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Contro il ''pizzo'' Confindustria va avanti

Il pugno duro dell'associazione degli imprenditori siciliani contro chi non denuncia

03 settembre 2008

"Essere cacciati vuol dire esporsi alla gogna pubblica!". Il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, non ha inteso usare mezzi termini, quasi a sottolineare che la clamorosa decisione presa dall'associazione degli imprenditori siciliani il primo settembre di un anno fa, in seguito alle intimidazioni subite dal costruttore catanese Andrea Vecchio e dal presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta Marco Venturi, ossia l'emanazione di un "Codice Etico" che prevedeva l'espulsione di quei membri che pagavano il pizzo senza aver chiesto il supporto delle forze dell'ordine, è stata ed è un fatto di principio, fermissimo ed indiscutibile, con il quale si dovrà sempre fare i conti.
Sì perché, dopo aver visto i primi risultati del Codice Etico, è ovvio che la Confindustria siciliana voglia continuare la sua lotta contro mafia e pizzo: 51 provvedimenti avviati contro altrettanti imprenditori, di cui 10 espulsioni, 30 richieste di sospensione (che anticipano l'espulsione), 10 allontanamenti volontari e 64 industriali che stanno collaborando con la magistratura.

Il bilancio di questo "anno etico" è stato fatto ieri in conferenza stampa a Palermo dal presidente Lo Bello. Il presidente di Confindustria Sicilia ha rivelato che "prima del 1 settembre dell'anno scorso erano soltanto due gli imprenditori vittime del pizzo che avevano deciso di collaborare con la giustizia". Tra i dieci industriali ormai fuori dall'associazione, qualcuno ha preferito allontanarsi per evitare l'espulsione, come prevede il Codice Etico per chi non denuncia le richieste del racket delle estorsioni. "Perchè essere espulsi - ha detto Lo Bello - significa essere esposti alla gogna pubblica".
A fianco a Lo Bello c'erano i presidenti di alcune delle nove associazioni territoriali, tra cui Antonello Montante (Caltanissetta), Giuseppe Catanzaro (Agrigento), Nino Salerno (Palermo), Davide Durante (Trapani) e Ivo Blandina (Messina).

Sono soprattutto gli industriali di Caltanissetta e di Agrigento quelli che hanno intrapreso con fermezza la linea della denuncia. Ben 40 imprenditori, dei 64 che stanno collaborando, operano infatti nelle due province. A sottolineare l'aderenza di queste due province, e in particolare di Caltanissetta, alla "rivoluzione" contro il pizzo, il caso emblematico di Gela, comune occupato da due cosche e guidato da un sindaco, Rosario Crocetta, che della lotta alla mafia ne ha fatto ragion di vita. "Nonostante la presenza di due mafie, gli imprenditori che collaborano con magistratura e forze dell'ordine sono 90 - ha spiegato il presidente degli industriali dell'isola - dei quali una ventina nostri associati. E' un dato formidabile, è come se a Palermo o Catania collaborassero in tremila". Un risultato raggiunto anche grazie all'azione dell'amministrazione: "A Gela, il sindaco Rosario Crocetta non fa antimafia di bandiera - ha voluto sottolineare Lo Bello - ma adotta azioni concrete contro le organizzazioni criminali, basti pensare alle misure sugli appalti o all'azione che sta conducendo a fianco dell'Eni, che attraversa una fase difficile per via delle grandi infiltrazioni mafiose". Ed è proprio l'esempio del sindaco di Gela che Lo Bello sprona ad imitare: "Purtroppo non ci sono solo sindaci coraggiosi, esistono anche timidezze e silenzi. Il mio non è un rimprovero ai sindaci dell'isola, non è un'accusa. Ma c'è un modello, come quello di Gela, che ha funzionato. Quindi chiedo agli altri sindaci un impegno costante".

Il presidente degli imprenditori siciliani, non volendo entrare nel merito di quanto hanno fatto nella lotta al pizzo i sindaci delle grandi città, come Palermo e Catania, ha comunque precisato che "non vogliamo criticare le amministrazioni, ma vogliamo portarle nel terreno dell'impegno costante, a fianco delle associazione antiracket, della magistratura e delle forze dell'ordine che svolgono un lavoro quotidiano sul territorio".
E poi, a parte tutto, denunciare i propri aguzzini conviene, così come ha testimoniato Giuseppe Catanzaro, numero uno dell'associazione degli industriali di Agrigento, anche lui bersaglio del racket: "Un collega che ha denunciato gli estorsori mi ha detto: negli ultimi due anni nessuno mi viene piu' a rompere l'anima". "Chi denuncia non è stato abbandonato", ha tenuto a sottolineare Catanzaro, raccontando il caso di un imprenditore che da otto anni è protetto dalle forze dell'ordine dopo avere denunciato le richieste di pizzo. Inoltre, il presidente Lo Bello ha ricordato la possibilità, introdotta per la prima volta proprio ad Agrigento in un procedimento penale, di svolgere l'incidente probatorio molto tempo prima dell'avvio del dibattimento. Un sistema che consente agli imprenditori di confermare le denunce e di sottrarsi subito alle minacce di ritorsione.
Oltre all'immagine legata all'impegno sociale, la battaglia contro il pizzo ha portato vantaggi a Confindustria anche in termini di iscritti. "Gli imprenditori vogliano associarsi perché si sentono più protetti - ha detto Lo Bello -. Oggi è più difficile chiedere il pizzo a un industriale. Sono decine le richieste che abbiamo ricevuto, ma le valutiamo attentamente". Ottanta le nuove imprese iscritte a Caltanissetta e ad Agrigento.

E dopo la lotta al pizzo, che continua, Confindustria in Sicilia si prepara ad aprire una nuova stagione, volgendo l'attenzione verso quella che definisce la "zona grigia", l'intreccio tra burocrazia e imprenditori collusi con la mafia. "Siamo consapevoli - ha detto in chiusura Lo Bello - che oggi dobbiamo fare un passo in avanti, di qualità. Il secondo pilastro della nostra azione sarà la collaborazione con i magistrati e le forze dell'ordine sul versante della lotta al riciclaggio e all'aggressione dei patrimoni degli imprenditori collusi con la mafia. Questa seconda frontiera ci terrà impegnati in modo forte"

Cisl a Confindustria: "Serve un patto contro il malaffare" - "Un'azione comune tra sindacati e imprese per arginare e sconfiggere gli interessi del malaffare e della mafia nell'economia della Sicilia". A proporlo al presidente regionale di Confindustria, Ivan Lo Bello, Maurizio Bernava, segretario della Cisl Sicilia. Intervenendo a un'assise sindacale, a Palermo, il sindacalista ha ripreso i temi della lotta al crimine, al centro anche dell'intervento odierno del rappresentante degli industriali. "Invitiamo Confindustria a colmare il vuoto di concertazione sui temi della legalità e del lavoro", ha detto Bernava. Per il sindacato, imprese e associazioni sindacali dovrebbero, "assieme", esercitare pressioni sulle istituzioni per l'elaborazione di un "pacchetto di regole che metta fuori dal mercato le aziende che non rispettano i contratti di lavoro, sfuggono al fisco, ignorano le norme sulla sicurezza, si macchiano di reati finanziari". [www.cislsicilia.net]

[Informazioni tratte da La Siciliaweb.it, Repubblica.it, Rainews24, Corriere.it]

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03 settembre 2008
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