che vi fossero provvedimenti definitivi di confisca. Oggi a rivendicare il patrimonio sono Leonardo e Vito Badalamenti che comunque da anni non vivono nel paese d'origine, ma sarebbero residenti in Australia.
Vito Badalamenti fu condannato a sei anni di reclusione nell'ambito del processo ''Maxi quater'' a Cosa nostra, lo stesso nel quale il fratello, Leonardo, venne assolto in appello.
Tano Badalamenti assieme ai figli aveva lasciato Cinisi nel 1981 per emigrare in Brasile e poi in Spagna, dove nel 1984 era stato arrestato assieme al figlio Vito. Quest'ultimo aveva trascorso quattro anni in cella per la storica inchiesta denominata ''Pizza connection'', e poi era stato assolto.
Secondo il pm Antonio Ingroia, il patrimonio del boss ammonterebbe a centinaia di migliaia di euro.

Il difensore della famiglia Badalamenti minimizza. ''Si tratta di cose di valore modesto'' ha sempre affermato l'avvocato Gullo, ''la casa dei Badalamenti e qualche terreno ma, come al solito, visto che si parla di don Tano, la vicenda assume un valore spropositato''.
Il primo sequestro dei beni del capomafia risale addirittura al 1985 porta la firma di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ed è stato depositato agli atti del ''Maxi processo'' a Cosa nostra. All'epoca il capomafia di Cinisi, arrestato nel 1984 in Spagna assieme al figlio Vito, era stato estradato negli Usa. Al boss vennero sequestrati un fondo rustico, una serie di piccoli appezzamenti ed immobili sparsi tra Carini, Cinisi e Palermo ed alcune società. La posizione processuale di Badalamenti, però, venne stralciata dagli atti del maxiprocesso per ''legittimo impedimento dell'imputato a comparire al dibattimento''. Il capomafia era in carcere nel New Jersey e non poteva essere presente. Nel 2001 il procedimento riprese con l'introduzione delle videoconferenze e tra rinvii per cambio di giudici, notifiche di citazioni si è giunti all'aprile 2004 quando la morte di don Tano, piuttosto che mettere fine alla vicenda giudiziaria, ha dato impulso ad una nuova azione giudiziaria stavolta intentata dagli eredi.
Il processo è stato rinviato al prossimo 15 marzo.

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17 febbraio 2007
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